Un viaggio attraverso un itinerario poetico che trova la sua origine nel confronto con la nudità della condizione umana. Così nasceva l'arte di comporre del celebre poeta
Percorrendo in silenzio la trincea non è difficile immedesimarsi nella durezza di quelle circostanze. Tra le sterpaglie riemergono tuttora, logorati dal tempo, frammenti di munizioni e proiettili. Sui lati, graffiti e scritte qua e là conservati da più di un secolo ci restituiscono qualcosa dello stato d’animo dei giovani che in quell’angusto spazio, come sull’orlo vertiginoso della vita, trascorrevano interminabili ore. Sono questi i luoghi in cui il giovane Giuseppe Ungaretti concepì, annotandoli su frammenti di carta (“Quei foglietti: cartoline in franchigia, margini di vecchi giornali, spazi bianchi di care lettere ricevute… […] ficcandoli poi alla rinfusa nel tascapane, portandoli a vivere con me nel fango della trincea”) versi come quelli di “Veglia”, di “Sono una creatura”, di “Fratelli”, e tanti altri che proprio cento anni fa, nel 1923, confluivano nella seconda edizione de “Il Porto Sepolto”.
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