Un giorno e mezzo a Guardia Vomano, in Abruzzo, ed è normalità. Per normalità intendo tranquillità, pacatezza, semplicità, un viaggio nel “passato” laddove la tecnologia si limita a qualche profilo Facebook che mette in contatto chi è ancora nel paese, con chi invece se ne è andato. Non c’è un treno che ci arriva, ma il pullman che ferma a Teramo. Era tanto che non sentivo la parola “G-Gomma” per indicare una gomma da masticare, la chiamava così mia nonna che sempre in un borgo viveva, qui è “G-Gomma”. Anche questo è la normalità di un passato in cui gli inglesismi non hanno attecchito o peggio aggredito, la lingua locale.

Sono le sei del pomeriggio, il Gran Sasso fa capolino tra la foschia, lì in fondo. Immenso. È bianco. Solo alle punte. Al mattino scintillano al sole.

Le campane della Chiesa Madre, che poi è quella di San Rocco, suonano. All’ingresso si assiepano le donne per entrare. C’è anche qualche uomo. Ma sono le donne che vanno in chiesa. Sono le mogli. I mariti sono ancora a lavorare. Il macellaio del paese, la cui “dolce metà” è sui banchi scricchiolanti della chiesa, è infatti lì che taglia e serve. Qui gli arrosticini sono il cavallo di battaglia del paese, ahimè. Che la carne sia coltivata o sostituita, saremo un mondo migliore quando non si uccideranno più animali per nutrirsi.

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Un giorno e mezzo a Guardia Vomano, in Abruzzo, ed è normalità. Per normalità intendo tranquillità, pacatezza, semplicità, un viaggio nel “passato” laddove la tecnologia si limita a qualche profilo Facebook che mette in contatto chi è ancora nel paese, con chi invece se ne è andato. Non c’è un treno che ci arriva, ma il pullman che ferma a Teramo. Era tanto che non sentivo la parola “G-Gomma” per indicare una gomma da masticare, la chiamava così mia nonna che sempre in un borgo viveva, qui è “G-Gomma”. Anche questo è la normalità di un passato in cui gli inglesismi non hanno attecchito o peggio aggredito, la lingua locale.

Sono le sei del pomeriggio, il Gran Sasso fa capolino tra la foschia, lì in fondo. Immenso. È bianco. Solo alle punte. Al mattino scintillano al sole.

Le campane della Chiesa Madre, che poi è quella di San Rocco, suonano. All’ingresso si assiepano le donne per entrare. C’è anche qualche uomo. Ma sono le donne che vanno in chiesa. Sono le mogli. I mariti sono ancora a lavorare. Il macellaio del paese, la cui “dolce metà” è sui banchi scricchiolanti della chiesa, è infatti lì che taglia e serve. Qui gli arrosticini sono il cavallo di battaglia del paese, ahimè. Che la carne sia coltivata o sostituita, saremo un mondo migliore quando non si uccideranno più animali per nutrirsi.

Qualche istante. Click. All’interno è luce. C’è una navata unica, dunque un solo “corridoio” che porta all’altare. È attraversata da un transetto poco prima della zona presbiteriale. Il punto in cui la navata e il transetto si incontrano ha una copertura a cupola. Alzate gli occhi, vi piacerà. Quattro grandi archi a tutto sesto poggiano su massicce colonne. Vicino a una delle due acquasantiere incastonate nella parete di fondo, c’è la placca con la Croce delle Indulgenze, concessa da Papa Leone XIII nel 1901. Un organo a canne e il coro trovano posto in un soppalco sorretto da quattro colonnine in corrispondenza dell’ingresso.

Affascinante.

Ma la più bella di Guardia Vomano è di certo la Chiesa di San Clemente. È vicino al cimitero, e per me che li amo tanto, da osservare nei viaggi, è di certo un punto in più da aggiungere all’eleganza, equilibrata, della chiesa. Ma non sono l’unica a pensarla così, sui cimiteri. Qui ho incontrato Lorenzo, mi fa da guida, emigrato negli Stati Uniti, dove trovò l’amore, decise di coronarlo esattamente in questa bellissima chiesa, adiacente al camposanto (così lo chiama) dove sono sepolti i cari estinti della sua famiglia. Sul pavimento ci sono le vetrate che mostrano le vecchie fondamenta del 1100. Sull'altare c'è un ciborio intarsiato, dell’altomedievale. Sono presenti nelle pareti anche lacerti d'affresco, o meglio le caratteristiche salienti di ciò che ne resta, che vanno dal 1400 al 1600.

A Guardia Vomano si può andare dalla montagna al mare in soli trenta minuti. Ed è wow!

Attraversandola in macchina è un susseguirsi di filari di viti. È il Montepulciano che la fa da padrone. Il Lorenzo di prima, la mia guida abruzzese, vive a San Francisco, ma torna spesso a Guarda Vomano, dove è cresciuto e che rappresenta per lui il buen retiro. Mi racconta di quando da piccino, papà Vincenzo lo portava nelle vigne per fare gli innesti, che in abruzzese si chiamano gli “inserti”. Sono diversi anni che Lorenzo ha rimesso in piedi la vigna, pur stando fuori, perché in questa terra ritrova la normalità. Un viver normale, fatto di albe e tramonti, di terra. Di natura. Di famiglia. Di semplicità.

Attraversando la Contrada Scarpone, così chiamata perché fu il tributo che Lorenzo diede a papà Vincenzo, si raggiunge un crinale che mostra una spettacolare sequenza di calanchi. La terra argillosa, che rende il vino eccezionale, offre alla vista queste erosioni profonde, strette e ampie allo stesso tempo, che riempiono gli occhi di bellezza. E la bellezza è nella normalità. A volte lo dimentichiamo.

QOSHE - Guardia Vomano, un’immersione nella normalità - Patrizia Renzetti
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Guardia Vomano, un’immersione nella normalità

6 0
20.02.2024

Un giorno e mezzo a Guardia Vomano, in Abruzzo, ed è normalità. Per normalità intendo tranquillità, pacatezza, semplicità, un viaggio nel “passato” laddove la tecnologia si limita a qualche profilo Facebook che mette in contatto chi è ancora nel paese, con chi invece se ne è andato. Non c’è un treno che ci arriva, ma il pullman che ferma a Teramo. Era tanto che non sentivo la parola “G-Gomma” per indicare una gomma da masticare, la chiamava così mia nonna che sempre in un borgo viveva, qui è “G-Gomma”. Anche questo è la normalità di un passato in cui gli inglesismi non hanno attecchito o peggio aggredito, la lingua locale.

Sono le sei del pomeriggio, il Gran Sasso fa capolino tra la foschia, lì in fondo. Immenso. È bianco. Solo alle punte. Al mattino scintillano al sole.

Le campane della Chiesa Madre, che poi è quella di San Rocco, suonano. All’ingresso si assiepano le donne per entrare. C’è anche qualche uomo. Ma sono le donne che vanno in chiesa. Sono le mogli. I mariti sono ancora a lavorare. Il macellaio del paese, la cui “dolce metà” è sui banchi scricchiolanti della chiesa, è infatti lì che taglia e serve. Qui gli arrosticini sono il cavallo di battaglia del paese, ahimè. Che la carne sia coltivata o sostituita, saremo un mondo migliore quando non si uccideranno più animali per nutrirsi.........

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