Mentre scrivo, ho davanti a me – tra la tastiera e lo schermo, e potrebbe ben essere una metafora – sette libri, anzi sette romanzi. Uno è un capitolo di una saga best seller mondiale, uno è stato nella dodicina d’un premio Strega recente, uno non è mai stato premiato, né con riconoscimenti né per numero di lettori, ma è uno dei miei libri preferiti di sempre (quelli del comodino, nel senso che se dovessi scappare all’improvviso di notte li porterei con me), uno è appena uscito e non so assolutamente che vita avrà, ma il precedente di quest’autrice mi piacque assai, uno è poco più che autopubblicato da un conoscente (ne sforna circa uno all’anno, tutti pressoché identici), uno mi trovò fortunosamente, per un passaparola improbabile, e mi conquistò (per qualche anno sperai in un altro romanzo, ma quell’autore sparì dai radar), uno è un tascabile, titolo riproposto sulla scia d’un altro romanzo dello stesso autore. Tre li ho acquistati, due mi sono stati regalati, due li ho ricevuti da un ufficio stampa. Cinque sono di scrittrici, due di scrittori. Il più vecchio è del 2003, il più recente ha circa una settimana. Due non risultano più disponibili per l’acquisto sulle principali piattaforme.

Li ho radunati qui, interrompendo il loro vagare per la casa (non so se anche da voi si produce il fenomeno del nomadismo librario domestico, ma da me sì), perché mi dicano qualcosa sul tema su cui tanti si stanno interrogando: il mercato del libro (parlo della narrativa italiana, e del qui e ora), le sue caratteristiche e le sue assurdità, il suo procedere per certezze instabili e/o furbe menzogne, la sua capacità (Vera? Finta? Presunta? Innegabile? Confutabile?) di contentare le esigenze commerciali e pure offrire la strada maestra alla letteratura, di far quadrare i bilanci e soddisfare le anime. E però posso chiedermelo dall’unica posizione reale e consolidata che credo di avere rispetto a quel mondo: quella di lettrice. Una che secondo i parametri correnti sarebbe anche più che una “lettrice forte” (che, non emozionatevi troppo, è solo una che legge appena un libro al mese, dodici all’anno: più o meno il 15% di italiani, uno zoccolo duro che nessuna oscillazione del mercato sembra alterare).

Ora non entrerò nel merito del tema vendite, visto che le cifre le sappiamo tutti, come sappiamo della mostruosa forbice tra il pubblicato e il venduto, ma anche dell’altrettanto mostruosa riduzione dell’emivita di un libro, che se va bene sta sugli scaffali (quando ci arriva) due mesi e poi sparisce, e del potere moltiplicatore di alcuni premi.

Ma voglio parlare del punto che a me – in quanto lettrice forte che continua a perseguire la lettura come irrinunciabile diritto dell’anima – sta più a cuore: può questo mondo editoriale così congegnato, con le sue “bolle”, le sue storture, le sue eccellenze – e ci metto dentro tutta la filiera: dalle scuole per narratori agli uffici stampa, ai recensori-segnalatori (che non sono la stessa specie) – garantirmi che avrò di che alimentare ora e nel futuro la mia curiosità, il mio ardore di lettrice?

Può questo ircocervo mezzo mercante mezzo poeta laureato dare una possibilità ad autori e libri che non sono e non saranno mai Dante e la Divina Commedia ma che potranno dare anni di ottime letture a tanti come me, e perché no, alcuni restare pure e diventare le nuove Divine Commedie? Può? Ce la fa? Le ingiustizie e le trascuratezze che mette in atto (potete fare gli elenchi che volete: probabilmente sono tutti esatti e tutti sbagliati, contemporaneamente) sono compensate dalla garanzia che, attraverso la passione, la competenza, l’ardore di tanti e diversi operatori – agenti, insegnanti, editori, editor, uffici stampa, recensori, librai, organizzatori di incontri, di festival, di gruppi di lettura, me e voi che ne parliamo sui social – lascerà emergere scritture e voci, e accompagnarle anche per pochissimo, ma in modo che una lettrice come me abbia una possibilità di incontrarle?

A me non importa affatto che alcuni titoli della dodicina dello Strega di quest’anno abbiano finora venduto trecento copie, anzi, semmai lo trovo una garanzia, che un premio porti l’attenzione su quel che un libro ha da dire, indipendentemente dalla sua fortuna. Ma so che la fortuna di un libro passa anche per una serie di cose molto… prosaiche: dove puoi leggerne, chi te ne parla, chi te lo consiglia, dove puoi incontrarlo per caso. E so anche che gli editori più piccoli non possono permettersi nessuna macchina da guerra di promozione. E allora è tanto più importante che ci siano persone, professionalità, canali (sì, persino il vituperato Tik Tok) che consentano ai libri di esistere e farsi notare, e arrivare qui, sulla scrivania.

