Per parlare all’Africa bisogna saper parlare l’africano. Messa così potrebbe essere una via di mezzo tra il sarcastico e l’offensivo, però il fatto che la presidente del Consiglio non abbia colto le sfumature di un accento non africano in bocca a un “leader” di quel continente, conferma che la tanto sbandierata attenzione all'Africa, quella del Piano Mattei, si manifesta a chiacchiere mentre quotidianamente il governo cerca di nascondere la propria incompetenza con distrazioni comunicative a reti unificate.

Giorgia Meloni parla, almeno, un paio di lingue a braccio, è quindi ragionevole ipotizzare che questa sua competenza linguistica l’avrebbe potuta aiutare a capire che il suo interlocutore non era africano - ormai chiunque è un leader… E invece l’orecchio, come la goccia del resto, non ha fatto il suo lavoro e la telefonata è andata avanti come se in effetti fosse un contatto ai massimi livelli. Chiunque può cadere vittima di uno scherzo ben fatto, ma qui, a parte l’irrituale protocollo comunicativo, la lingua poteva suggerire maggiore circospezione e invece no, un fiume in piena.

A causa dell'assalto di Hamas a Israele il governo ha messo da parte il famigerato Piano Mattei che richiedere tempo ed energie per instaurare, o consolidare, un rapporto che sia “paritario e non predatorio” con l’Africa. Guerra a parte, anche le associazioni della diaspora africana pare che abbiamo manifestato qualche dubbio sulla proposta. Il presidente della Federazione delle diaspore africane in Italia (Fedai) Godwin Chukwu ha affermato all’agenzia DIRE che pare chiaro quali siano gli obiettivi dell’iniziativa: “Contenere l’immigrazione delle persone e aumentare le importazioni di gas”. E in effetti le recenti missioni di Meloni sono state in Tunisia (per motivi di controllo delle partenze) e Mozambico e in Repubblica del Congo (per rifornimenti gasieri in luoghi con grande presenza di Eni).

Il Piano sarebbe “dedicato” o “ispirato” a Enrico Mattei e al suo terzomondismo economico volto a rompere monopoli di influenza o presenza “occidentali” in Africa riconoscendo la necessità di trattare i "fornitori" se non da pari a pari quasi. Ma un conto è correre alle corti di governi prepotenti ricchi di petrolio e gas altro è pianificare qualcosa, qualsiasi cosa, che possa avere delle ricadute utili in termini economici e sociali per chi in Africa ci vive - cosa che l’Eni non necessariamente ha fatto.

Secondo le intenzioni del governo il piano doveva essere lanciato in occasione della Conferenza Italia Africa del prossimo fine settimana alla presenza di capi di Stato e di governo. A causa del “peggioramento del contesto internazionale di sicurezza” l’appuntamento è stato rinviato all’inizio del 2024. La strategia era quella di “scriverlo insieme”. Ora, con tutto il rispetto, come può un governo che non trova accordo al proprio interno in occasione della scrittura della legge di bilancio, candidarsi a co-scrivere un piano di non si sa quanti soldi e se con o senza il sostegno europeo o americano? Passi il fatto che tutto parrebbe esser accentrato a Palazzo Chigi, ma se anche il governo e i suoi consiglieri diplomatici (al momento un po' in disgrazia per lo scherzo telefonico) fossero capaci di gestire questo enorme sforzo, cosa mai potrebbe venir fuori di diverso o migliore rispetto a tutto quello che è stato annunciato, tentato e a volte ottenuto negli ultimi 50 anni?

Rinviare la Conferenza è stata la cosa da fare in questo momento, a parte gli stati in mano a giunte militari recentemente arrivate al potere, il resto dei paesi africani ha (forse) una posizione “terza” sulla guerra russa in Ucraina mentre non c’è defezione nel campo anti-israeliano in queste ore di bombardamenti e invasione di Gaza. Il rischio che si sarebbe parlato d’altro era molto alto e spostare tutti quei “leader” non valeva la candela, quindi bene così, ma poi?

