Terrorismo, disordine, odio. Aprire gli occhi sul paese degli ayatollah per difendere non solo lo stato ebraico ma anche tutto il mondo libero
Si scrive Iran, si legge terrore. Si scrive Israele, si legge libertà. Buona parte della comunità internazionale, lo avrete notato in questi giorni, è convinta ormai da tempo che la minaccia incarnata dal regime iraniano sia un problema che riguardi Israele, e nulla di più. E anche in queste ore – nelle ore cioè che precedono quello che secondo molti osservatori è un attacco imminente a Israele, da parte dell’Iran o da parte di una delle milizie sostenute dal regime – la sensazione drammaticamente diffusa è che vi sia un grande equivoco, sull’Iran, che meriterebbe di essere illuminato, a prescindere da quella che sarà l’evoluzione del conflitto. L’equivoco è che la guerra a bassa e alta intensità combattuta dall’Iran contro Israele sia una guerra che riguarda solo gli equilibri del medio oriente e non una guerra che riguarda invece i confini del mondo libero.
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Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.