L'ultima volta che lo vidi in tv in un'occasione ufficiale era la sera del 12 febbraio di sette anni fa, anteprima di un Cagliari-Juventus che di memorabile aveva la consegna a Gigi Riva, da parte del presidente del Coni Malagò, del Collare d’oro per meriti sportivi, la massima onorificenza del Comitato olimpico. Credo che in molti si siano un po’ commossi e inteneriti quella sera quando il portierone della Nazionale Buffon abbracciò una, due volte, il vecchio campione piegato dagli anni e dagli acciacchi ma ancora capace di sollevare ondate di entusiasmo e di genuino rispetto: era come se tutti gli italiani idealmente lo abbracciassero. Per una sera il grande Gigi aveva fatto gol senza giocare.

I padri invecchiano, le membra cedono, solo la memoria delle passate imprese è incancellabile. Per almeno dieci anni, tra la metà degli anni Sessanta e la metà dei Settanta, Luigi Riva da Leggiuno, per tutti Giggirriva da Cagliari, incarnò l’ideale della potenza atletica e del coraggio abbinati al gioco del calcio. Per lui si sprecarono lodi, iperboli, e qualche critica malevola. I sardi, suo popolo d’adozione, lo chiamavano “Arrogadottu", rompi tutto. Gianni Brera, geniale coniatore di soprannomi, lo ribattezzò “Rombo di tuono”, perché - diceva - l’impatto del suo piede sinistro con il pallone produceva un rumore simile alle saette in certe giornate di pioggia.

Il 12 aprile 1970, vincendo 2-0 contro il Bari sul terreno amico dell'Amsicora, il "suo" Cagliari diventava campione d'Italia con due giornate d'anticipo.

«Ci chiamavano pecorai o banditi quando andavamo a giocare in continente», ricordava più volte Gigi, che di quella squadra era non solo il cannoniere dal tiro fulminante, ma innanzi tutto il simbolo. Fino a diventare, lui, lombardo, il portabandiera, il vindice di un'isola dimenticata dai Savoia prima e dalla Repubblica poi.

Probabilmente non è dato negli annali del calcio una tale identificazione del periodo migliore di un club con la carriera di un suo singolo, ancorché importante, giocatore. Il Cagliari approdò in Serie A per la prima volta nel 1964, aiutato anche dai gol dell'allora diciannovenne Riva, non ancora "Rombo di tuono", ma già indurito da un'infanzia in collegio per la perdita del padre a soli otto anni. Tra il 1964 e il 1975 la società sarda ottenne uno scudetto, un secondo e un quarto posto. Negli ultimi quarant'anni i migliori piazzamenti del Cagliari sono stati due sesti posti: nel 1980-81 e nel 1992-93.

Fu l’oggetto del desiderio di molte squadre di calcio e di milioni di fanciulle, come George Best e molto prima di Cabrini e Maldini. È stato un grande interprete del gioco più bello del mondo. È stato, soprattutto, un grande uomo. Herman Hesse scrisse: “Sono più le persone disposte a morire per degli ideali, che quelle disposte a vivere per essi”. La coerenza, una virtù che costa. E Gigi Riva non ebbe mai paura di pagarne il prezzo. Riposa in pace, grande uomo.

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Gigi Riva, l’ideale della potenza atletica e del coraggio abbinati al gioco del calcio

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23.01.2024

L'ultima volta che lo vidi in tv in un'occasione ufficiale era la sera del 12 febbraio di sette anni fa, anteprima di un Cagliari-Juventus che di memorabile aveva la consegna a Gigi Riva, da parte del presidente del Coni Malagò, del Collare d’oro per meriti sportivi, la massima onorificenza del Comitato olimpico. Credo che in molti si siano un po’ commossi e inteneriti quella sera quando il portierone della Nazionale Buffon abbracciò una, due volte, il vecchio campione piegato dagli anni e dagli acciacchi ma ancora capace di sollevare ondate di entusiasmo e di genuino rispetto: era come se tutti gli italiani idealmente lo abbracciassero. Per una sera il grande Gigi aveva fatto gol senza giocare.

I padri invecchiano, le membra cedono, solo la memoria delle passate imprese........

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