Si sono tenute il 1° marzo in Iran le elezioni parlamentari per il rinnovo dei 290 seggi del Majlis, e quelle per eleggere gli 88 membri dell’Assemblea degli Esperti, facendo registrare secondo quanto comunicato dall’IRNA (l’agenzia di stampa ufficiale del governo) un’affluenza alle urne del 41%. Non si è verificato in tal modo il tracollo di voti temuto dalla Guida Suprema Ali Khamenei, sebbene il risultato sia alquanto inferiore alle percentuali del passato e confermi una generale disaffezione degli iraniani dalla politica. Nelle elezioni parlamentari del 2016, le prime dopo la firma del JCPOA e nel pieno dell’entusiasmo generato dalle prospettive di rilancio dell’economia in conseguenza delle aperture favorite dall’ex presidente Rohani, l’affluenza alle urne fu del 62% circa, crollando poi al 42,5% nel 2020, quando l’accordo era già da tempo in pieno stallo e le forze conservatrici pronte a riconquistare il controllo della politica iraniana. I risultati d’affluenza del 2024 si mantengono in tal modo nel solco della tendenza registrata nelle ultime elezioni, confermando peraltro l’andamento che ha caratterizzato anche le elezioni presidenziali, che nel 2017 fecero registrare il 73,33% e poi nel 2021 il 48,48%.

La questione dell’affluenza alle urne rappresenta un aspetto di grande importanza per i vertici della Repubblica Islamica, che la considerano come il principale strumento di legittimazione tanto sul piano nazionale quanto su quello internazionale, dove le elezioni iraniane sono da sempre caratterizzate da molteplici accuse, soprattutto nel merito della selezione dei candidati. Al fine di incrementare il numero dei votanti, quindi, è ormai prassi consolidata da tempo quella di annunciare l‘estensione dell’apertura dei seggi di alcune ore oltre al limite previsto per la chiusura, giustificando ufficialmente la manovra come necessaria per gestire le lunghe code che si formano davanti ai seggi mentre in realtà la proroga della chiusura è funzionale alla necessità di incrementare quanto più possibile un numero di votanti ormai mediamente basso.

Le elezioni del 2024 rappresentano inoltre un appuntamento importante per i vertici del potere, per almeno due ragioni. La prima è quella connessa al fatto di essere la prima tornata elettorale dopo l’ingente ondata di proteste dello scorso anno – dopo l’uccisione della giovane Mahsa Amini da parte della cosiddetta “polizia morale” – e quindi gravate dal rischio di una accentuata astensione dal voto soprattutto da parte dei più giovani. La protesta è stata sopita, in parte in conseguenza della repressione e in parte perché non strutturata sotto forma di vero e proprio movimento e quindi priva di una vera e propria leadership, ma le ragioni profonde del malessere sociale sono sempre presenti e ampiamente condivise dalla popolazione, portando i vertici della Repubblica Islamica a temere un colossale crollo dell’affluenza per quest’anno. Crollo che in realtà non si è poi verificato, sebbene confermando un andamento nettamente al ribasso rispetto alle medie storiche del paese, che hanno fatto registrare in occasione delle fasi politiche del riformismo di Khatami e del pragmatismo di Rohani percentuali pressoché doppie rispetto a quelle dell’ultimo decennio.

La seconda ragione è invece rappresentata dalla contestuale elezione dell’Assemblea degli Esperti, che dura in carica otto anni e che verosimilmente potrebbe essere la compagine chiamata in futuro ad esprimersi nella difficile scelta della prossima Guida Suprema. L’ayatollah Khamenei ha oggi 84 anni, secondo molti non gode di buona salute e il mandato della prossima Assemblea viene pertanto ritenuto da più parti come quello che dovrà affrontarne la successione, con tutte le incognite del caso. Non sembrano allo stato attuale essere presenti candidati possibili per questo compito e in molti ritengono che con la morte di Khamenei potrebbe aprirsi una fase di profonda trasformazione istituzionale, di fatto aprendo alla sostanziale fine della teocrazia. Questo fattore, peraltro, deve essere posto in relazione anche al mutamento generazionale che si è ormai compiuto nel paese al vertice del sistema politico e amministrativo. La prima generazione del potere, quella emersa dal processo rivoluzionario e di espressione perlopiù clericale, è ormai numericamente ridottissima e ha da tempo lasciato spazio ad una seconda generazione, che non è tuttavia espressione del clero come la prima quanto piuttosto del vasto apparato militare e industriale del pervasivo sistema della Sepah-e Pasdaran, o IRGC. Rappresentando questi ormai l’ossatura centrale del sistema politico e amministrativo del potere, in molti si chiedono quale interesse potrebbero nutrire nel preservare un sistema dominato al vertice da una figura del clero, del quale loro non sono espressione, aprendo quindi alla possibilità di un processo di riforma che, pur salvaguardando formalmente l’aspetto religioso delle istituzioni, favorisca una traslazione del potere verso la presidenza.

