Il Papa degli invisibili, dei più disperati: quelli che tutti vedono ma nessuno guarda davvero. L’intenso passaggio veneziano di Francesco, dalla Giudecca a San Marco, si è dipanato attorno a questo tema di fondo: restituire visibilità ai tanti, troppi ultimi della terra, condannati da quella cultura dello scarto che Bergoglio da sempre denuncia, per cui milioni di uomini non valgono nulla rispetto al profitto economico.

Lo fa fin da quando, arcivescovo di Buenos Aires, esortava la Chiesa a «sporcarsi le mani con gli ultimi» partendo dai luoghi quotidiani, specie quello particolare che è il volto del prossimo. «La mia gente è povera e io sono uno di loro», spiegava allora, mescolandosi ogni giorno con le decine di migliaia di cartoneros della sua città, i naufraghi della vita che rovistando nella spazzatura inseguivano un appiglio di sopravvivenza.

È in continuità con questo impegno, pastorale ma prima di tutto umano, che Francesco ha aperto l’arrivo a Venezia con quel carcere della Giudecca dove il Vaticano ha scelto di dedicare il proprio padiglione della Biennale al tema “Con i miei occhi”.

Uno spunto tratto dai versi di un sonetto di Shakespeare, «non ti amo con gli occhi / ma con questo cuore», dove si condensa uno dei messaggi di fondo del pontificato di Francesco: uscire da noi stessi per guardare l’altro negli occhi, partendo dalle realtà periferiche. Occhi che sanno vedere dentro e vedere oltre: perché «ognuno ha qualcosa di unico da dare e da ricevere, e tutti ne abbiamo bisogno». Facendosi interpreti del grido silenzioso dei poveri, «in tutti i modi in cui si è poveri oggi».

C’è un legame robusto, tra le parole del Papa e il luogo da cui ha scelto di pronunciarle: una Venezia cui nella sua omelia da piazza San Marco ha affidato il compito di saper essere «terra che fa fratelli».

Poco prima, agli artisti che espongono alla Giudecca, aveva proposto il tema di una Venezia città-rifugio, destinata a prevenire lo spargimento di sangue innocente.

Un appello lanciato da uno straordinario contesto storico quale la Serenissima: che pure di guerre ne ha vissute, dai genovesi ai turchi a Cambrai; ma che ha fondato la propria grandezza sulla capacità di far convivere le diversità, tutte le diversità: di fedi, di culture, di valori, di stili di vita, di pratiche quotidiane.

«Venezia sia sempre luogo di incontro», ha sollecitato il 28 aprile Francesco, facendone idealmente il riferimento di «un mondo nuovo, basato sull’ospitalità, l’accoglienza, l’inclusione». Un luogo in cui nessun essere umano è considerato un estraneo.

Soprattutto da quella Biennale che gli ha suggerito lo spunto per il passaggio in laguna, il Papa ha proposto per Venezia il ruolo di palestra per dare vita a «forme di appartenenza umana capaci di riconoscere, includere, proteggere, abbracciare tutti, a partire dagli ultimi». Che sono le vere vittime della più feroce e devastante delle pandemie contemporanee: la solitudine.

«Anche la nostra ombra ci lascia soli», denuncia nel padiglione della Biennale una delle più drammatiche testimonianze delle detenute della Giudecca. Frutto di un mondo che riduce troppe persone a sentirsi, ed essere, inutili a tutti, soprattutto inutili a se stesse. Ma sono proprio quelle che Francesco, da Venezia, ci richiama a saper guardare: «Con i miei occhi».

QOSHE - Papa Francesco, quello sguardo rivolto ai disperati e agli invisibili - Francesco Jori
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Papa Francesco, quello sguardo rivolto ai disperati e agli invisibili

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29.04.2024

Il Papa degli invisibili, dei più disperati: quelli che tutti vedono ma nessuno guarda davvero. L’intenso passaggio veneziano di Francesco, dalla Giudecca a San Marco, si è dipanato attorno a questo tema di fondo: restituire visibilità ai tanti, troppi ultimi della terra, condannati da quella cultura dello scarto che Bergoglio da sempre denuncia, per cui milioni di uomini non valgono nulla rispetto al profitto economico.

Lo fa fin da quando, arcivescovo di Buenos Aires, esortava la Chiesa a «sporcarsi le mani con gli ultimi» partendo dai luoghi quotidiani, specie quello particolare che è il volto del prossimo. «La mia gente è povera e io sono uno di loro», spiegava allora, mescolandosi ogni giorno con le decine di migliaia di cartoneros della sua città, i naufraghi della vita che rovistando nella spazzatura........

© Il Mattino di Padova


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