Coltissimo studioso incapace di spocchia, ammaliante conversatore portatore di ironia irresistibile, uomo delle istituzioni pronto a ricoprire cariche pubbliche (soprintendente, vicesindaco, assessore..) senza venir mai meno al proprio stile e alla propria vocazione. E poi divulgatore straordinario davanti a platee eterogenee che, grazie a lui, andavano scoprendo un Bello forse fino allora inaspettato.

Quella di Eugenio Riccomini, morto la notte di Natale a 87 anni, resta una figura centrale della cultura non solo cittadina del secondo Novecento. Era, il ‘Professore con il farfallino’, l’ultimo gigante di quella altissima scuola di studiosi dell’arte che custodiva in Roberto Longhi e Cesare Gnudi i propri punti di riferimento, il sognatore appassionato che aveva perseguito insieme ad Andrea Emiliani (e all’indimenticato collezionista inglese sir Denis Mahon) la riscoperta della pittura barocca nella nostra terra fino ad allora dimenticata, il critico in grado di organizzare mostre prestigiose (i dipinti emiliani del ‘700 a Leningrado) e restauri imponenti (gli affreschi di Correggio nella cupola del Duomo di Parma). Sapendo tenere insieme lo sguardo accademico sui grandi della storia dell’arte e quello politico sulle questioni spicciole come la giusta luce di piazza Maggiore.

Dandy, illuminista, anarchico conservatore? Probabilmente un po’ di tutto questo. Martedì prossimo, 6 febbraio alle 18 in Salaborsa Milena Naldi e Brunella Torresin presentano ‘A caccia di farfalle’, il libro del Professore uscito a fine Anni ‘90 e ora opportunamente ripubblicato da Pendragon il cui sottotitolo recita ‘manuale semplice e breve per guardare quadri e sculture senza complessi di inferiorità’. Quali sono le farfalle da inseguire metaforicamente lo spiega molto bene Torresin nell’introduzione del volume: è il Bello perché a nessuno è precluso il piacere di confrontarsi, naturalmente secondo i propri parametri, con un’opera d’arte.

E quindi il Professore ci prende per mano, come Croce suggeriva, e ci offre semplici istruzioni su dove e come rivolgere lo sguardo. L’arte, dice Riccomini, mette l’accento su ciò che conosciamo già, ma non è imitazione del visibile perché ogni artista dentro un’opera mette la propria sensibilità. E usa, l’autore, la metafora del pendolo che oscilla fra il piacere di ciò che si vede e il gusto per quello che l’artista sta facendo. Perché nell’arte c’è voglia di guardare il mondo e ripeterlo come si può.

Il libro prende le mosse dalle mostre-monstre degli anni ‘90, gli eventi che per moda richiamavano grandi folle, obbligavano a lunghe code e imponevano cataloghi mastodontici. E subito si inerpica in una vertiginosa cavalcata lunga Duemila anni da cui, come nelle conferenze del Professore, si viene travolti. L’eleganza lambiccata del Parmigianino e la pittura ‘da osteria’ di Annibale Carracci, la voluta sottomissione alla verità di Veemer e la luce sulle bottiglie di Morandi.

L’arte è in ogni cosa. Perché in un panorama si può vedere un dipinto non ancora dipinto, che sia la laguna veneziana di Canaletto o la Senna di Monet. E lui lo vedeva.

QOSHE - Scoprire il bello con gli occhi di Riccomini - Claudio Cumani
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Scoprire il bello con gli occhi di Riccomini

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04.02.2024

Coltissimo studioso incapace di spocchia, ammaliante conversatore portatore di ironia irresistibile, uomo delle istituzioni pronto a ricoprire cariche pubbliche (soprintendente, vicesindaco, assessore..) senza venir mai meno al proprio stile e alla propria vocazione. E poi divulgatore straordinario davanti a platee eterogenee che, grazie a lui, andavano scoprendo un Bello forse fino allora inaspettato.

Quella di Eugenio Riccomini, morto la notte di Natale a 87 anni, resta una figura centrale della cultura non solo cittadina del secondo Novecento. Era, il ‘Professore con il farfallino’, l’ultimo gigante di quella altissima scuola di studiosi dell’arte che custodiva in Roberto Longhi e Cesare Gnudi i propri punti di riferimento, il sognatore appassionato che aveva perseguito........

© il Resto del Carlino


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