Poche invece le aspettative in termini di risultati, essendo scontata anche in questa legislatura una nettissima prevalenza di deputati di area conservatrice. Circa 50.000 individui hanno presentato domanda di candidatura per le elezioni ma il Consiglio dei Guardiani – l’organo istituzionale che, tra le altre cose, autorizza le candidature in base a norme alquanto arbitrarie – ne ha autorizzati alla fine solo 15.200, comunicandone i nomi peraltro poche settimane prima delle elezioni e impedendo a questi di poter condurre un’adeguata campagna elettorale. Di questi, solo 30 sono riconducibili a sigle o posizioni di area riformista, ma il processo di selezione ha portato anche alla squalifica di numerosi conservatori di area tradizionalista e centrista, favorendo ancora una volta in larga misura quelli espressione delle frange più radicali.

Allo stesso ex presidente Rohani non è stato concesso di candidarsi per l’Assemblea degli Esperti, dimostrando ancora una volta come la vera arena della politica sia ormai essenzialmente limitata alla sola sfera dei conservatori, che al loro interno sono tuttavia divisi in correnti molto diverse tra loro, e sempre più spesso interessate da posizioni estremamente conflittuali.

Nel corso della settimana ci sarà la conferma ufficiale dell’affluenza alle urne e si potranno conoscere i nomi dei nuovi deputati e degli 88 membri dell’Assemblea degli Esperti, aprendo una nuova legislatura le cui dinamiche sembrano tuttavia interessare sempre meno la società iraniana.

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Si sono tenute il 1° marzo in Iran le elezioni parlamentari per il rinnovo dei 290 seggi del Majlis, e quelle per eleggere gli 88 membri dell’Assemblea degli Esperti, facendo registrare secondo quanto comunicato dall’IRNA (l’agenzia di stampa ufficiale del governo) un’affluenza alle urne del 41%. Non si è verificato in tal modo il tracollo di voti temuto dalla Guida Suprema Ali Khamenei, sebbene il risultato sia alquanto inferiore alle percentuali del passato e confermi una generale disaffezione degli iraniani dalla politica. Nelle elezioni parlamentari del 2016, le prime dopo la firma del JCPOA e nel pieno dell’entusiasmo generato dalle prospettive di rilancio dell’economia in conseguenza delle aperture favorite dall’ex presidente Rohani, l’affluenza alle urne fu del 62% circa, crollando poi al 42,5% nel 2020, quando l’accordo era già da tempo in pieno stallo e le forze conservatrici pronte a riconquistare il controllo della politica iraniana. I risultati d’affluenza del 2024 si mantengono in tal modo nel solco della tendenza registrata nelle ultime elezioni, confermando peraltro l’andamento che ha caratterizzato anche le elezioni presidenziali, che nel 2017 fecero registrare il 73,33% e poi nel 2021 il 48,48%.

La questione dell’affluenza alle urne rappresenta un aspetto di grande importanza per i vertici della Repubblica Islamica, che la considerano come il principale strumento di legittimazione tanto sul piano nazionale quanto su quello internazionale, dove le elezioni iraniane sono da sempre caratterizzate da molteplici accuse, soprattutto nel merito della selezione dei candidati. Al fine di incrementare il numero dei votanti, quindi, è ormai prassi consolidata da tempo quella di annunciare l‘estensione dell’apertura dei seggi di alcune ore oltre al limite previsto per la chiusura, giustificando ufficialmente la manovra come necessaria per gestire le lunghe code che si formano davanti ai seggi mentre in realtà la proroga della chiusura è funzionale alla necessità di incrementare quanto più possibile un numero di votanti ormai mediamente basso.

