L’archiviazione di un procedimento penale per maltrattamenti o abusi non comporta, in maniera automatica, il rientro dei bambini in famiglia, dovendo il Tribunale dei Minori valutare la capacità genitoriale e il benessere dei figli a prescindere da una condanna in sede penale. A chiarirlo, nel corso del processo Angeli e Demoni sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza, è stata Elena Buccoliero, ex giudice onorario del Tribunale per i Minori di Bologna, sentita ieri come teste dell’accusa. Le difficoltà e i pregiudizi, ha sottolineato Buccoliero, non sempre dipendono da reati accertati o accertabili. Come nel caso della violenza familiare, in cui spesso le denunce vengono ritirate, pregiudicando in maniera seria la possibilità di dimostrare i maltrattamenti.

Nonostante ciò, le situazioni di violenza devono essere prese in considerazione per la tutela del bambino. Proprio come è successo in uno dei casi oggetto del processo: nonostante il padre non avesse precedenti penali ( se non datati nel tempo), l’uomo ha ammesso davanti ai magistrati minorili di essere stato segnalato più volte per rissa, nonché l’abuso di alcol e le liti con la moglie davanti al piccolo, deprecando il proprio stesso comportamento e promettendo di redimersi. Buccoliero è stata direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati nel periodo dal 2014 al 2021, dunque per l’intero periodo delle indagini, spiegando che le richieste di accesso al fondo avanzate dall’Unione della Val d’Enza, dal 2014 al 2018, sono state 11 su 150, una quota plausibile e non particolarmente straordinaria, delle quali solo alcune sono state liquidate.

La teste ha spiegato anche che ci furono cambi di destinazione in itinere sulle istanze della Val d’Enza, come nel caso di una giovane che aveva subito tentata violenza, per la quale il Servizio sociale aveva chiesto di destinare i soldi per consentire alla giovane di frequentare un percorso scolastico anziché per la psicoterapia, richiesta accolta dalla fondazione. Una circostanza, quest’ultima, che smentirebbe la tesi secondo cui i servizi avevano come fine quello di “far arricchire” gli psicoterapeuti considerati amici, come Claudio Foti. Buccoliero ha anche chiarito il motivo per cui, in una mail indirizzata all’assistente sociale Francesco Monopoli ( difeso da Nicola Canestrini e Giuseppe Sambataro), avesse dato istruzioni su come correggere la relazione inviatale per uno dei casi sottoposti all’attenzione della fondazione. Controllare le relazioni prima che venissero firmate dal sindaco e spedite ufficialmente via pec era, infatti, uno dei suoi compiti da direttrice, ha evidenziato, compreso quello di chiedere correzioni e integrazioni. Una vera e propria prassi, come dimostrato dalle mail esibite in aula da Buccoliero e indirizzate anche a sindaci e servizi esterni alla Val d’Enza, mail nelle quali forniva le stesse istruzioni date, in quell’occasione, a Monopoli. Il suo ruolo, poi, si esauriva prima della procedura di assegnazione dei fondi, perché tale decisione era nei compiti del presidente della fondazione e del comitato dei garanti, del quale lei non faceva parte.

Buccoliero ha dichiarato di aver conosciuto Monopoli e Anghinolfi quando il giudice minorile Mirko Stifano la incaricò di raccogliere alcuni atti istruttori su una delicatissima vicenda di violenza. Da lì si era creata una certa sintonia di lavoro professionale tra Buccoliero e il servizio sociale della Val d’enza, al punto da partecipare al seminario di presentazione di un servizio educativo pomeridiano per gli adolescenti e a due convegni organizzati dal servizio della Val d’Enza. La teste ha spiegato poi che al suo arrivo alla presidenza del Tribunale per i Minori, nel 2013, Giuseppe Spadaro aveva trovato un ufficio fortemente sottodimensionato, in grandissimo affanno, con pochi togati, metà dei cancellieri previsti e grandissime difficoltà di comunicazione, sia con gli avvocati sia con gli operatori dei servizi. Per tale motivo, a novembre del 2013, il presidente Spadaro stabilì, con una circolare, una nuova organizzazione del lavoro, assegnando ad ogni togato un gruppo fisso di magistrati onorari e istituendo la figura di un giudice onorario di riferimento, che facesse da collegamento col territorio, con i servizi e con l’avvocatura. Era dunque assolutamente normale che i magistrati onorari avessero rapporti con i servizi. Ma non solo.

