Lluís Pasqual si è limitato a organizzare entrate e uscite, in un vuoto pneumatico di idee o anche solo di trovate. Un concerto in costume, e nemmeno tanto bello da vedere
Impressioni dopo il primo atto della prima di parata (ma avendo visto anche la “primina” under 30, il cosiddetto “turno acne”): è il Don Carlo di Riccardo Chailly. Il direttore musicale della Scala inventa un suono compatto, denso, profondo, perfino doloroso ma che resta sempre trasparente, con una perfetta differenziazione dei piani sonori. Più tragedia privata che pubblica, più dramma di individui che di popolo, è un Don Carlo di grande fascino, “abbadiano” di impianto ma personalissimo, evidentemente studiato e meditato a fondo ma senza l’effetto refrigerante che producono le letture troppo analitiche. Orchestra e Coro superlativi. Peccato che il teatro, grande teatro, che si fa in buca non abbia un corrispettivo in scena, dove Lluís Pasqual, uno di quei “revenants”, come li avrebbe chiamati Vittorio Emanuele III, che Chailly si ostina a scritturare, si limita in pratica a organizzare entrate e uscite, in un vuoto pneumatico di idee o anche solo di trovate. Mai vista una prima della Scala così statica: un concerto in costume, e nemmeno tanto bello da vedere.
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