Un amico editore una volta mi disse: “Se io vendessi mille copie di ciascuno dei miei libri sarei felice”. Lui non fa più di dodici uscite l’anno, e alcuni di questi libri risultano invisibili. Una lettrice motivata ed entusiasta potrebbe non incontrarli mai. E sì, magari nessuno di quelli sarà mai la Divina Commedia, ma sapete che tutti assieme i libri, la specie dei libri, sono la cavolo di Divina Commedia, e noi non possiamo rinunciare a nessuno di loro, alla possibilità di nessuno di loro.

Un mercato più sano, una filiera più congrua, un vero aiuto istituzionale (sapete cos’è il Fondo speciale per le biblioteche, scaduto lo scorso anno e che le associazioni di editori e librai hanno chiesto, appena un mese fa, che diventi strutturale?) e più soldi per i progetti per la lettura (magari invece di denari a pioggia per festival autoreferenziali dove si chiama il Nobel per fare vetrina ma non ci si cura affatto di cosa resterà, di quel possibile incontro tra chi scrive e chi legge) aiuterebbero tutti noi, i lettori forti, i lettori così così, quelli che potrebbero diventare lettori.

Io ho incontrato questi miei sette libri, questo campionario di quanto sia diverso e multiforme quel che chiamiamo “mercato”, in modi diversi. Mi hanno dato cose diverse. Alcuni resteranno, nel modo in cui restano i libri: perché ti svelano mondi, o perché ti confermano i mondi che conosci; perché ti fanno conoscere cose che non sapevi, cose che non sapevi di essere. Sei grato a libri meravigliosi, sei grato anche a libri modesti, ma con un granello di luce, a libri spariti, a libri che dopo cinque anni, dopo dieci anni non esistono più (anzi, ora con gli ebook la loro possibile vita forse è più lunga, forse, ma sempre legata a tecnologie che, aggiornandosi, possono fare sparire interi mondi) e la sensazione che è tutto un immenso viaggio, un cammino comune e lo percorriamo anche così, pagina dopo pagina, tra bestseller e sconosciuti.

E tutto questo nel mio immaginario di illusa significa soprattutto una cosa: più possibilità di essere umani e felici. Ecco cosa sono i libri, per me. Anche quelli che vendono trecento copie.

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Mentre scrivo, ho davanti a me – tra la tastiera e lo schermo, e potrebbe ben essere una metafora – sette libri, anzi sette romanzi. Uno è un capitolo di una saga best seller mondiale, uno è stato nella dodicina d’un premio Strega recente, uno non è mai stato premiato, né con riconoscimenti né per numero di lettori, ma è uno dei miei libri preferiti di sempre (quelli del comodino, nel senso che se dovessi scappare all’improvviso di notte li porterei con me), uno è appena uscito e non so assolutamente che vita avrà, ma il precedente di quest’autrice mi piacque assai, uno è poco più che autopubblicato da un conoscente (ne sforna circa uno all’anno, tutti pressoché identici), uno mi trovò fortunosamente, per un passaparola improbabile, e mi conquistò (per qualche anno sperai in un altro romanzo, ma quell’autore sparì dai radar), uno è un tascabile, titolo riproposto sulla scia d’un altro romanzo dello stesso autore. Tre li ho acquistati, due mi sono stati regalati, due li ho ricevuti da un ufficio stampa. Cinque sono di scrittrici, due di scrittori. Il più vecchio è del 2003, il più recente ha circa una settimana. Due non risultano più disponibili per l’acquisto sulle principali piattaforme.

Li ho radunati qui, interrompendo il loro vagare per la casa (non so se anche da voi si produce il fenomeno del nomadismo librario domestico, ma da me sì), perché mi dicano qualcosa sul tema su cui tanti si stanno interrogando: il mercato del libro (parlo della narrativa italiana, e del qui e ora), le sue caratteristiche e le sue assurdità, il suo procedere per certezze instabili e/o furbe menzogne, la sua capacità (Vera? Finta? Presunta? Innegabile? Confutabile?) di contentare le esigenze commerciali e pure offrire la strada maestra alla letteratura, di far quadrare i bilanci e soddisfare le anime. E però posso chiedermelo dall’unica posizione reale e consolidata che credo di avere rispetto a quel mondo: quella di lettrice. Una che secondo i parametri correnti sarebbe anche più che una “lettrice forte” (che, non emozionatevi troppo, è solo una che legge appena un libro al mese, dodici all’anno: più o meno il 15% di italiani, uno zoccolo duro che nessuna oscillazione del mercato sembra alterare).

