Questione di logica. Ovvero la mano destra sa quello che fa la mano sinistra. Di saper camminare. Non scompagnati. Una scarpa e una ciabatta. La vicenda degli agricoltori che protestano con i loro ‘bestioni’ a quattro ruote sulle strade. Solo motivi di ‘dané’. Fiscali. Il governo ha messo l’Irpef e oggi la premier dice di stare dalla loro parte. Degli agricoltori. E quindi la toglie. Dopo la sceneggiata ‘mon amour’, che bacia lui che bacia lei, con Salvini. Fino a elevarla a questione dirimente nelle prossime elezioni europee. Anche sui contenuti da dare alla transizione ecologica. Pure quella un tabù di cui non si è ancora capito nulla. La direzione, gli obiettivi e chi paga (per fare un po’ di chiarezza il 21 febbraio, on-line, gratuitamente, si potrà partecipare all’European Colloquium “La Transizione Economica (raccontata da chi la fa)” organizzato da Istud Business School).

Mettiamola giù così. Il paradigma. O il paradosso da smontare. La scena si svolge al banco salumi. Mi da un etto di prosciutto cotto?, chiedo. Quale vuole, il migliore?, ribatte il pizzicagnolo. Una transizione ecologica fatta bene vorrebbe che la risposta del salumaio non ci fosse proprio. Quando prendo il cotto desidero il migliore perché fatto senza diavolerie di conservanti e carne di mezza qualità. Voglio mangiare bene e ci tengo alla mia salute. Soffre il portafoglio, mi si obietta. Vero. Però una transizione ecologica fatta bene deve mettere nelle condizioni i produttori a non trovare scorciatoie, alleggerendo i costi, i sistemi massivi di allevamento e controllare ossessivamente il prezzo del prodotto nell’estensione della sua filiera, in particolare dalle parti dei potenti centri vendita e distributivi.

La protesta dei trattori si potrebbe risolvere favorendo le produzioni nazionali, le migliori, quelle fatte con i crismi, senza bitume di pesticidi. Non si capisce perché dal mio ortolano di Mantova devo trovare arance del Sudafrica invece di quelle di Sicilia che per diversi motivi rimangono sulle piante a marcire. Solo così si accantona la cinica domanda di chi questo cancan non lo sopporta più, volete voi libertà o protezionismo? Certo che c’entra l’Europa. Con i suoi vincoli. E i suoi sussidi. Tanti. Uguali per tutti. Quando ogni nazione della comunità andrebbe trattata a sé. Questo procedere all togheter now è stucchevole. Per l’agricoltura come per altre mille questioni che mai e poi mai avranno una soluzione, una sola per tutti i paesi.

La macchina elettrica. Di colpo si è deciso (chi, quando?) di procedere con questa alternativa, al petrolio, molto costosa. Non per tutti. Insicura. Poco pratica. Qui la transizione non si è vista. Non c’è stata. Transizione vuol dire gradualità. In progress. Prima ricercando vie intermedie. L’idrogeno e il metano, ad esempio. Ricordo il primo Marchionne, amministratore delegato Fiat, titubante e negativo sull’approdo verso l’auto elettrica in pochissimo tempo. Un cittadino tedesco tra salari più alti, produzioni in loco e incentivi monstre è più nelle condizioni di farsi l’elettrica del cittadino italiano, della periferia di una città, che tiene il ‘pandino’ per potersi recare al lavoro in una impresa di pulizie a 5 euro l’ora. Locata in centro. Stretto nelle maglie dei divieti a circolare. Anche se, pagando, basta installare una scatola nera per girare dove e quando vuoi. Sempre lì si ritorna. Alla porta girevole del cash.