Ammesso, e sicuramente non concesso, che la guerra tra Israele e Hamas duri ancora qualche mese e che si passi il secondo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina senza troppo progresso o regresso e senza che si inneschi la famigerata stanchezza occidentale nei confronti di Kyiv, nella primavera del 2024 ci saranno elezioni amministrative, regionali ed europee. Una campagna elettorale così distribuita sul territorio ci porterà al business as usual della politica italiana che rincorre il consenso facile togliendo la necessaria concentrazione per una pianficazione strategica.

Quindi tutto è "perduto"? Non avendo mai creduto che uno Stato, ancorché membro del G7, da solo possa permettersi piani di cooperazione, promozione, assistenza o mutuo sostegno e aiuto a un continente di quasi 1 miliardo di persone, penso che per preparare il terreno a una seria iniziativa rivolta all'Africa qualcosa di preliminare possa essere tentato:

  1. Chiarire i termini e i tempi dei famigerati decreti flussi (anche se le persone di origini africane sono una minoranza). Ancora recentemente il sottosegretario Alfredo Mantovano è tornato a chiarire che si tratterà di 450.000 “unità” in tre anni, persone che verranno individuate, o reclutate, per venire a lavorare in Italia sulla base di una domanda legale le cui necessità ed entità dovranno esser condivise coi paesi di provenienza. Non sarà quindi una sanatoria per chi è già qui. E qui iniziano i problemi. La stragrande maggioranza delle persone che sono in Italia senza la necessaria documentazione è qui in quanto overstayer (tra i 500 e i 600.000) persone entrate con un visto regolare che non sono uscite quando questo è scaduto. Prima di incrociare domanda e offerta di lavore, presumibilmente non qualificato, occorre sanare questa presenza concedendo a queste persone di far parte del tessuto sociale e dinamiche economiche del nostro Paese in modo legale. Le presenze africane non sono la maggioranza ma ci sono.

  2. Riformare tutta, a partire dalla parte relativa proprio alla (im)possibilità di poter ottenere un permesso di soggiorno e lavoro anche stagionale, la legge Bossi-Fini che in 20 anni ha creato più problemi che opportunità. Come riconosciuto dalla Banca Mondiale le rimesse dall’estero "sono una fonte vitale di reddito familiare per i paesi a basso e medio reddito. Alleviano la povertà, migliorano i risultati nutrizionali per chi le riceve". Secondo la Banca d’Italia l’Africa riceve circa mezzo miliardo l’anno.

  3. Quindi coinvolgere le comunità della diaspora africana in Italia vero e proprio anello di congiunzione, comprensione e comunicazione con il continente grazie alle competenze linguistiche esperienzze personali, economiche, sociali e culturali che le caratterizzano.

  4. Condizionare gli attuali fondi per la cooperazione e lo sviluppo, che non siano strettamente legati a emergenze umanitarie largamente intese al pieno rispetto dei diritti umani dei governi che ricevono soldi pubblici italiani - e naturalmente europei.

  5. Conseguentemente, non violare i diritti umani di cittadini non comunitari tenendo di conto la delicatezza di affermazioni pubbliche da parte istituzionale che possano contribuire alla creazione di stereotipi negativi, profili delinquanziali, incitare atteggiamenti discriminatori se non propriamente razzisti.

Già questo vasto programma mi parrebbe il minimo sindacale per essere “paritari e non predatori” nei confronti del continente africano. Poi ci vorrebbero talmente tanti altri distinguo e approfindimenti che la metà basterebbe a rovinare le notti di chi ci pensasse per i prossimi 100 anni, quindi non mi metto neanche a elencarli. Ma credo che non ci sia niente di meglio che farsi vedere con delle sincere intenzioni prima di sedersi al tavolo di negoziati che a oggi sono sempre falliti e che, forse, sono solo serviti a rafforzare regimi autoritari che hanno trattenuto qualche decina di migliaia di disperati e pompato un po’ più di petrolio e gas per le nostre comode case della libertà aumentando il problema che si voleva - forse - affrontare.