Le elezioni del 2024 rappresentano inoltre un appuntamento importante per i vertici del potere, per almeno due ragioni. La prima è quella connessa al fatto di essere la prima tornata elettorale dopo l’ingente ondata di proteste dello scorso anno – dopo l’uccisione della giovane Mahsa Amini da parte della cosiddetta “polizia morale” – e quindi gravate dal rischio di una accentuata astensione dal voto soprattutto da parte dei più giovani. La protesta è stata sopita, in parte in conseguenza della repressione e in parte perché non strutturata sotto forma di vero e proprio movimento e quindi priva di una vera e propria leadership, ma le ragioni profonde del malessere sociale sono sempre presenti e ampiamente condivise dalla popolazione, portando i vertici della Repubblica Islamica a temere un colossale crollo dell’affluenza per quest’anno. Crollo che in realtà non si è poi verificato, sebbene confermando un andamento nettamente al ribasso rispetto alle medie storiche del paese, che hanno fatto registrare in occasione delle fasi politiche del riformismo di Khatami e del pragmatismo di Rohani percentuali pressoché doppie rispetto a quelle dell’ultimo decennio.

La seconda ragione è invece rappresentata dalla contestuale elezione dell’Assemblea degli Esperti, che dura in carica otto anni e che verosimilmente potrebbe essere la compagine chiamata in futuro ad esprimersi nella difficile scelta della prossima Guida Suprema. L’ayatollah Khamenei ha oggi 84 anni, secondo molti non gode di buona salute e il mandato della prossima Assemblea viene pertanto ritenuto da più parti come quello che dovrà affrontarne la successione, con tutte le incognite del caso. Non sembrano allo stato attuale essere presenti candidati possibili per questo compito e in molti ritengono che con la morte di Khamenei potrebbe aprirsi una fase di profonda trasformazione istituzionale, di fatto aprendo alla sostanziale fine della teocrazia. Questo fattore, peraltro, deve essere posto in relazione anche al mutamento generazionale che si è ormai compiuto nel paese al vertice del sistema politico e amministrativo. La prima generazione del potere, quella emersa dal processo rivoluzionario e di espressione perlopiù clericale, è ormai numericamente ridottissima e ha da tempo lasciato spazio ad una seconda generazione, che non è tuttavia espressione del clero come la prima quanto piuttosto del vasto apparato militare e industriale del pervasivo sistema della Sepah-e Pasdaran, o IRGC. Rappresentando questi ormai l’ossatura centrale del sistema politico e amministrativo del potere, in molti si chiedono quale interesse potrebbero nutrire nel preservare un sistema dominato al vertice da una figura del clero, del quale loro non sono espressione, aprendo quindi alla possibilità di un processo di riforma che, pur salvaguardando formalmente l’aspetto religioso delle istituzioni, favorisca una traslazione del potere verso la presidenza.

Poche invece le aspettative in termini di risultati, essendo scontata anche in questa legislatura una nettissima prevalenza di deputati di area conservatrice. Circa 50.000 individui hanno presentato domanda di candidatura per le elezioni ma il Consiglio dei Guardiani – l’organo istituzionale che, tra le altre cose, autorizza le candidature in base a norme alquanto arbitrarie – ne ha autorizzati alla fine solo 15.200, comunicandone i nomi peraltro poche settimane prima delle elezioni e impedendo a questi di poter condurre un’adeguata campagna elettorale. Di questi, solo 30 sono riconducibili a sigle o posizioni di area riformista, ma il processo di selezione ha portato anche alla squalifica di numerosi conservatori di area tradizionalista e centrista, favorendo ancora una volta in larga misura quelli espressione delle frange più radicali.

