Vita, morte, ambizione, compassione, ambiguità, crescita, involuzione. Una pellicola impressionante che racconta quell’umanità perduta che si incontra lungo il feroce viaggio intrapreso dai quattro protagonisti di questa tragedia-commedia umana on the road

Partendo dalla fine, l’effetto che fa il film è parte integrante del film. Dalla visione di “Civil war” di Alex Garland, infatti, si esce pietrificati (in senso positivo: attenti all’estremo), disorientati, concentrati. E l’impressione è che non sia una cosa soggettiva, di questo o di quello spettatore. Dal primo all’ultimo fotogramma il silenzio davanti allo schermo è totale: nessun cellulare dimenticato acceso, nessun fruscio per trovare qualcosa nella borsa, nessun sussurro all’amico, nessuno che si alza. Qualsiasi rumore di fondo sparisce di fronte a un film da cui sono sparite a monte tutte le cose non necessarie a una narrazione scarna, implacabile, senza retorica, senza lezioni morali, senza consolazione, senza bontà che non abbia anche un suo tornaconto, come spesso accade nel mondo reale, e senza cattiveria che non sia il prodotto ineluttabile della discesa in un gorgo in cui chiunque potrebbe cadere, se non vigila su se stesso per tenere accesa la luce della coscienza, della libera scelta, dell’introspezione, della consapevolezza. E alla fine allo spettatore manca la parola perché questo film dice tutto e lo dice senza fronzoli: vita, morte, ambizione, compassione, ambiguità, crescita, involuzione, competizione, amore, dolore, trasformazione e caduta, leadership e tendenza gregaria. Senza spiegare, senza giustificare, senza salvare.

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Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.

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"Civil war", il film che lascia senza parole perché ha detto tutto

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25.04.2024

Vita, morte, ambizione, compassione, ambiguità, crescita, involuzione. Una pellicola impressionante che racconta quell’umanità perduta che si incontra lungo il feroce viaggio intrapreso dai quattro protagonisti di questa tragedia-commedia umana on the road

Partendo dalla fine, l’effetto che fa il film è parte integrante del film. Dalla visione di “Civil war” di Alex Garland, infatti, si esce pietrificati (in senso positivo: attenti all’estremo), disorientati, concentrati. E l’impressione è che non sia una cosa soggettiva, di questo o di quello spettatore. Dal primo all’ultimo fotogramma il silenzio........

© Il Foglio


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