Viviana e Anna sono madre e figlia e ci parliamo ai tavolini del bar della Fondazione Time2. Siamo all’aperto perché sono i primi giorni di primavera e nonostante il vento caldo tiri un po’ troppo forte, si sta bene. Parliamo di disabilità, del passaggio all’età adulta e del diritto alla libertà di scelta.

Viviana mi racconta che quando il fratello di Anna, Francesco, ha iniziato la quinta superiore, da subito gli è stato chiesto cosa avrebbe voluto fare dopo la maturità. Siamo a marzo e ad Anna, che frequenta l’ultimo anno del liceo scientifico, nessuno ha ancora chiesto nulla. Nemmeno l’insegnante di sostegno.

Se nessuno ti chiede quali sono le tue aspirazioni– mi dice Viviana - è difficile immaginare di poter fare delle scelte, ma perché la domanda ti venga posta devi essere visto come un soggetto libero e capace di desiderare, scegliere e progettare (‘’Assume that I can!”). Quel silenzio è stato colmato in famiglia e ora Anna racconta che ha deciso di prendere un anno sabbatico nel quale capire come realizzare il sogno di lavorare con i bambini. Una strada potrebbe essere quella di entrare nella scuola come collaboratrice scolastica. Sarebbe un bel modo per stare al contatto con i bambini. Un’altra è di iscriversi all’università. Accessibilità permettendo: se guardiamo ai dati più recenti il tasso di iscrizione all’università delle persone con disabilità, infatti, è del 23%, rispetto al tasso medio europeo del 30% ed è ancora bassa la percentuale (il 47,7 %) delle scuole che compiono attività specifiche di orientamento presso gli istituti superiori (dati Anvur, 2022). L’Università di Torino – lo fanno il 68,9% delle Università - ha attivato il servizio di tutorato didattico alla pari che è svolto da studenti e studentesse con lo scopo di favorire i processi di apprendimento e la piena partecipazione alle attività didattiche.

“Partecipazione” è una parola alla quale Viviana e Anna tengono molto: qualunque strada Anna intraprenderà - mi dicono decise - vuole farlo in luoghi non esclusivi per persone con disabilità. È questo d'altronde quello che normalmente propongono le realtà che lavorano nell’ambito delle disabilità. Avere una disabilità iscrive la persona in una regione separata della convivenza, dico a Viviana nel mio linguaggio un po' filosofico e, mentre lo dico, penso al fatto che la parola giusta da usare sarebbe segregazione che vuole dire tenere separato dagli altri. La segregazione avviene anche con le migliori intenzioni - infatti non è tanto una questione morale - quanto di costruzione storico-culturale dello statuto sociale delle persone con disabilità. Inizia con l’assenza della domanda sulle proprie aspirazioni, prosegue con opportunità ridotte e contesti non accessibili, finisce in luoghi separati.

Ripenso a quello che diceva Viviana: alla radice della questione della libertà - e della segregazione - ci sono proprio le domande, quotidiane e ovvie per chi non ha una disabilità e che sono alla base della libertà riconosciuta di costruire il proprio percorso di vita nella società. L’assenza di quelle domande prepara le persone con disabilità a una sorta di limbo sociale, ai margini del sistema formale di partecipazione, nel quale il passaggio all’età adulta rischia di essere negato. È il welfare di protezione, modello da superare, e di cui le spinte verso la deistituzionalizzazione presente nel PNRR e nella nuova legge delega 227/2021 in materia di disabilità chiedono riforma profonda. Una legge attesa, quest’ultima, per l’importante allineamento culturale e normativo alla prospettiva dei diritti delle persone con disabilità di essere al centro delle proprie decisioni, del proprio progetto di vita e del diritto a contesti sociali accessibili e non segreganti.

Su questo Anna è stata fortunata: è cresciuta in un contesto familiare, e ha fatto alcuni incontri importanti, che le hanno riconosciuto il diritto alla libertà di scelta e quindi il diritto a sentirsi chiedere di sé. Così Anna avrà tutto il tempo di avere dubbi su cosa rispondere oppure su come fare a realizzare, anche con fatica, i propri sogni. Come succede a chiunque.

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Viviana e Anna sono madre e figlia e ci parliamo ai tavolini del bar della Fondazione Time2. Siamo all’aperto perché sono i primi giorni di primavera e nonostante il vento caldo tiri un po’ troppo forte, si sta bene. Parliamo di disabilità, del passaggio all’età adulta e del diritto alla libertà di scelta.

Viviana mi racconta che quando il fratello di Anna, Francesco, ha iniziato la quinta superiore, da subito gli è stato chiesto cosa avrebbe voluto fare dopo la maturità. Siamo a marzo e ad Anna, che frequenta l’ultimo anno del liceo scientifico, nessuno ha ancora chiesto nulla. Nemmeno l’insegnante di sostegno.