Ho sentito più volte la premier Meloni far riferimento alla cosiddetta transizione ecologica non ideologica, che nel suo caso è la smania di risolvere i problemi in modalità bianco e nero, gli uni contro gli altri, buoni e cattivi, schierarsi con la parte giusta. Per slogan, senza ragionare, approfondire, contestualizzare. La piega presa dai rumorosi trattori. O il conflitto russo-ucraino. Dove inviare armi a pioggia non è risolutore di una guerra della quale ormai si sono persi i connotati certi (non è superfluo domandarsi dove vanno finire i miliardi che l’Unione europea manda all’Ucraina - qualche giorno fa ne sono stati stanziati 50 –, a un paese corrotto, nei gangli della pubblica amministrazione dove un giorno sì e l’altro pure sono scoperti funzionari che s’intascano mazzette milionarie). Ma il campionario è ricco d’uso di questi brief. Che non portano a nulla. Fermano processi e non risolvono. Lo ricordo perché convinto che pure la transizione ecologica va sgrassata. Gli va dato un senso. Una direzione. Va resa comprensibile. Va rivestita di fiducia. Anche sui tempi di realizzazione (come spiegato nel volume ‘La Transizione Ecologica (raccontata da chi la fa)’).

Perché chiedere sacrifici impossibili quando si spendono tanti soldi del PNRR a babbo morto? Immaginavo, visto il dissesto idrogeologico permanente, che l’Italia partisse da questo problema. Destinando la quasi totalità dei finanziamenti per mettere in sicurezza il Paese. Pensavo che il bonus 110% fosse sfruttato, perché è stato pensato principalmente per questo, a fare cappotti e installare pannelli alle case popolari e, in parte, scuole e uffici pubblici. Quando mai. Quel bonus, scelta governativa mal orchestrata - a proposito dei suadenti gorgheggi ideologici meloniani, qui più che mai riconosciuti - a rimettere in sesto poche case private di famiglie che potevano non ricevere dallo Stato più denaro di quello speso. Mistero buffo.

Recap. Dalla speranza all’ecoansia, la svolta verde è già in soffitta per deficit di obiettivi certi e definiti. Spesso si tratta di fulminei innamoramenti. Nostalgici addii. Inframezzati da mode. Disneyane narrazioni rituali, convenienza di brand facili. Occorre uscire dai vizi e costruire un’identità verde. Mi piace ricordare quel detto padano ‘voltarsi indietro per andare avanti quando il pane era polenta’. La saggezza contadina dei saperi secolari insieme alla scienza potranno fronteggiare scenari di geoeconomia e geopolitica popolati dai decisori finali della rivoluzione energetica impegnati a duellare per il controllo delle materie prime e delle risorse del sottosuolo.

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Trattori di lotta e di partita doppia. Quando la transizione ecologica semina noia e insofferenza

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13.02.2024

Questione di logica. Ovvero la mano destra sa quello che fa la mano sinistra. Di saper camminare. Non scompagnati. Una scarpa e una ciabatta. La vicenda degli agricoltori che protestano con i loro ‘bestioni’ a quattro ruote sulle strade. Solo motivi di ‘dané’. Fiscali. Il governo ha messo l’Irpef e oggi la premier dice di stare dalla loro parte. Degli agricoltori. E quindi la toglie. Dopo la sceneggiata ‘mon amour’, che bacia lui che bacia lei, con Salvini. Fino a elevarla a questione dirimente nelle prossime elezioni europee. Anche sui contenuti da dare alla transizione ecologica. Pure quella un tabù di cui non si è ancora capito nulla. La direzione, gli obiettivi e chi paga (per fare un po’ di chiarezza il 21 febbraio, on-line, gratuitamente, si potrà partecipare all’European Colloquium “La Transizione Economica (raccontata da chi la fa)” organizzato da Istud Business School).

Mettiamola giù così. Il paradigma. O il paradosso da smontare. La scena si svolge al banco salumi. Mi da un etto di prosciutto cotto?, chiedo. Quale vuole, il migliore?, ribatte il pizzicagnolo. Una transizione ecologica fatta bene vorrebbe che la risposta del salumaio non ci fosse proprio. Quando prendo il cotto desidero il migliore perché fatto senza diavolerie di conservanti e carne di mezza qualità. Voglio mangiare bene e ci tengo alla mia salute. Soffre il portafoglio, mi si obietta. Vero. Però una transizione ecologica fatta bene deve mettere nelle condizioni i produttori a non trovare scorciatoie, alleggerendo i costi, i sistemi massivi di allevamento........

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