Madamina il catalogo è questo. La richiesta di unità scandita dal Presidente della Repubblica Mattarella nel messaggio di fine anno è nei commenti entusiasti della politica tutta. Senza distinguo. Applausi per ogni parola pronunciata. Possibile? E’ l’unità auspicata? Ricorda tanto il discorso di insediamento del secondo settennato di Napolitano al Quirinale, quando criticò aspramente il non fare del politica che un minuto prima l’aveva eletto. D’accordo, va così ogni anno. Poi domani sarà un altro giorno. I contenuti pedagogici e onnicomprensivi non sono da discutere, da contendere e neppure da emendare. Ma in quella manciata di minuti di parole, se ben lette, oltre la liturgia quirinalizia, c’è la summa dei pericoli e soprattutto delle preoccupazioni che magmaticamente stanno avvolgendo il Paese. Sintomi da tenuta psicologica, ormai, smollata. Vuoi per il dopo pandemia, per i social, per la violenza, per la guerra, per la politica, di ogni colore, che non fa quello che promette. A occhio, appellarsi all’unità come soluzione può essere la cura, ma difficilmente realizzabile in Italia, divisa in mille campanili, corporazioni, associazioni, ordini professionali, caste di ogni risma. Impossibile trovare sintesi quando smuovi mille interessi e rendite di posizione. Se trovata la quadra è mediocre e, spesso, lascia senza soluzione i problemi.

La libertà è partecipazione. Il voto è l’espressione massima di coinvolgimento decisionale. L’ha detto il Capo dello Stato. Anche a fronte del montante astensionismo delle ultime consultazioni elettorali. Che fare? Le radici del male sono proprio nella politica moderna. Che dice una cosa e poi una volta al Governo fa l’opposto. E così il prometto e poi mantengo va a farsi benedire. Il cittadino è tramortito dalla privazione di poter incidere sulle scelte. Tanto poi decide l’Europa, tanto poi governano tutti allo stesso modo. Arduo distinguere i partiti che per darsi una matrice identitaria evocano fascismo e comunismo. Sì, c’è qualche milione di poveri, ma ci sono sempre stati. La stragrande maggioranza degli italiani sta bene. Il welfare famigliare copre i problemi, l’80% sono proprietari di almeno una casa e nessuno scende in piazza per protestare. E’ la santificazione di un qualunquismo di comodo che lascia problemi di vecchia data in un fermo di comodo. La sanità è un esempio. Il Presidente Mattarella ha parlato dello scandaloso servizio delle liste d’attesa. Oltre c’è molto di più. Basta scorrere la cronaca dei giornali locali per leggere il livello d’inefficienza non più tollerabile. Ascoltavo il professor Garattini, una delle menti più lucide, affermare nel suo punto di osservazione e di lavoro milanese, lombardo, che la sanità è pubblica o non è. Il business delle prestazioni è la gravità del danno. In una popolazione sempre più anziana c’è il totale silenzio sulle politiche pubbliche di cura e assistenza. Nascono come funghi case, residenze per anziani, esclusivamente private, decenni fa pubbliche, che guardano solo al guadagno. Rette stellari. Sempre fedeli al motto che si cura chi ha i soldi.

Chiediamoci il perché siamo arrivati a questo punto. E quale nuovo flusso motivazionale è da mettere in circolo perché il corso degli eventi cambi radicalmente. A oggi la discesa pare inarrestabile e le elezioni europee dell’8 giugno non si presentano come l’appuntamento della remuntada auspicata. L’inerzia non è solo tra i giovani. E le colpe non sono solo dei social. Tra gli abbattuti che non votano c’è una considerevole fetta di cittadini, molti del ceto medio, che hanno maggiormente sofferto la crisi economica, e ideale, negli ultimi dieci anni. Da qui è incontestabile che la politica ha perso peso, primato e influenza.

Come nel conflitto russo ucraino. Fa piacere sentire il Presidente della Repubblica parlare di cultura della pace. Che non vuol dire essere buonisti ma elevare le ragioni della realpolitik. Cultura della pace e della realpolitik che, spiace dirlo, sono risultati completamente assenti tra la politica europea e italiana i primi mesi di guerra, quando si è fatto il contrario, alimentando il flusso degli eventi che ci ha portato al caos di oggi. Senza uscita imminente. E a proposito di saper ascoltare ricordato dal Presidente Mattarella, ricordiamo che gli appelli alla realpolitik fatti da pochi, pochissimi, chi scrive su HuffPost, quando proposi un mediatore alla Berlusconi, furono etichettati come spasmi pro-Putin. Evidentemente allora i protagonisti della politica erano accodati su un treno che andava velocemente e che non permetteva soste. Riflessioni. Meditazioni. Il dibattito era un di più. Diceva una parola il Presidente degli Stati Uniti, tutti dietro. Diceva una parola la Nato, tutti dietro. Pure l’Europa smunta sempre dietro ma silente perpetua. Il risultato odierno va ricordato di quel percorso pasticciato e disordinato: centinaia di migliaia di persone morte, russi e ucraini, una nazione distrutta, una guerra che va avanti con i russi che bombardano e Zelensky che annuncia una vittoria prossima ventura. Geopolitica e geoeconomia stravolte. Le relazioni tra paesi saltate per aria. Avremmo gradito che il Presidente Mattarella storicizzasse quel periodo rileggendolo con gli occhi di uno dei maggiori studiosi, Luigi Caracciolo, direttore di Limes, che in un’intervista a la Stampa ha detto: . Sintesi di un ragionamento molto articolato e complesso ma che rende l’idea di come tante ambasce contemporanee sono frutto di una politica senza la diligenza del buon padre di famiglia.

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Mentre Mattarella sveglia gli italiani, i partiti, tutti, che lo applaudono, non hanno capito che il Presidente ce l’aveva anche con loro

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01.01.2024

Madamina il catalogo è questo. La richiesta di unità scandita dal Presidente della Repubblica Mattarella nel messaggio di fine anno è nei commenti entusiasti della politica tutta. Senza distinguo. Applausi per ogni parola pronunciata. Possibile? E’ l’unità auspicata? Ricorda tanto il discorso di insediamento del secondo settennato di Napolitano al Quirinale, quando criticò aspramente il non fare del politica che un minuto prima l’aveva eletto. D’accordo, va così ogni anno. Poi domani sarà un altro giorno. I contenuti pedagogici e onnicomprensivi non sono da discutere, da contendere e neppure da emendare. Ma in quella manciata di minuti di parole, se ben lette, oltre la liturgia quirinalizia, c’è la summa dei pericoli e soprattutto delle preoccupazioni che magmaticamente stanno avvolgendo il Paese. Sintomi da tenuta psicologica, ormai, smollata. Vuoi per il dopo pandemia, per i social, per la violenza, per la guerra, per la politica, di ogni colore, che non fa quello che promette. A occhio, appellarsi all’unità come soluzione può essere la cura, ma difficilmente realizzabile in Italia, divisa in mille campanili, corporazioni, associazioni, ordini professionali, caste di ogni risma. Impossibile trovare sintesi quando smuovi mille interessi e rendite di posizione. Se trovata la quadra è mediocre e, spesso, lascia senza soluzione i problemi.

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