Se nessuno ti chiede quali sono le tue aspirazioni– mi dice Viviana - è difficile immaginare di poter fare delle scelte, ma perché la domanda ti venga posta devi essere visto come un soggetto libero e capace di desiderare, scegliere e progettare (‘’Assume that I can!”). Quel silenzio è stato colmato in famiglia e ora Anna racconta che ha deciso di prendere un anno sabbatico nel quale capire come realizzare il sogno di lavorare con i bambini. Una strada potrebbe essere quella di entrare nella scuola come collaboratrice scolastica. Sarebbe un bel modo per stare al contatto con i bambini. Un’altra è di iscriversi all’università. Accessibilità permettendo: se guardiamo ai dati più recenti il tasso di iscrizione all’università delle persone con disabilità, infatti, è del 23%, rispetto al tasso medio europeo del 30% ed è ancora bassa la percentuale (il 47,7 %) delle scuole che compiono attività specifiche di orientamento presso gli istituti superiori (dati Anvur, 2022). L’Università di Torino – lo fanno il 68,9% delle Università - ha attivato il servizio di tutorato didattico alla pari che è svolto da studenti e studentesse con lo scopo di favorire i processi di apprendimento e la piena partecipazione alle attività didattiche.

“Partecipazione” è una parola alla quale Viviana e Anna tengono molto: qualunque strada Anna intraprenderà - mi dicono decise - vuole farlo in luoghi non esclusivi per persone con disabilità. È questo d'altronde quello che normalmente propongono le realtà che lavorano nell’ambito delle disabilità. Avere una disabilità iscrive la persona in una regione separata della convivenza, dico a Viviana nel mio linguaggio un po' filosofico e, mentre lo dico, penso al fatto che la parola giusta da usare sarebbe segregazione che vuole dire tenere separato dagli altri. La segregazione avviene anche con le migliori intenzioni - infatti non è tanto una questione morale - quanto di costruzione storico-culturale dello statuto sociale delle persone con disabilità. Inizia con l’assenza della domanda sulle proprie aspirazioni, prosegue con opportunità ridotte e contesti non accessibili, finisce in luoghi separati.

Ripenso a quello che diceva Viviana: alla radice della questione della libertà - e della segregazione - ci sono proprio le domande, quotidiane e ovvie per chi non ha una disabilità e che sono alla base della libertà riconosciuta di costruire il proprio percorso di vita nella società. L’assenza di quelle domande prepara le persone con disabilità a una sorta di limbo sociale, ai margini del sistema formale di partecipazione, nel quale il passaggio all’età adulta rischia di essere negato. È il welfare di protezione, modello da superare, e di cui le spinte verso la deistituzionalizzazione presente nel PNRR e nella nuova legge delega 227/2021 in materia di disabilità chiedono riforma profonda. Una legge attesa, quest’ultima, per l’importante allineamento culturale e normativo alla prospettiva dei diritti delle persone con disabilità di essere al centro delle proprie decisioni, del proprio progetto di vita e del diritto a contesti sociali accessibili e non segreganti.

Su questo Anna è stata fortunata: è cresciuta in un contesto familiare, e ha fatto alcuni incontri importanti, che le hanno riconosciuto il diritto alla libertà di scelta e quindi il diritto a sentirsi chiedere di sé. Così Anna avrà tutto il tempo di avere dubbi su cosa rispondere oppure su come fare a realizzare, anche con fatica, i propri sogni. Come succede a chiunque.

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27.03.2024

Viviana e Anna sono madre e figlia e ci parliamo ai tavolini del bar della Fondazione Time2. Siamo all’aperto perché sono i primi giorni di primavera e nonostante il vento caldo tiri un po’ troppo forte, si sta bene. Parliamo di disabilità, del passaggio all’età adulta e del diritto alla libertà di scelta.

Viviana mi racconta che quando il fratello di Anna, Francesco, ha iniziato la quinta superiore, da subito gli è stato chiesto cosa avrebbe voluto fare dopo la maturità. Siamo a marzo e ad Anna, che frequenta l’ultimo anno del liceo scientifico, nessuno ha ancora chiesto nulla. Nemmeno l’insegnante di sostegno.

Se nessuno ti chiede quali sono le tue aspirazioni– mi dice Viviana - è difficile immaginare di poter fare delle scelte, ma perché la domanda ti venga posta devi essere visto come un soggetto libero e capace di desiderare, scegliere e progettare (‘’Assume that I can!”). Quel silenzio è stato colmato in famiglia e ora Anna racconta che ha deciso di prendere un anno sabbatico nel quale capire come realizzare il sogno di lavorare con i bambini. Una strada potrebbe essere quella di entrare nella scuola come collaboratrice scolastica. Sarebbe un bel modo per stare al contatto con i bambini. Un’altra è di iscriversi all’università. Accessibilità permettendo: se guardiamo ai dati più recenti il tasso di iscrizione all’università delle persone con disabilità, infatti, è del 23%, rispetto al tasso medio europeo del 30% ed è ancora bassa la percentuale (il 47,7 %) delle scuole che compiono attività specifiche di orientamento presso gli istituti superiori (dati Anvur, 2022). L’Università di Torino – lo fanno il 68,9% delle Università - ha attivato il servizio di tutorato didattico alla pari che è svolto da studenti e studentesse con lo scopo di favorire i processi di apprendimento e la piena partecipazione alle attività didattiche.

“Partecipazione” è una parola alla quale Viviana e Anna tengono molto: qualunque strada Anna intraprenderà - mi dicono decise - vuole farlo in luoghi non esclusivi per persone con disabilità. È questo d'altronde quello che........

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