Ora non entrerò nel merito del tema vendite, visto che le cifre le sappiamo tutti, come sappiamo della mostruosa forbice tra il pubblicato e il venduto, ma anche dell’altrettanto mostruosa riduzione dell’emivita di un libro, che se va bene sta sugli scaffali (quando ci arriva) due mesi e poi sparisce, e del potere moltiplicatore di alcuni premi.

Ma voglio parlare del punto che a me – in quanto lettrice forte che continua a perseguire la lettura come irrinunciabile diritto dell’anima – sta più a cuore: può questo mondo editoriale così congegnato, con le sue “bolle”, le sue storture, le sue eccellenze – e ci metto dentro tutta la filiera: dalle scuole per narratori agli uffici stampa, ai recensori-segnalatori (che non sono la stessa specie) – garantirmi che avrò di che alimentare ora e nel futuro la mia curiosità, il mio ardore di lettrice?

Può questo ircocervo mezzo mercante mezzo poeta laureato dare una possibilità ad autori e libri che non sono e non saranno mai Dante e la Divina Commedia ma che potranno dare anni di ottime letture a tanti come me, e perché no, alcuni restare pure e diventare le nuove Divine Commedie? Può? Ce la fa? Le ingiustizie e le trascuratezze che mette in atto (potete fare gli elenchi che volete: probabilmente sono tutti esatti e tutti sbagliati, contemporaneamente) sono compensate dalla garanzia che, attraverso la passione, la competenza, l’ardore di tanti e diversi operatori – agenti, insegnanti, editori, editor, uffici stampa, recensori, librai, organizzatori di incontri, di festival, di gruppi di lettura, me e voi che ne parliamo sui social – lascerà emergere scritture e voci, e accompagnarle anche per pochissimo, ma in modo che una lettrice come me abbia una possibilità di incontrarle?

A me non importa affatto che alcuni titoli della dodicina dello Strega di quest’anno abbiano finora venduto trecento copie, anzi, semmai lo trovo una garanzia, che un premio porti l’attenzione su quel che un libro ha da dire, indipendentemente dalla sua fortuna. Ma so che la fortuna di un libro passa anche per una serie di cose molto… prosaiche: dove puoi leggerne, chi te ne parla, chi te lo consiglia, dove puoi incontrarlo per caso. E so anche che gli editori più piccoli non possono permettersi nessuna macchina da guerra di promozione. E allora è tanto più importante che ci siano persone, professionalità, canali (sì, persino il vituperato Tik Tok) che consentano ai libri di esistere e farsi notare, e arrivare qui, sulla scrivania.

Un amico editore una volta mi disse: “Se io vendessi mille copie di ciascuno dei miei libri sarei felice”. Lui non fa più di dodici uscite l’anno, e alcuni di questi libri risultano invisibili. Una lettrice motivata ed entusiasta potrebbe non incontrarli mai. E sì, magari nessuno di quelli sarà mai la Divina Commedia, ma sapete che tutti assieme i libri, la specie dei libri, sono la cavolo di Divina Commedia, e noi non possiamo rinunciare a nessuno di loro, alla possibilità di nessuno di loro.

Un mercato più sano, una filiera più congrua, un vero aiuto istituzionale (sapete cos’è il Fondo speciale per le biblioteche, scaduto lo scorso anno e che le associazioni di editori e librai hanno chiesto, appena un mese fa, che diventi strutturale?) e più soldi per i progetti per la lettura (magari invece di denari a pioggia per festival autoreferenziali dove si chiama il Nobel per fare vetrina ma non ci si cura affatto di cosa resterà, di quel possibile incontro tra chi scrive e chi legge) aiuterebbero tutti noi, i lettori forti, i lettori così così, quelli che potrebbero diventare lettori.

