Che si parli di commemorazione dei defunti, oppure di giorno dei morti o di festa dei morti come è uso comune, i primi giorni di novembre sono i soli momenti in cui, per un attimo, ci si ferma per dedicare un pensiero o un mazzo di fiori a chi non c’è più.

Ma anche la morte è in crisi, o meglio lo è il nostro rapporto con la morte e per questo sono nati i “Death Studies” che hanno all’Università di Padova uno dei principali centri europei e mondiali grazie a un Master che da 15 anni crea specialisti nell’accompagnamento alla morte, nel sostegno a chi perde un affetto, più in generale in una “educazione alla morte” di cui evidentemente si sente sempre più bisogno.

A dirigerlo è da sempre Ines Testoni, tanatologa, docente di Psicologia sociale, autrice di “Il grande libro della morte” edito dal Saggiatore che è uno dei testi fondamentali in materia.

Professoressa Testoni, il 2 novembre ha ancora un senso o ormai è solo un rituale svuotato?

«Senza dubbio la ricorrenza ha conosciuto una crisi evidente lungo tutto il Novecento e sembrava destinata a un declino totale, ma da qualche tempo sta accadendo qualcosa di molto interessante. La rimozione sistematica della morte, togliendo spazi di confronto comunitario sul senso di perdita e sulla sofferenza che questa provoca, ha lasciato gli individui da soli di fronte alla riflessione sulla finitudine. Ognuno si sente strano e diverso dagli altri proprio perché si pone il problema del perché vivere se dobbiamo morire. Il cordoglio è diventato un aspetto individuale e non condiviso dalla comunità. E però, appunto, qualcosa sta cambiando. Ci sono molte iniziative che vanno in senso contrario, che puntano a riconquistare una ritualità e un linguaggio per condividere tutto il dolore e il terrore che la morte comporta».

Una nuova cultura, dunque?

«Sì. Penso a manifestazioni come “Il rumore del lutto” che è diventato negli anni una sorta di festival itinerante, o a quello che sta facendo Guidalberto Bormolini che è stato l’accompagnatore spirituale di Battiato e con il gruppo di Ricostruttori nella preghiera ha creato un hospice in Toscana in cui convivono persone sane e persone destinate alla morte. Noi stessi con il master “Death studies & the end of life” stiamo formando centinaia di specialisti e abbiamo potuto constatare che si crea una reazione a catena perché il bisogno è molto forte: si devono creare però le occasioni per attivarlo. Facciamo capire alle persone che la loro necessità di dare senso alla morte, di avere un linguaggio per parlarne non è un’eccezione. Per questo progettare iniziative culturali che aprano l’orizzonte a tutti coloro che vorrebbero parlarne è essenziale. Così anche il 2 novembre torna ad avere un senso».

“Festa dei morti” o “commemorazione dei defunti”?

«È una festa, ma certo non un momento di svago. Il concetto di festa è complesso. Dobbiamo pensare che anche la tragedia greca nasce in un contesto di festa. Aristotele diceva che attraverso la tragedia il popolo prendeva consapevolezza di quelle che sono le sofferenze dell’essere umano e quindi della necessità di costruire secondo un certo ordine la Comunità. Il convivio, il cibarsi che seguiva la tragedia era parte di tutto questo. Quindi festa ha questo significato nell’Occidente, ma si è man mano impoverito, per cui ad esempio Il 2 novembre non c’è più il banchetto, non c’è più nemmeno la festa commemorativa con la celebrazione liturgica a seconda della religione o confessione alle quali i dolenti appartengono. Tutte le religioni hanno svalorizzato il rito funebre e forse proprio perché sono in crisi in quanto religioni».

Sostituite da cosa?

«Data la latitanza delle religioni rispetto alla capacità di tornare a significare il senso del vivere, sapendo di dover morire, le persone stanno cercando questo linguaggio in altri luoghi, per esempio in Internet. Mi piace ricordare il bel libro, “La morte si fa social”, di Davide Sisto che ha descritto molto chiaramente come la carenza di luoghi di comunità concreti in cui elaborare il lutto, abbia spinto verso la rete tutti coloro che cercavano spazi dove elaborare la loro sofferenza. Gran parte del lutto legato al Covid, per esempio, è stato gestito in rete, attraverso comunità nate in Internet. Dove non sono arrivate le religioni, sono arrivate le persone comuni».

Le religioni stanno dimenticando la morte?

«Le religioni, basti vedere il Medio Oriente ma non solo, sono troppo impegnate a fare politica, a dire come devono essere fatte le leggi, perdendo di vista il loro ruolo e lasciando la gente disorientata. La spiritualità è rivoluzionaria, lo spirito non lo si può contenere e se le religioni tradizionali non danno risposte le persone lo cercano altrove. Da questo punto di vista non è in crisi il 2 novembre, ma le religioni che non sanno più significare il 2 novembre per mancanza di spiritualità».

Halloween sembra quasi scalzare il 2 novembre. Sono in opposizione o parte di una stessa realtà?

«Non sono in opposizione, il problema di Halloween è che, come il Natale o i matrimoni, è diventata una festa totalmente commerciale. Ma io stessa nei percorsi di “death education” rivolti ai bambini sono spesso partita da Halloween ovviamente non riducendolo a “dolcetto o scherzetto”».

E i bambini come rispondono a queste sollecitazioni?

«Molto bene, alcune delle cose più belle che abbiamo fatto in questi anni riguardano proprio i bambini. Ricordiamoci che quando evitiamo di accostare i bambini alla morte non mettiamo in salvo loro, mettiamo in salvo noi adulti che non sappiamo come gestire le loro domande, perché non abbiamo le risposte, perché ci manca quel linguaggio di riflessione che invece potrebbe aprirci un orizzonte esistenziale, ben diverso da quello del vivere qui e ora».

QOSHE - La tanatologa: «Abbiamo escluso la morte dalle nostre vite,  ma per gestirla è necessario conoscerla» - Nicolò Menniti-Ippolito
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La tanatologa: «Abbiamo escluso la morte dalle nostre vite,  ma per gestirla è necessario conoscerla»

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02.11.2023

Che si parli di commemorazione dei defunti, oppure di giorno dei morti o di festa dei morti come è uso comune, i primi giorni di novembre sono i soli momenti in cui, per un attimo, ci si ferma per dedicare un pensiero o un mazzo di fiori a chi non c’è più.

Ma anche la morte è in crisi, o meglio lo è il nostro rapporto con la morte e per questo sono nati i “Death Studies” che hanno all’Università di Padova uno dei principali centri europei e mondiali grazie a un Master che da 15 anni crea specialisti nell’accompagnamento alla morte, nel sostegno a chi perde un affetto, più in generale in una “educazione alla morte” di cui evidentemente si sente sempre più bisogno.

A dirigerlo è da sempre Ines Testoni, tanatologa, docente di Psicologia sociale, autrice di “Il grande libro della morte” edito dal Saggiatore che è uno dei testi fondamentali in materia.

Professoressa Testoni, il 2 novembre ha ancora un senso o ormai è solo un rituale svuotato?

«Senza dubbio la ricorrenza ha conosciuto una crisi evidente lungo tutto il Novecento e sembrava destinata a un declino totale, ma da qualche tempo sta accadendo qualcosa di molto interessante. La rimozione sistematica della morte, togliendo spazi di confronto comunitario sul senso di perdita e sulla sofferenza che questa provoca, ha lasciato gli individui da soli di fronte alla riflessione sulla finitudine. Ognuno si sente strano e diverso dagli altri proprio perché si pone il problema........

© Il Mattino di Padova


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