Allo stesso ex presidente Rohani non è stato concesso di candidarsi per l’Assemblea degli Esperti, dimostrando ancora una volta come la vera arena della politica sia ormai essenzialmente limitata alla sola sfera dei conservatori, che al loro interno sono tuttavia divisi in correnti molto diverse tra loro, e sempre più spesso interessate da posizioni estremamente conflittuali.

Nel corso della settimana ci sarà la conferma ufficiale dell’affluenza alle urne e si potranno conoscere i nomi dei nuovi deputati e degli 88 membri dell’Assemblea degli Esperti, aprendo una nuova legislatura le cui dinamiche sembrano tuttavia interessare sempre meno la società iraniana.

QOSHE - Ci sono state le elezioni in Iran, ma gli iraniani non se ne sono accorti. E c'è un perché - Nicola Pedde
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Ci sono state le elezioni in Iran, ma gli iraniani non se ne sono accorti. E c'è un perché

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02.03.2024

Si sono tenute il 1° marzo in Iran le elezioni parlamentari per il rinnovo dei 290 seggi del Majlis, e quelle per eleggere gli 88 membri dell’Assemblea degli Esperti, facendo registrare secondo quanto comunicato dall’IRNA (l’agenzia di stampa ufficiale del governo) un’affluenza alle urne del 41%. Non si è verificato in tal modo il tracollo di voti temuto dalla Guida Suprema Ali Khamenei, sebbene il risultato sia alquanto inferiore alle percentuali del passato e confermi una generale disaffezione degli iraniani dalla politica. Nelle elezioni parlamentari del 2016, le prime dopo la firma del JCPOA e nel pieno dell’entusiasmo generato dalle prospettive di rilancio dell’economia in conseguenza delle aperture favorite dall’ex presidente Rohani, l’affluenza alle urne fu del 62% circa, crollando poi al 42,5% nel 2020, quando l’accordo era già da tempo in pieno stallo e le forze conservatrici pronte a riconquistare il controllo della politica iraniana. I risultati d’affluenza del 2024 si mantengono in tal modo nel solco della tendenza registrata nelle ultime elezioni, confermando peraltro l’andamento che ha caratterizzato anche le elezioni presidenziali, che nel 2017 fecero registrare il 73,33% e poi nel 2021 il 48,48%.

La questione dell’affluenza alle urne rappresenta un aspetto di grande importanza per i vertici della Repubblica Islamica, che la considerano come il principale strumento di legittimazione tanto sul piano nazionale quanto su quello internazionale, dove le elezioni iraniane sono da sempre caratterizzate da molteplici accuse, soprattutto nel merito della selezione dei candidati. Al fine di incrementare il numero dei votanti, quindi, è ormai prassi consolidata da tempo quella di annunciare l‘estensione dell’apertura dei seggi di alcune ore oltre al limite previsto per la chiusura, giustificando ufficialmente la manovra come necessaria per gestire le lunghe code che si formano davanti ai seggi mentre in realtà la proroga della chiusura è funzionale alla necessità di incrementare quanto più possibile un numero di votanti ormai mediamente basso.

Le elezioni del 2024 rappresentano inoltre un appuntamento importante per i vertici del potere, per almeno due ragioni. La prima è quella connessa al fatto di essere la prima tornata elettorale dopo l’ingente ondata di proteste dello scorso anno – dopo l’uccisione della giovane Mahsa Amini da parte della cosiddetta “polizia morale” – e quindi gravate dal rischio di una accentuata astensione dal voto soprattutto da parte dei più giovani. La protesta è stata sopita, in parte in conseguenza della repressione e in parte perché non strutturata sotto forma di vero e proprio movimento e quindi priva di una vera e propria leadership, ma le ragioni profonde del malessere sociale sono sempre presenti e ampiamente condivise dalla popolazione, portando i vertici della Repubblica Islamica a temere un colossale crollo dell’affluenza per quest’anno. Crollo che in realtà non si è poi verificato, sebbene confermando un andamento nettamente al ribasso rispetto alle medie storiche del paese, che hanno fatto registrare in occasione delle fasi politiche del riformismo di Khatami e del pragmatismo di Rohani percentuali pressoché doppie rispetto a quelle dell’ultimo decennio.

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