(di Monica Minardi, presidente di Medici Senza Frontiere)

Sette anni dall’inizio di questo processo. Da quel momento quanti altri attacchi all’azione medica e umanitaria, quanti altri modi per fermare il soccorso e la testimonianza.

Migliaia di pagine di intercettazioni, articoli di giornale che amplificavano le accuse come dati di fatto inconfutabili, le nostre navi chiamate con termini dispregiativi e, come se non bastasse, esponenti politici e programmi TV che promuovevano come vere e assodate le posizioni della accusa - tutt’altro che vere e assodate.

Quali sono i fatti? Negli ultimi 10 anni oltre 22.300 persone morte o disperse nel Mar Mediterraneo. Ingenti risorse messe in campo da Italia e Ue per supportare la guardia costiera libica, che più volte ha intralciato pericolosamente i soccorsi e che intercetta le persone in fuga per riportarle in Libia, in chiara violazione delle leggi internazionali. Questi i fatti, questi i crimini che vediamo – e denunciamo – continuamente nel Mediterraneo centrale.

Le persone che accogliamo sulla nostra nave sono persone vulnerabili, pazienti.

Prima intrappolati in paesi dove guerra, povertà, persecuzioni li obbligano a fuggire, poi nuovamente in trappola nei paesi di transito come Libia, Tunisia, Niger, Serbia, dove le violenze, le detenzioni arbitrarie, gli abusi di genere, i trattamenti degradanti sono quotidiani. Alcuni di questi sono supportati dal nostro governo. I patti Italia-Libia, Italia-Tunisia, non fanno che rafforzare i soprusi e il loro unico effetto pratico è l’aumento dei pericoli e delle ferite su persone già vulnerabili.

Ai confini, di nuovo violenze, sotto forma di leggi e ostacoli burocratici che rinforzano l’esclusione e non l’inclusione, e continue leggi e ostacoli al soccorso in mare. Le navi umanitarie tenute lontane dalla zona dei soccorsi assegnando porti lontani, l’assegnazione ingiustificata di doppi porti di sbarco. Veniamo tenuti lontani perché salviamo vite? Perché testimoniamo il fallimento di queste politiche?

Come succede che persone che fuggono da paesi in guerra, catastrofi naturali, povertà o persecuzioni, diventino pazienti? Come capita che donne, uomini, bambine o bambini diventino persone con ferite fisiche e psicologiche?

La causa della loro sofferenza non è un incidente o un male ineluttabile, ma una diffusa, deliberata violenza e disumanità subite durante il viaggio. Non solo in Libia, in Tunisia, durante i mesi di cammino nel deserto, non solo perché vendute come schiave o stuprate, testimoni di violenze inaudite. Anche ai nostri confini quando, se fortunate, arrivano sulle coste italiane.

Sono stata come medico sulla Geo Barents poche settimane fa.

Alle 2.15 del mattino avvistiamo due imbarcazioni sovraffollate. La guardia costiera libica cerca di intercettare le persone e ostacolare il soccorso.

Sui gommoni i nostri soccorritori afferrano mani, sollevano corpi che stremati arrivano sul ponte, in un atto di soccorso che non ha nulla di eroico, è semplicemente inevitabile. Perché non c’è altra scelta se non soccorrere, secondo il principio di umanità, secondo le leggi, secondo quei diritti e principi di cui in Europa andiamo così fieri.

“Abbiamo il fuoco dietro le spalle e di fronte vediamo solo il mare. È l’unica nostra possibilità, abbiamo familiari che risiedono in Europa ma è impossibile trovare un modo per raggiungerli.” Maryam 33 anni, in fuga dalla Siria coi suoi bambini di 2 anni, rimasta 6 mesi in una cella libica senza luce e senza finestre, e senza mai uscire. Coi suoi bambini.

Dall’inizio dell’inchiesta di Trapani, sono morte più di 22.000 persone in questa fetta di Mediterraneo, vicino alle nostre frontiere; molti di questi corpi sono arrivati sulle nostre spiagge. Il nostro principio di umanità è in fondo al mare coi loro sogni. Rimane a galla solo il fallimento di queste politiche.

