La segretaria dem sono mesi che mostra quanto detesti tutto ciò che lo stesso Pd rappresenta. Per questo, insieme al Movimento 5 Stelle, si isola in Europa e al moralismo risponde con altro moralismo
Lo pensi mentre è lì a occuparsi del disastro di Bari. Lo pensi mentre è lì a occuparsi del posizionamento sui migranti. Lo pensi mentre è lì che cerca un modo per far sentire la propria voce sul Patto di stabilità. Lo pensi mentre è lì che cerca di non farsi oscurare da Giuseppe Conte. Lo pensi mentre è lì che cerca un modo per trovare la giusta armocromia per le liste del Pd. Lo pensi mentre è lì che cerca di trovare le parole giuste per non far capire quello che davvero pensa dell’Ucraina, delle armi a Zelensky, della difesa di Israele, del garantismo. Sono mesi che ogni volta che ne ha l’occasione Elly Schlein offre elementi fattuali per mostrare quanto la segretaria del Pd detesti più o meno tutto ciò che il Pd rappresenta. La sua storia, la sua struttura, la sua forma, la sua classe dirigente, la sua identità, il suo posizionamento europeo e persino quelle correnti senza le quali oggi la leader del Pd non sarebbe alla guida del Pd. I fatti sono noti ma vale la pena metterli l’uno vicino all’altro.
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Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.