Io ho incontrato questi miei sette libri, questo campionario di quanto sia diverso e multiforme quel che chiamiamo “mercato”, in modi diversi. Mi hanno dato cose diverse. Alcuni resteranno, nel modo in cui restano i libri: perché ti svelano mondi, o perché ti confermano i mondi che conosci; perché ti fanno conoscere cose che non sapevi, cose che non sapevi di essere. Sei grato a libri meravigliosi, sei grato anche a libri modesti, ma con un granello di luce, a libri spariti, a libri che dopo cinque anni, dopo dieci anni non esistono più (anzi, ora con gli ebook la loro possibile vita forse è più lunga, forse, ma sempre legata a tecnologie che, aggiornandosi, possono fare sparire interi mondi) e la sensazione che è tutto un immenso viaggio, un cammino comune e lo percorriamo anche così, pagina dopo pagina, tra bestseller e sconosciuti.

E tutto questo nel mio immaginario di illusa significa soprattutto una cosa: più possibilità di essere umani e felici. Ecco cosa sono i libri, per me. Anche quelli che vendono trecento copie.

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Il mercato del libro, caratteristiche e assurdità

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10.04.2024

Mentre scrivo, ho davanti a me – tra la tastiera e lo schermo, e potrebbe ben essere una metafora – sette libri, anzi sette romanzi. Uno è un capitolo di una saga best seller mondiale, uno è stato nella dodicina d’un premio Strega recente, uno non è mai stato premiato, né con riconoscimenti né per numero di lettori, ma è uno dei miei libri preferiti di sempre (quelli del comodino, nel senso che se dovessi scappare all’improvviso di notte li porterei con me), uno è appena uscito e non so assolutamente che vita avrà, ma il precedente di quest’autrice mi piacque assai, uno è poco più che autopubblicato da un conoscente (ne sforna circa uno all’anno, tutti pressoché identici), uno mi trovò fortunosamente, per un passaparola improbabile, e mi conquistò (per qualche anno sperai in un altro romanzo, ma quell’autore sparì dai radar), uno è un tascabile, titolo riproposto sulla scia d’un altro romanzo dello stesso autore. Tre li ho acquistati, due mi sono stati regalati, due li ho ricevuti da un ufficio stampa. Cinque sono di scrittrici, due di scrittori. Il più vecchio è del 2003, il più recente ha circa una settimana. Due non risultano più disponibili per l’acquisto sulle principali piattaforme.

Li ho radunati qui, interrompendo il loro vagare per la casa (non so se anche da voi si produce il fenomeno del nomadismo librario domestico, ma da me sì), perché mi dicano qualcosa sul tema su cui tanti si stanno interrogando: il mercato del libro (parlo della narrativa italiana, e del qui e ora), le sue caratteristiche e le sue assurdità, il suo procedere per certezze instabili e/o furbe menzogne, la sua capacità (Vera? Finta? Presunta? Innegabile? Confutabile?) di contentare le esigenze commerciali e pure offrire la strada maestra alla letteratura, di far quadrare i bilanci e soddisfare le anime. E però posso chiedermelo dall’unica posizione reale e consolidata che credo di avere rispetto a quel mondo: quella di lettrice. Una che secondo i parametri correnti sarebbe anche più che una “lettrice forte” (che, non emozionatevi troppo, è solo una che legge appena un libro al mese, dodici all’anno: più o meno il 15% di italiani, uno zoccolo duro che nessuna oscillazione del mercato sembra alterare).

Ora non entrerò nel merito del tema vendite, visto che le cifre le sappiamo tutti, come sappiamo della mostruosa forbice tra il pubblicato e il venduto, ma anche dell’altrettanto mostruosa riduzione dell’emivita di un libro, che se va bene sta sugli scaffali (quando ci arriva) due mesi e poi sparisce, e del potere moltiplicatore di alcuni premi.

Ma voglio parlare del punto che a me – in quanto lettrice forte che continua a perseguire la lettura come irrinunciabile diritto dell’anima – sta più a cuore: può questo mondo editoriale così congegnato, con le sue “bolle”, le sue storture, le sue eccellenze – e ci metto dentro tutta la filiera: dalle scuole per narratori agli uffici stampa, ai recensori-segnalatori (che non sono la stessa specie) – garantirmi che avrò di che alimentare ora e nel futuro la mia curiosità, il mio ardore di lettrice?

Può questo ircocervo mezzo mercante mezzo poeta laureato dare una possibilità ad autori e libri che non sono e non saranno mai Dante e la Divina Commedia ma che potranno dare anni di ottime letture a tanti come me, e perché no, alcuni restare pure e diventare le nuove Divine Commedie? Può? Ce la fa? Le ingiustizie e le trascuratezze che mette in atto (potete fare gli elenchi che volete: probabilmente sono tutti esatti e tutti sbagliati,........

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