In un'epoca in cui la comunicazione digitale è sempre più centrale, la figura dell’influencer – o del “content creator” – resta ancora fumosa agli occhi dell’opinione pubblica. Spesso definita sulla base di una serie di luoghi comuni e preconcetti, il più delle volte è negativamente connotata. Una vita patinata, guadagni facili e un distacco dal cosiddetto “mondo reale” sono tra le caratteristiche che più spesso si associano a queste star dei social, in una sommaria generalizzazione della categoria. Ma la realtà di queste professioni, perché di professioni oggi si tratta, è ben diversa e molto più complessa: gli influencer e i content creator rispondono a regole nuove, muovendosi in contesti in continua evoluzione, e sono espressione diretta dei nuovi mezzi di comunicazione.

Confrontandomi con i nostri associati, a oggi oltre 500, ho individuato sette “falsi miti” da sfatare per iniziare a costruire una narrazione più realistica del comparto, premessa fondamentale per affrontare le questioni che riguardano la categoria in modo pragmatico e non ideologico.

  1. “Il lavoro dell’influencer è facile e veloce”. Si sa, fare “stories” su Instagram è un’attività alla portata di tutti: si caricano tra una pausa pranzo e una pausa caffè, e non c’è bisogno di competenze specifiche. In realtà, è proprio la pianificazione, la produzione e la post-produzione dei contenuti a trasformare “quello che fanno tutti” in un’attività professionale. Quanti, tra gli iscritti ai social network, predispongono ogni mese un piano editoriale? Quanti lavorano ai propri video utilizzando strumenti professionali di editing? Solo alcuni: i content creator e gli influencer.
  2. “Gli influencer possono contare su guadagni immediati e sicuri”. Le vite patinate degli influencer e dei content creator più di spicco hanno contribuito a creare la convinzione che sui social si possa guadagnare facilmente cifre elevate con pochissime pubblicazioni. In realtà, come ogni attività imprenditoriale, è necessario impegnarsi in investimenti iniziali e in anni di duro e continuativo lavoro prima di registrare ritorni significativi. Dei 350mila professionisti che lavorano con la creatività digitale, inoltre, la maggior parte sono a partita IVA – con le opportunità e le difficoltà che tale regime comporta – e solo una manciata guadagnano cifre realmente fuori mercato.
  3. “Gli influencer hanno una vita perfetta”. Spesso i contenuti che compaiono sui social presentano solo gli aspetti positivi della vita degli influencer e creano per questo aspettative irrealistiche. In realtà, quello che compare sui social è come sempre frutto di un accurato filtro che preseleziona i contenuti. Anche se molti di questi sembrano spontanei, spesso c'è un'accurata pianificazione dietro, perché gli influencer e i content creator devono gestire attentamente la propria immagine e il proprio brand personale.
  4. “Per fare gli influencer basta essere belli o divertenti”. Come in tutti i contesti lavorativi e non, le hard skills si affiancano alle soft skills nel raggiungimento degli obiettivi, ma il successo a lungo termine richiede sempre dedizione, impegno e investimenti.
  5. “Gli influencer sono parassiti della società”. Alcuni ritengono che il lavoro degli influencer e dei content creator non apporti un valore concreto alla società, ma anzi che spesso vivano “sulle spalle degli altri”. In realtà l’apporto che questi professionisti possono dare è rilevante e variegato. Se si guarda esclusivamente alla promozione dei prodotti svolta dagli influencer intesi in senso “puro”, questa si inserisce all’interno di un più ampio contesto pubblicitario, se invece si considera anche tutta l’attività dei content creator, risulta evidente che le piattaforme vengono utilizzate per i motivi più diversi: valorizzazione di cause benefiche, sensibilizzazione, svago e tanto altro, ponendo il content creator sullo stesso piano di un artista o un attivista.
  6. “Gli influencer sono tutti uguali”. La tendenza a generalizzare ignora la vasta varietà di nicchie e specializzazioni esistenti sui social, ognuna con prospettive uniche e contributi originali. Non solo moda e viaggi, ma anche food, gaming, pet e molte altre categorie.
  7. “Gli influencer sono ignoranti, si sono riciclati sui social perché non hanno intrapreso un percorso di studio che li ha portati a svolgere specifiche professioni”. Il percorso per diventare influencer o content creator è ancora destrutturato, perché la categoria si sta professionalizzando in questi anni, ma non per questo è inesistente: per trasformare la propria semplice “presenza” sui social in una professione sono necessari investimenti e lunghi periodi di apprendimento, destinati a capire come utilizzare gli strumenti specifici in un panorama digitale in costante evoluzione e utili ad affinare le proprie strategie di personal branding, temi studiati nei principali corsi di laurea di marketing e comunicazione.