Segui i temi Commenta con i lettori I commenti dei lettori

Suggerisci una correzione

Per parlare all’Africa bisogna saper parlare l’africano. Messa così potrebbe essere una via di mezzo tra il sarcastico e l’offensivo, però il fatto che la presidente del Consiglio non abbia colto le sfumature di un accento non africano in bocca a un “leader” di quel continente, conferma che la tanto sbandierata attenzione all'Africa, quella del Piano Mattei, si manifesta a chiacchiere mentre quotidianamente il governo cerca di nascondere la propria incompetenza con distrazioni comunicative a reti unificate.

Giorgia Meloni parla, almeno, un paio di lingue a braccio, è quindi ragionevole ipotizzare che questa sua competenza linguistica l’avrebbe potuta aiutare a capire che il suo interlocutore non era africano - ormai chiunque è un leader… E invece l’orecchio, come la goccia del resto, non ha fatto il suo lavoro e la telefonata è andata avanti come se in effetti fosse un contatto ai massimi livelli. Chiunque può cadere vittima di uno scherzo ben fatto, ma qui, a parte l’irrituale protocollo comunicativo, la lingua poteva suggerire maggiore circospezione e invece no, un fiume in piena.

A causa dell'assalto di Hamas a Israele il governo ha messo da parte il famigerato Piano Mattei che richiedere tempo ed energie per instaurare, o consolidare, un rapporto che sia “paritario e non predatorio” con l’Africa. Guerra a parte, anche le associazioni della diaspora africana pare che abbiamo manifestato qualche dubbio sulla proposta. Il presidente della Federazione delle diaspore africane in Italia (Fedai) Godwin Chukwu ha affermato all’agenzia DIRE che pare chiaro quali siano gli obiettivi dell’iniziativa: “Contenere l’immigrazione delle persone e aumentare le importazioni di gas”. E in effetti le recenti missioni di Meloni sono state in Tunisia (per motivi di controllo delle partenze) e Mozambico e in Repubblica del Congo (per rifornimenti gasieri in luoghi con grande presenza di Eni).

Il Piano sarebbe “dedicato” o “ispirato” a Enrico Mattei e al suo terzomondismo economico volto a rompere monopoli di influenza o presenza “occidentali” in Africa riconoscendo la necessità di trattare i "fornitori" se non da pari a pari quasi. Ma un conto è correre alle corti di governi prepotenti ricchi di petrolio e gas altro è pianificare qualcosa, qualsiasi cosa, che possa avere delle ricadute utili in termini economici e sociali per chi in Africa ci vive - cosa che l’Eni non necessariamente ha fatto.

Secondo le intenzioni del governo il piano doveva essere lanciato in occasione della Conferenza Italia Africa del prossimo fine settimana alla presenza di capi di Stato e di governo. A causa del “peggioramento del contesto internazionale di sicurezza” l’appuntamento è stato rinviato all’inizio del 2024. La strategia era quella di “scriverlo insieme”. Ora, con tutto il rispetto, come può un governo che non trova accordo al proprio interno in occasione della scrittura della legge di bilancio, candidarsi a co-scrivere un piano di non si sa quanti soldi e se con o senza il sostegno europeo o americano? Passi il fatto che tutto parrebbe esser accentrato a Palazzo Chigi, ma se anche il governo e i suoi consiglieri diplomatici (al momento un po' in disgrazia per lo scherzo telefonico) fossero capaci di gestire questo enorme sforzo, cosa mai potrebbe venir fuori di diverso o migliore rispetto a tutto quello che è stato annunciato, tentato e a volte ottenuto negli ultimi 50 anni?

Rinviare la Conferenza è stata la cosa da fare in questo momento, a parte gli stati in mano a giunte militari recentemente arrivate al potere, il resto dei paesi africani ha (forse) una posizione “terza” sulla guerra russa in Ucraina mentre non c’è defezione nel campo anti-israeliano in queste ore di bombardamenti e invasione di Gaza. Il rischio che si sarebbe parlato d’altro era molto alto e spostare tutti quei “leader” non valeva la candela, quindi bene così, ma poi?