Quello che rende pazienti queste persone è qualcosa di pericoloso e contagioso; è la disumanità. La violenza ai confini. La violenza di leggi ingiuste e inumane. A noi, resta decidere di non lasciare che il mare tra noi e la Libia sia un mare di morti. E quindi, a tutto il fango e le ingiuste accuse di questi anni rispondiamo ancora in un unico modo: azione medica dove ce n’è bisogno. E testimonianza. Sempre. La Parola. Mai il silenzio.

MSF è stata accusata nel 2017 di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Oggi il giudice ha deciso per il non luogo a procedere.

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(di Monica Minardi, presidente di Medici Senza Frontiere)

Sette anni dall’inizio di questo processo. Da quel momento quanti altri attacchi all’azione medica e umanitaria, quanti altri modi per fermare il soccorso e la testimonianza.

Migliaia di pagine di intercettazioni, articoli di giornale che amplificavano le accuse come dati di fatto inconfutabili, le nostre navi chiamate con termini dispregiativi e, come se non bastasse, esponenti politici e programmi TV che promuovevano come vere e assodate le posizioni della accusa - tutt’altro che vere e assodate.

Quali sono i fatti? Negli ultimi 10 anni oltre 22.300 persone morte o disperse nel Mar Mediterraneo. Ingenti risorse messe in campo da Italia e Ue per supportare la guardia costiera libica, che più volte ha intralciato pericolosamente i soccorsi e che intercetta le persone in fuga per riportarle in Libia, in chiara violazione delle leggi internazionali. Questi i fatti, questi i crimini che vediamo – e denunciamo – continuamente nel Mediterraneo centrale.

Le persone che accogliamo sulla nostra nave sono persone vulnerabili, pazienti.

Prima intrappolati in paesi dove guerra, povertà, persecuzioni li obbligano a fuggire, poi nuovamente in trappola nei paesi di transito come Libia, Tunisia, Niger, Serbia, dove le violenze, le detenzioni arbitrarie, gli abusi di genere, i trattamenti degradanti sono quotidiani. Alcuni di questi sono supportati dal nostro governo. I patti Italia-Libia, Italia-Tunisia, non fanno che rafforzare i soprusi e il loro unico effetto pratico è l’aumento dei pericoli e delle ferite su persone già vulnerabili.

Ai confini, di nuovo violenze, sotto forma di leggi e ostacoli burocratici che rinforzano l’esclusione e non l’inclusione, e continue leggi e ostacoli al soccorso in mare. Le navi umanitarie tenute lontane dalla zona dei soccorsi assegnando porti lontani, l’assegnazione ingiustificata di doppi porti di sbarco. Veniamo tenuti lontani perché salviamo vite? Perché testimoniamo il fallimento di queste politiche?

Come succede che persone che fuggono da paesi in guerra, catastrofi naturali, povertà o persecuzioni, diventino pazienti? Come capita che donne, uomini, bambine o bambini diventino persone con ferite fisiche e psicologiche?

La causa della loro sofferenza non è un incidente o un male ineluttabile, ma una diffusa, deliberata violenza e disumanità subite durante il viaggio. Non solo in Libia, in Tunisia, durante i mesi di cammino nel deserto, non solo perché vendute come schiave o stuprate, testimoni di violenze inaudite. Anche ai nostri confini quando, se fortunate, arrivano sulle coste italiane.

Sono stata come medico sulla Geo Barents poche settimane fa.

Alle 2.15 del mattino avvistiamo due imbarcazioni sovraffollate. La guardia costiera libica cerca di intercettare le persone e ostacolare il soccorso.

Sui gommoni i nostri soccorritori afferrano mani, sollevano corpi che stremati arrivano sul ponte, in un atto di soccorso che non ha nulla di eroico, è semplicemente inevitabile. Perché non c’è altra scelta se non soccorrere, secondo il principio di umanità, secondo le leggi, secondo quei diritti e principi di cui in Europa andiamo così fieri.

