"La nostra associazione Udi si batte a tutela della libertà e dell’integrità fisica e psicologica delle donne: il nostro statuto parla chiaro. Dire che quelli di Isabella Linsalata e Giulia Tateo non sono stati femminicidi ed escluderci come parte civile al processo è quantomeno strano: mai ci era capitato prima, a Bologna".

L’intervento del giurista / Intervenga il legislatore a stabilire i confini

E allora, "il timore è di trovarsi di fronte a uno stereotipo, che peraltro ricorda il clima del caso Nigrisoli, tanti anni fa: lo stereotipo del medico che gode di un’aura di affidabilità e credibilità che va protetta, di un’immagine sociale e professionale da tutelare a tutti i costi e che il nostro ingresso nel processo avrebbe compromesso".

Così dice l’avvocato Rossella Mariuz dell’associazione Unione donne in Italia, dopo che la Corte d’assise del tribunale di Bologna presieduta dal giudice Pier Luigi Di Bari, ieri l’altro non ha ammesso Udi come parte civile al processo contro l’oculista Giampaolo Amato, accusato di avere ucciso la moglie e la suocera somministrando loro un cocktail letale di farmaci, a pochi giorni di distanza l’una dall’altra a ottobre 2021. La Corte ha motivato l’ordinanza col fatto che, secondo le regole introdotte dalla riforma Cartabia, la richiesta dell’ente era "tardiva" e avrebbe dovuto essere presentata in udienza preliminare. Questo perché a dibattimento poteva essere accolta solo una parte offesa da danno "diretto e immediato": per questo per esempio è stata ammessa l’Ausl, vittima ‘diretta’ del reato contestato di peculato. Ecco allora che il giudice ha specificato come tale danno per Udi manchi, non trattandosi dei delitti "che ledono in via prevalente l’autodeterminazione della donna in un contesto discriminatorio e di violenza di genere, di lesione della parità di genere" compresi dallo statuto dell’associazione. Gli omicidi contestati infatti per la Corte sarebbero non "definibili come femminicidio".

Ma l’Udi non ci sta: "Certo che siamo parte offesa da danno diretto e immediato – prosegue l’avvocato Mariuz –: all’imputato viene contestato un omicidio aggravato dal fatto di essere stato contro la moglie e dai futili motivi, motivi che la Procura ritiene legati ’soprattutto’ al desiderio di vivere in libertà una relazione extraconiugale. Elementi che non possono non fare pensare a un femminicidio. La stessa pm, sostituto procuratore Morena Plazzi, l’ha definito tale". Udi, prosegue Mariuz, "si è costituita parte civile in sette processi con imputazioni pressoché identiche, a Bologna, e con le stesse modalità: mai è stata esclusa. Questa presa di posizione temiamo sia politica. La nostra presenza era scomoda, dava un alone politico-culturale alla vicenda, che di certo alla difesa non piaceva". Difesa rappresentata dagli avvocati Gianluigi Lebro e Cesarina Mitaritonna, che infatti in aula si era opposta alla richiesta di Udi.

Interviene pure il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna, di cui sempre Mariuz è vicepresidente, che ricorda come "la Convenzione di Istanbul includa la violenza economica nel novero di quella di genere. Uccidere la moglie per questioni ereditarie, e la suocera "per fare una prova", altro non è che violenza di genere, è strumentalizzazione di due donne ai propri interessi. È femminicidio. E neppure si può condividere la scelta della Corte d’assise di escludere la stampa dall’aula perché il caso non avrebbe ’interesse socialmente rilevante’. L’efficace contrasto alla violenza alle donne passa dal riconoscimento della stessa e l’eco mediatico dei processi per femminicidio è uno strumento importante per veicolare nelle coscienze il disvalore sociale della violenza alle donne".

Condivide invece la posizione della Corte d’assise il questore di Bologna, Antonio Sbordone: "Generalizzare non è mai positivo. Bisogna stare attenti alla definizione di femminicidio – spiega –. Anche quando si fanno i conteggi delle persone uccise ci sono i femminicidi, che sono quelli che hanno come motivazione la prevaricazione dell’uomo sulla donna. Poi ci sono altri casi, non meno gravi, ma che appunto sono un’altra cosa. Questa distinzione mi vede favorevole, perché conoscere il femminicidio vuol dire anche contrastarlo meglio, con strumenti specifici".

QOSHE - Processo al medico, l’Udi si ribella ai giudici: “È stato un femminicidio” - Federica Orlandi
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Processo al medico, l’Udi si ribella ai giudici: “È stato un femminicidio”

12 1
08.03.2024

"La nostra associazione Udi si batte a tutela della libertà e dell’integrità fisica e psicologica delle donne: il nostro statuto parla chiaro. Dire che quelli di Isabella Linsalata e Giulia Tateo non sono stati femminicidi ed escluderci come parte civile al processo è quantomeno strano: mai ci era capitato prima, a Bologna".

L’intervento del giurista / Intervenga il legislatore a stabilire i confini

E allora, "il timore è di trovarsi di fronte a uno stereotipo, che peraltro ricorda il clima del caso Nigrisoli, tanti anni fa: lo stereotipo del medico che gode di un’aura di affidabilità e credibilità che va protetta, di un’immagine sociale e professionale da tutelare a tutti i costi e che il nostro ingresso nel processo avrebbe compromesso".

Così dice l’avvocato Rossella Mariuz dell’associazione Unione donne in Italia, dopo che la Corte d’assise del tribunale di Bologna presieduta dal giudice Pier Luigi Di Bari, ieri l’altro non ha ammesso Udi come parte civile al processo contro........

© il Resto del Carlino


Get it on Google Play