(Questo post è stato scritto insieme a Francesca Gallelli, Relazioni istituzionali, The Good Food Institute Europe)

Con Francia e Austria, il governo italiano ha presentato all’Agrifish Council di Bruxelles una nota informativa sulla carne coltivata. Il documento parte da alcuni dubbi basati sulla disinformazione che circola sul tema e chiede alla Commissione europea di svolgere consultazioni su questo nuovo alimento basate sull’evidenza scientifica.

Questo documento non vincolante è sicuramente un tentativo di ostacolare lo sviluppo della carne coltivata in Europa. Diffonde disinformazione e intende minare il sistema regolatorio dell’Unione.

Eppure, con la sua firma, l’Italia ha riconosciuto che per passare da dei punti di domanda a una posizione politica sull’argomento è necessario prima andare alla ricerca dei fatti e risolvere quei dubbi, ascoltando le risposte della scienza.

Firmando il documento il governo ha sospeso il giudizio, sottoscrivendo che non sosterrà lo sviluppo della carne coltivata in Unione, solo se le consultazioni della Commissione dovessero avere degli esiti negativi.

In Italia, invece, si è passati direttamente dai dubbi al divieto di legge. A differenza dei loro concittadini europei, e senza un esame trasparente e scientifico, agli Italiani è già stato proibito produrre e consumare questo nuovo alimento.

Sappiamo che i metodi tradizionali di allevamento, su scala mondiale, rappresentano un ostacolo insormontabile per il raggiungimento dei target climatici. Lo hanno affermato in uno studio le Nazioni Unite durante l’ultima conferenza per il clima: "Dai prodotti di origine animale, deriva il 60% delle emissioni alimentari. C’è bisogno di cambiare il modo in cui produciamo e consumiamo il cibo". La scienza ha abbracciato questa sfida, iniziando a percorrere promettenti cammini verso possibili soluzioni. La carne coltivata è una di queste e fa dunque appello alla massima responsabilità del decisore politico.

Dubbi basati sulla disinformazione non sono una ragione per opporsi ad una soluzione per il futuro globale. Come ci dice anche la Corte Costituzionale, divieti infondati come quello italiano violano i diritti delle persone, come quello all’iniziativa economica o quello riconosciuto dall’ONU a "godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni".

Il proibizionismo sulla carne coltivata non c'entra nulla del resto con quello stesso principio di precauzione europeo, cui ci si è maldestramente appellati per vietare la carne coltivata: si tratta infatti di un principio che andrebbe applicato su prodotti già in commercio, non certo di una leva che possa giustificare proibizionismi aprioristici. Anche qui, dice il diritto Ue, i dubbi devono essere comprovati da evidenze.

È già garantito che la carne coltivata arriverà sul mercato solo dopo aver dimostrato di essere un alimento sicuro. Questo grazie al lavoro che svolgerà l’EFSA, ma anche alle consultazioni che indirà la Commissione europea, già incaricata dal Regolamento sui nuovi alimenti, che si dimostra infatti più che idoneo a valutare la carne coltivata, come dichiarato dalla Commissione al Parlamento proprio questa settimana.

Pertanto, coerentemente a quanto chiesto dal governo all’Unione con il documento Agrifish, i divieti infondati previsti dalla legge Lollobrigida andrebbero definitivamente abrogati. Anche in Italia vogliamo decidere con la scienza!

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(Questo post è stato scritto insieme a Francesca Gallelli, Relazioni istituzionali, The Good Food Institute Europe)

Con Francia e Austria, il governo italiano ha presentato all’Agrifish Council di Bruxelles una nota informativa sulla carne coltivata. Il documento parte da alcuni dubbi basati sulla disinformazione che circola sul tema e chiede alla Commissione europea di svolgere consultazioni su questo nuovo alimento basate sull’evidenza scientifica.

Questo documento non vincolante è sicuramente un tentativo di ostacolare lo sviluppo della carne coltivata in Europa. Diffonde disinformazione e intende minare il sistema regolatorio dell’Unione.

Eppure, con la sua firma, l’Italia ha riconosciuto che per passare da dei punti di domanda a una posizione politica sull’argomento è necessario prima andare alla ricerca dei fatti e risolvere quei dubbi, ascoltando le risposte della scienza.