“Abbiamo il fuoco dietro le spalle e di fronte vediamo solo il mare. È l’unica nostra possibilità, abbiamo familiari che risiedono in Europa ma è impossibile trovare un modo per raggiungerli.” Maryam 33 anni, in fuga dalla Siria coi suoi bambini di 2 anni, rimasta 6 mesi in una cella libica senza luce e senza finestre, e senza mai uscire. Coi suoi bambini.

Dall’inizio dell’inchiesta di Trapani, sono morte più di 22.000 persone in questa fetta di Mediterraneo, vicino alle nostre frontiere; molti di questi corpi sono arrivati sulle nostre spiagge. Il nostro principio di umanità è in fondo al mare coi loro sogni. Rimane a galla solo il fallimento di queste politiche.

Quello che rende pazienti queste persone è qualcosa di pericoloso e contagioso; è la disumanità. La violenza ai confini. La violenza di leggi ingiuste e inumane. A noi, resta decidere di non lasciare che il mare tra noi e la Libia sia un mare di morti. E quindi, a tutto il fango e le ingiuste accuse di questi anni rispondiamo ancora in un unico modo: azione medica dove ce n’è bisogno. E testimonianza. Sempre. La Parola. Mai il silenzio.

MSF è stata accusata nel 2017 di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Oggi il giudice ha deciso per il non luogo a procedere.

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Il fuoco dietro le spalle e di fronte solo il mare

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22.04.2024

(di Monica Minardi, presidente di Medici Senza Frontiere)

Sette anni dall’inizio di questo processo. Da quel momento quanti altri attacchi all’azione medica e umanitaria, quanti altri modi per fermare il soccorso e la testimonianza.

Migliaia di pagine di intercettazioni, articoli di giornale che amplificavano le accuse come dati di fatto inconfutabili, le nostre navi chiamate con termini dispregiativi e, come se non bastasse, esponenti politici e programmi TV che promuovevano come vere e assodate le posizioni della accusa - tutt’altro che vere e assodate.

Quali sono i fatti? Negli ultimi 10 anni oltre 22.300 persone morte o disperse nel Mar Mediterraneo. Ingenti risorse messe in campo da Italia e Ue per supportare la guardia costiera libica, che più volte ha intralciato pericolosamente i soccorsi e che intercetta le persone in fuga per riportarle in Libia, in chiara violazione delle leggi internazionali. Questi i fatti, questi i crimini che vediamo – e denunciamo – continuamente nel Mediterraneo centrale.

Le persone che accogliamo sulla nostra nave sono persone vulnerabili, pazienti.

Prima intrappolati in paesi dove guerra, povertà, persecuzioni li obbligano a fuggire, poi nuovamente in trappola nei paesi di transito come Libia, Tunisia, Niger, Serbia, dove le violenze, le detenzioni arbitrarie, gli abusi di genere, i trattamenti degradanti sono quotidiani. Alcuni di questi sono supportati dal nostro governo. I patti Italia-Libia, Italia-Tunisia, non fanno che rafforzare i soprusi e il loro unico effetto pratico è l’aumento dei pericoli e delle ferite su persone già vulnerabili.

Ai confini, di nuovo violenze, sotto forma di leggi e ostacoli burocratici che rinforzano l’esclusione e non l’inclusione, e continue leggi e ostacoli al soccorso in mare. Le navi umanitarie tenute lontane dalla zona dei soccorsi assegnando porti lontani, l’assegnazione ingiustificata di doppi porti di sbarco. Veniamo tenuti lontani perché salviamo vite? Perché testimoniamo il fallimento di queste politiche?

Come succede che persone che fuggono da paesi in guerra, catastrofi naturali, povertà o persecuzioni, diventino pazienti? Come capita che donne, uomini, bambine o bambini diventino persone con ferite fisiche e psicologiche?

La causa della loro sofferenza non è un incidente o un male........

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