In un'Italia piena di problemi, anche oggi Giorgia Meloni sta sfruttando il suo solito insopportabile vittimismo per negare l'evidenza di una censura. Anzi, di una doppia censura. Sulla prima, quella esercitata dalla Rai contro il monologo di Antonio Scurati sul 25 aprile, ha già risposto lo stesso scrittore, e non serve aggiungere una virgola. La seconda censura è invece proprio quella fatta dalla premier quando ha pubblicato il testo di Scurati sul suo profilo, per cercare di dimostrare che non c'è stata alcuna censura.

Non serve essere esperti di retorica per accorgersi che la mera pubblicazione di un testo non rende giustizia all'autore e non pareggia la censura, perché lo scopo di quella pubblicazione era soltanto additare ed esporre Scurati al pubblico ludibrio dei follower. Sul suo Facebook Meloni non parla "agli italiani", ma al suo elettorato, quello più vociante. Quando scrive di pubblicare "tranquillamente" il testo di Scurati "per due ragioni", la seconda delle quali è che "gli italiani possano giudicarne liberamente il contenuto", aggiungendo un ironico "buona lettura", sta mentendo. Lei stessa sa di non parlare da premier in quel contesto, ma da leader politico, oltretutto con chiaro atteggiamento da bullo.

In questo modo, Meloni ha usato il vittimismo che la contraddistingue (da sempre, ma ancora più da quando è al potere) per ribaltare il monologo in un messaggio denigratorio di chi lo ha scritto, un metodo che già sarebbe inquietante per un capo semplice, ma che risulta inaccettabile per una Presidente del Consiglio. Mischiare così i piani istituzionale e politico, offendendo non solo un privato cittadino, ma anche l'intelligenza degli italiani (sì, perché sono gli italiani tutti le prime vittime di questo abile lavaggio retorico del cervello), è d'altronde la cifra caratteristica della cultura di questa destra, che ama piangere e - per non usare l'altra parola poco elegante del celebre detto - godere. Un gioco che, purtroppo, funziona bene in Italia.

Il mezzo è il messaggio, diceva il teorico della comunicazione Marshall McLuhan. Il testo di Scurati non è soltanto uno scritto, ma un pensiero che andava letto in televisione nell'occasione per la quale era stato pensato. Senza alcuna censura. Dopo che la prima censura è scattata, bene ha fatto Serena Bortone a leggerlo durante il suo programma, anche se giocoforza il messaggio si era già spostato dal contenuto dello scritto alla polemica sulla censura. Sarebbe potuta finire qui, male ma finire, se la premier non avesse pubblicato lo scritto sul suo Facebook, operando una seconda e forse ancor più grave censura. Quella rappresentata dal dileggio pubblico.

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Il post di Meloni su Scurati è una seconda, inaccettabile, censura

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21.04.2024

In un'Italia piena di problemi, anche oggi Giorgia Meloni sta sfruttando il suo solito insopportabile vittimismo per negare l'evidenza di una censura. Anzi, di una doppia censura. Sulla prima, quella esercitata dalla Rai contro il monologo di Antonio Scurati sul 25 aprile, ha già risposto lo stesso scrittore, e non serve aggiungere una virgola. La seconda censura è invece proprio quella fatta dalla premier quando ha pubblicato il testo di Scurati sul suo profilo, per cercare di dimostrare che non c'è stata alcuna censura.

Non serve essere esperti di retorica per accorgersi che la mera pubblicazione di un testo non rende giustizia all'autore e non pareggia la censura, perché lo scopo di quella pubblicazione era soltanto additare ed esporre Scurati al pubblico ludibrio dei follower. Sul suo Facebook Meloni non parla "agli italiani", ma al suo elettorato, quello più vociante. Quando scrive di pubblicare........

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