Ammesso, e sicuramente non concesso, che la guerra tra Israele e Hamas duri ancora qualche mese e che si passi il secondo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina senza troppo progresso o regresso e senza che si inneschi la famigerata stanchezza occidentale nei confronti di Kyiv, nella primavera del 2024 ci saranno elezioni amministrative, regionali ed europee. Una campagna elettorale così distribuita sul territorio ci porterà al business as usual della politica italiana che rincorre il consenso facile togliendo la necessaria concentrazione per una pianficazione strategica.

Quindi tutto è "perduto"? Non avendo mai creduto che uno Stato, ancorché membro del G7, da solo possa permettersi piani di cooperazione, promozione, assistenza o mutuo sostegno e aiuto a un continente di quasi 1 miliardo di persone, penso che per preparare il terreno a una seria iniziativa rivolta all'Africa qualcosa di preliminare possa essere tentato:

Chiarire i termini e i tempi dei famigerati decreti flussi (anche se le persone di origini africane sono una minoranza). Ancora recentemente il sottosegretario Alfredo Mantovano è tornato a chiarire che si tratterà di 450.000 “unità” in tre anni, persone che verranno individuate, o reclutate, per venire a lavorare in Italia sulla base di una domanda legale le cui necessità ed entità dovranno esser condivise coi paesi di provenienza. Non sarà quindi una sanatoria per chi è già qui. E qui iniziano i problemi. La stragrande maggioranza delle persone che sono in Italia senza la necessaria documentazione è qui in quanto overstayer (tra i 500 e i 600.000) persone entrate con un visto regolare che non sono uscite quando questo è scaduto. Prima di incrociare domanda e offerta di lavore, presumibilmente non qualificato, occorre sanare questa presenza concedendo a queste persone di far parte del tessuto sociale e dinamiche economiche del nostro Paese in modo legale. Le presenze africane non sono la maggioranza ma ci sono.

Riformare tutta, a partire dalla parte relativa proprio alla (im)possibilità di poter ottenere un permesso di soggiorno e lavoro anche stagionale, la legge Bossi-Fini che in 20 anni ha creato più problemi che opportunità. Come riconosciuto dalla Banca Mondiale le rimesse dall’estero "sono una fonte vitale di reddito familiare per i paesi a basso e medio reddito. Alleviano la povertà, migliorano i risultati nutrizionali per chi le riceve". Secondo la Banca d’Italia l’Africa riceve circa mezzo miliardo l’anno.

Quindi coinvolgere le comunità della diaspora africana in Italia vero e proprio anello di congiunzione, comprensione e comunicazione con il continente grazie alle competenze linguistiche esperienzze personali, economiche, sociali e culturali che le caratterizzano.

Condizionare gli attuali fondi per la cooperazione e lo sviluppo, che non siano strettamente legati a emergenze umanitarie largamente intese al pieno rispetto dei diritti umani dei governi che ricevono soldi pubblici italiani - e naturalmente europei.

Conseguentemente, non violare i diritti umani di cittadini non comunitari tenendo di conto la delicatezza di affermazioni pubbliche da parte istituzionale che possano contribuire alla creazione di stereotipi negativi, profili delinquanziali, incitare atteggiamenti discriminatori se non propriamente razzisti.

Già questo vasto programma mi parrebbe il minimo sindacale per essere “paritari e non predatori” nei confronti del continente africano. Poi ci vorrebbero talmente tanti altri distinguo e approfindimenti che la metà basterebbe a rovinare le notti di chi ci pensasse per i prossimi 100 anni, quindi non mi metto neanche a elencarli. Ma credo che non ci sia niente di meglio che farsi vedere con delle sincere intenzioni prima di sedersi al tavolo di negoziati che a oggi sono sempre falliti e che, forse, sono solo serviti a rafforzare regimi autoritari che hanno trattenuto qualche decina di migliaia di disperati e pompato un po’ più di petrolio e gas per le nostre comode case della libertà aumentando il problema che si voleva - forse - affrontare.