In aula, ieri, ha testimoniato anche Francesca Malgoni, giudice civile, che a luglio 2020, ovvero un anno dopo l’esecuzione delle misure cautelari, fu costretta a richiamare il padre della piccola K. - la bambina che aveva chiamato i carabinieri dicendo di essere stata lasciata sola dai genitori - lamentando il suo ostruzionismo e la scarsa collaborazione con i servizi, nonché l’atteggiamento denigratorio nei confronti della madre della ragazza, che, ha confermato la teste, non voleva vedere la madre. Dopo l’irruzione in ospedale da parte dei genitori - non autorizzata - durante il ricovero di K., il collegio del quale la dottoressa Malgoni era componente, ad aprile 2018, decise di sospendere la responsabilità genitoriale della madre a anche del padre, senza però che per la figura del padre vi fosse stata la proposta da parte del servizio sociale. La teste ha riferito anche di essere rimasta meravigliata dalla richiesta della procura di poter accedere al fascicolo del caso, richiesta non necessaria in quanto il pubblico ministero aveva già libero accesso al fascicolo, essendo parte del procedimento.

Nel pomeriggio sono stati ascoltati due vicini di casa della famiglia di K., una delle quali proprietaria di una trattoria dove la bambina era andata qualche volta da sola cenare perché la madre non le faceva da mangiare. La donna ha riferito che il padre aveva chiarito che nel caso in cui si fosse presentata anche la madre, assieme alla bambina, lui avrebbe saldato il conto solo per la figlia e non per la moglie. Altra testimone – vicina di casa all’epoca dei fatti ha poi riferito della solitudine di K., che spesso veniva vista da sola su una panchina, senza compagnia, perché gli altri bambini non giocavano con lei; o di quando di notte, a maggio 2016, fu lasciata a casa da sola: la bambina chiese aiuto urlando dal balcone che avevano portato via sua madre, chiedendo di chiamare i carabinieri.

QOSHE - Bibbiano, l’ex giudice onoraria: «Non serve una condanna penale per tutelare i minori» - Simona Musco
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Bibbiano, l’ex giudice onoraria: «Non serve una condanna penale per tutelare i minori»

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19.03.2024

L’archiviazione di un procedimento penale per maltrattamenti o abusi non comporta, in maniera automatica, il rientro dei bambini in famiglia, dovendo il Tribunale dei Minori valutare la capacità genitoriale e il benessere dei figli a prescindere da una condanna in sede penale. A chiarirlo, nel corso del processo Angeli e Demoni sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza, è stata Elena Buccoliero, ex giudice onorario del Tribunale per i Minori di Bologna, sentita ieri come teste dell’accusa. Le difficoltà e i pregiudizi, ha sottolineato Buccoliero, non sempre dipendono da reati accertati o accertabili. Come nel caso della violenza familiare, in cui spesso le denunce vengono ritirate, pregiudicando in maniera seria la possibilità di dimostrare i maltrattamenti.

Nonostante ciò, le situazioni di violenza devono essere prese in considerazione per la tutela del bambino. Proprio come è successo in uno dei casi oggetto del processo: nonostante il padre non avesse precedenti penali ( se non datati nel tempo), l’uomo ha ammesso davanti ai magistrati minorili di essere stato segnalato più volte per rissa, nonché l’abuso di alcol e le liti con la moglie davanti al piccolo, deprecando il proprio stesso comportamento e promettendo di redimersi. Buccoliero è stata direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati nel periodo dal 2014 al 2021, dunque per l’intero periodo delle indagini, spiegando che le richieste di accesso al fondo avanzate dall’Unione della Val d’Enza, dal 2014 al 2018, sono state 11 su 150, una quota plausibile e........

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