Firmando il documento il governo ha sospeso il giudizio, sottoscrivendo che non sosterrà lo sviluppo della carne coltivata in Unione, solo se le consultazioni della Commissione dovessero avere degli esiti negativi.

In Italia, invece, si è passati direttamente dai dubbi al divieto di legge. A differenza dei loro concittadini europei, e senza un esame trasparente e scientifico, agli Italiani è già stato proibito produrre e consumare questo nuovo alimento.

Sappiamo che i metodi tradizionali di allevamento, su scala mondiale, rappresentano un ostacolo insormontabile per il raggiungimento dei target climatici. Lo hanno affermato in uno studio le Nazioni Unite durante l’ultima conferenza per il clima: "Dai prodotti di origine animale, deriva il 60% delle emissioni alimentari. C’è bisogno di cambiare il modo in cui produciamo e consumiamo il cibo". La scienza ha abbracciato questa sfida, iniziando a percorrere promettenti cammini verso possibili soluzioni. La carne coltivata è una di queste e fa dunque appello alla massima responsabilità del decisore politico.

Dubbi basati sulla disinformazione non sono una ragione per opporsi ad una soluzione per il futuro globale. Come ci dice anche la Corte Costituzionale, divieti infondati come quello italiano violano i diritti delle persone, come quello all’iniziativa economica o quello riconosciuto dall’ONU a "godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni".

Il proibizionismo sulla carne coltivata non c'entra nulla del resto con quello stesso principio di precauzione europeo, cui ci si è maldestramente appellati per vietare la carne coltivata: si tratta infatti di un principio che andrebbe applicato su prodotti già in commercio, non certo di una leva che possa giustificare proibizionismi aprioristici. Anche qui, dice il diritto Ue, i dubbi devono essere comprovati da evidenze.

È già garantito che la carne coltivata arriverà sul mercato solo dopo aver dimostrato di essere un alimento sicuro. Questo grazie al lavoro che svolgerà l’EFSA, ma anche alle consultazioni che indirà la Commissione europea, già incaricata dal Regolamento sui nuovi alimenti, che si dimostra infatti più che idoneo a valutare la carne coltivata, come dichiarato dalla Commissione al Parlamento proprio questa settimana.

Pertanto, coerentemente a quanto chiesto dal governo all’Unione con il documento Agrifish, i divieti infondati previsti dalla legge Lollobrigida andrebbero definitivamente abrogati. Anche in Italia vogliamo decidere con la scienza!

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Sulla carne coltivata decidiamo con la scienza. Il governo lo chiede all’Ue, noi lo chiediamo al governo

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24.01.2024

(Questo post è stato scritto insieme a Francesca Gallelli, Relazioni istituzionali, The Good Food Institute Europe)

Con Francia e Austria, il governo italiano ha presentato all’Agrifish Council di Bruxelles una nota informativa sulla carne coltivata. Il documento parte da alcuni dubbi basati sulla disinformazione che circola sul tema e chiede alla Commissione europea di svolgere consultazioni su questo nuovo alimento basate sull’evidenza scientifica.

Questo documento non vincolante è sicuramente un tentativo di ostacolare lo sviluppo della carne coltivata in Europa. Diffonde disinformazione e intende minare il sistema regolatorio dell’Unione.

Eppure, con la sua firma, l’Italia ha riconosciuto che per passare da dei punti di domanda a una posizione politica sull’argomento è necessario prima andare alla ricerca dei fatti e risolvere quei dubbi, ascoltando le risposte della scienza.

Firmando il documento il governo ha sospeso il giudizio, sottoscrivendo che non sosterrà lo sviluppo della carne coltivata in Unione, solo se le consultazioni della Commissione dovessero avere degli esiti negativi.

In Italia, invece, si è passati direttamente dai dubbi al divieto di legge. A differenza dei loro concittadini europei, e senza un esame trasparente e scientifico, agli Italiani è già stato proibito produrre e consumare questo nuovo alimento.

Sappiamo che i metodi tradizionali di allevamento, su scala mondiale, rappresentano un ostacolo insormontabile per il raggiungimento dei target climatici. Lo hanno affermato in uno studio le Nazioni Unite durante l’ultima conferenza per il clima: "Dai prodotti di origine animale, deriva il 60% delle emissioni alimentari. C’è bisogno di cambiare il modo in cui produciamo e........

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