QOSHE - Lo scherzetto africano a Meloni dovrebbe far ripensare il Piano Mattei - Marco Perduca
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Lo scherzetto africano a Meloni dovrebbe far ripensare il Piano Mattei

4 0
03.11.2023

Per parlare all’Africa bisogna saper parlare l’africano. Messa così potrebbe essere una via di mezzo tra il sarcastico e l’offensivo, però il fatto che la presidente del Consiglio non abbia colto le sfumature di un accento non africano in bocca a un “leader” di quel continente, conferma che la tanto sbandierata attenzione all'Africa, quella del Piano Mattei, si manifesta a chiacchiere mentre quotidianamente il governo cerca di nascondere la propria incompetenza con distrazioni comunicative a reti unificate.

Giorgia Meloni parla, almeno, un paio di lingue a braccio, è quindi ragionevole ipotizzare che questa sua competenza linguistica l’avrebbe potuta aiutare a capire che il suo interlocutore non era africano - ormai chiunque è un leader… E invece l’orecchio, come la goccia del resto, non ha fatto il suo lavoro e la telefonata è andata avanti come se in effetti fosse un contatto ai massimi livelli. Chiunque può cadere vittima di uno scherzo ben fatto, ma qui, a parte l’irrituale protocollo comunicativo, la lingua poteva suggerire maggiore circospezione e invece no, un fiume in piena.

A causa dell'assalto di Hamas a Israele il governo ha messo da parte il famigerato Piano Mattei che richiedere tempo ed energie per instaurare, o consolidare, un rapporto che sia “paritario e non predatorio” con l’Africa. Guerra a parte, anche le associazioni della diaspora africana pare che abbiamo manifestato qualche dubbio sulla proposta. Il presidente della Federazione delle diaspore africane in Italia (Fedai) Godwin Chukwu ha affermato all’agenzia DIRE che pare chiaro quali siano gli obiettivi dell’iniziativa: “Contenere l’immigrazione delle persone e aumentare le importazioni di gas”. E in effetti le recenti missioni di Meloni sono state in Tunisia (per motivi di controllo delle partenze) e Mozambico e in Repubblica del Congo (per rifornimenti gasieri in luoghi con grande presenza di Eni).

Il Piano sarebbe “dedicato” o “ispirato” a Enrico Mattei e al suo terzomondismo economico volto a rompere monopoli di influenza o presenza “occidentali” in Africa riconoscendo la necessità di trattare i "fornitori" se non da pari a pari quasi. Ma un conto è correre alle corti di governi prepotenti ricchi di petrolio e gas altro è pianificare qualcosa, qualsiasi cosa, che possa avere delle ricadute utili in termini economici e sociali per chi in Africa ci vive - cosa che l’Eni non necessariamente ha fatto.

Secondo le intenzioni del governo il piano doveva essere lanciato in occasione della Conferenza Italia Africa del prossimo fine settimana alla presenza di capi di Stato e di governo. A causa del “peggioramento del contesto internazionale di sicurezza” l’appuntamento è stato rinviato all’inizio del 2024. La strategia era quella di “scriverlo insieme”. Ora, con tutto il rispetto, come può un governo che non trova accordo al proprio interno in occasione della scrittura della legge di bilancio, candidarsi a co-scrivere un piano di non si sa quanti soldi e se con o senza il sostegno europeo o americano? Passi il fatto che tutto parrebbe esser accentrato a Palazzo Chigi, ma se anche il governo e i suoi consiglieri diplomatici (al momento un po' in disgrazia per lo scherzo telefonico) fossero capaci di gestire questo enorme sforzo, cosa mai potrebbe venir fuori di diverso o migliore rispetto a tutto quello che è stato annunciato, tentato e a volte ottenuto negli ultimi 50 anni?

Rinviare la Conferenza è stata la cosa da fare in questo momento, a parte gli stati in mano a giunte militari recentemente arrivate al potere, il resto dei paesi africani ha (forse) una posizione “terza” sulla guerra russa in Ucraina mentre non c’è defezione nel campo anti-israeliano in queste ore di bombardamenti e invasione di Gaza. Il rischio che si sarebbe parlato d’altro era molto alto e spostare tutti quei “leader” non valeva la candela, quindi bene così, ma poi?

Ammesso, e sicuramente non concesso, che la guerra tra Israele e Hamas duri ancora qualche mese e che si passi il........

© HuffPost


Get it on Google Play