Certo è che gli influencer e i content creator svolgono un’attività nuova, i cui meccanismi e le cui regole sfuggono ancora a tanti. Eppure la loro centralità è indiscussa: il 76% della popolazione italiana segue un influencer, ed è per questo che bisogna avviare un dialogo costruttivo sull’etica della professione. Per valorizzarne realmente le potenzialità e contenere eventuali disfunzioni, è più che mai necessario equiparare la loro attività a una qualsiasi altra professione, con una normativa, una cassa previdenziale e una rappresentanza dedicata. Solo infatti definendo una strada chiara sarà possibile tutelare tutti gli attori in gioco, a partire dagli utenti delle piattaforme.

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In un'epoca in cui la comunicazione digitale è sempre più centrale, la figura dell’influencer – o del “content creator” – resta ancora fumosa agli occhi dell’opinione pubblica. Spesso definita sulla base di una serie di luoghi comuni e preconcetti, il più delle volte è negativamente connotata. Una vita patinata, guadagni facili e un distacco dal cosiddetto “mondo reale” sono tra le caratteristiche che più spesso si associano a queste star dei social, in una sommaria generalizzazione della categoria. Ma la realtà di queste professioni, perché di professioni oggi si tratta, è ben diversa e molto più complessa: gli influencer e i content creator rispondono a regole nuove, muovendosi in contesti in continua evoluzione, e sono espressione diretta dei nuovi mezzi di comunicazione.

Confrontandomi con i nostri associati, a oggi oltre 500, ho individuato sette “falsi miti” da sfatare per iniziare a costruire una narrazione più realistica del comparto, premessa fondamentale per affrontare le questioni che riguardano la categoria in modo pragmatico e non ideologico.

Certo è che gli influencer e i content creator svolgono un’attività nuova, i cui meccanismi e le cui regole sfuggono ancora a tanti. Eppure la loro centralità è indiscussa: il 76% della popolazione italiana segue un influencer, ed è per questo che bisogna avviare un dialogo costruttivo sull’etica della professione. Per valorizzarne realmente le potenzialità e contenere eventuali disfunzioni, è più che mai necessario equiparare la loro attività a una qualsiasi altra professione, con una normativa, una cassa previdenziale e una rappresentanza dedicata. Solo infatti definendo una strada chiara sarà possibile tutelare tutti gli attori in gioco, a partire dagli utenti delle piattaforme.

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Influencer e content creator dietro le luci della ribalta digitale

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08.04.2024

In un'epoca in cui la comunicazione digitale è sempre più centrale, la figura dell’influencer – o del “content creator” – resta ancora fumosa agli occhi dell’opinione pubblica. Spesso definita sulla base di una serie di luoghi comuni e preconcetti, il più delle volte è negativamente connotata. Una vita patinata, guadagni facili e un distacco dal cosiddetto “mondo reale” sono tra le caratteristiche che più spesso si associano a queste star dei social, in una sommaria generalizzazione della categoria. Ma la realtà di queste professioni, perché di professioni oggi si tratta, è ben diversa e molto più complessa: gli influencer e i content creator rispondono a regole nuove, muovendosi in contesti in continua evoluzione, e sono espressione diretta dei nuovi mezzi di comunicazione.

Confrontandomi con i nostri associati, a oggi oltre 500, ho individuato sette “falsi miti” da sfatare per iniziare a costruire una narrazione più realistica del comparto, premessa fondamentale per affrontare le questioni che riguardano la categoria in modo pragmatico e non ideologico.

  • “Il lavoro dell’influencer è facile e veloce”. Si sa, fare “stories” su Instagram è un’attività alla portata di tutti: si caricano tra una pausa pranzo e una pausa caffè, e non c’è bisogno di competenze specifiche. In realtà, è proprio la pianificazione, la produzione e la post-produzione dei contenuti a trasformare “quello che fanno tutti” in un’attività professionale. Quanti, tra gli iscritti ai social network, predispongono ogni mese un piano editoriale? Quanti lavorano ai propri video utilizzando strumenti professionali di editing? Solo alcuni: i content creator e gli influencer.
  • “Gli influencer possono contare su guadagni immediati e sicuri”. Le vite patinate degli influencer e dei content creator più di spicco hanno contribuito a creare la convinzione che sui social si possa........

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