“La situazione nella penisola coreana è più pericolosa di quanto lo sia mai stata dall’inizio di giugno 1950. Questa valutazione può sembrare eccessivamente drammatica, ma crediamo che, come suo nonno nel 1950, Kim Jong Un abbia preso la decisione di entrare in guerra con la Corea del Sud". Così recita l'articolo di apertura di 38 North, rivista autorevole che è una lettura essenziale per diplomatici, studiosi e analisti interessati a decifrare gli eventi che si verificano intorno al 38simo parallelo appunto, quello che divide il Nord dal Sud della penisola coreana. Gli autori sono gli americani Seigfried Hecker e Robert Carlin, insieme quasi quaranta viaggi in Corea del Nord, nonchè autori di ricerche approfondite sulla rincorsa nucleare del Paese. Pur riconoscendo la natura speculativa delle loro affermazioni, i due esperti sostengono che Kim è stato così umiliato e ferito dal suo tentativo infruttuoso di normalizzare le relazioni con gli Stati Uniti durante il vertice del 2019 ad Hanoi, che ora sta prendendo in considerazione un’azione militare.

Secondo loro, Kim entrerebbe in guerra solo dopo “aver concluso che tutte le altre opzioni sono state esaurite”. I due non dicono cosa il leader nordcoreano pensa di poter ottenere entrando in guerra, ma avvertono che se i politici negli Stati Uniti e nei Paesi alleati pensano che la Corea del Nord non oserebbe mai iniziare un conflitto perché teme la distruzione del regime, sbagliano: e non di poco.

Non tutti la pensano così, però: sulla stessa testata, a rispondere a questa valutazione inquietante, una confutazione arriva da un due volte ambasciatore tedesco a Pyongyang. Pur riconoscendo il crescente pericolo di uno scontro militare nella penisola coreana, l'ambasciatore Thomas Schäfer contesta l'idea che la motivazione della guerra di Kim risieda nel fallimento degli sforzi diplomatici con gli Stati Uniti. Altri esperti sotengono invece che anche la vicina Cina potrebbe considerare la guerra nella penisola un rischio inaccettabile per se stessa e impedire a Kim ogni mossa.

Questa potrebbe altrimenti essere un’altra discussione di politica internazionale, un dibattito pubblico tra analisti e diplomatici su uno scenario ipotetico. Ma la discussione in assume urgenza alla luce dei recenti eventi. L’articolo sostiene che credere che Kim non rischierebbe la guerra a causa dell’inevitabile distruzione del suo regime è un “grave fallimento di immaginazione”: parole che ricordano le accuse rivolte ai politici e agli uomini dei servizi segreti israeliani per non aver immaginato che Hamas potesse lanciare un attacco tanto ampio come quello del 7 ottobre pur sapendo che Israele si sarebbe vendicato con una potenza di fuoco schiacciante.

L’immaginazione dunque è un ingrediente tanto necessario per gestire le crisi: e forse anche per prevenire disastri causati dall’uomo.

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“La situazione nella penisola coreana è più pericolosa di quanto lo sia mai stata dall’inizio di giugno 1950. Questa valutazione può sembrare eccessivamente drammatica, ma crediamo che, come suo nonno nel 1950, Kim Jong Un abbia preso la decisione di entrare in guerra con la Corea del Sud". Così recita l'articolo di apertura di 38 North, rivista autorevole che è una lettura essenziale per diplomatici, studiosi e analisti interessati a decifrare gli eventi che si verificano intorno al 38simo parallelo appunto, quello che divide il Nord dal Sud della penisola coreana. Gli autori sono gli americani Seigfried Hecker e Robert Carlin, insieme quasi quaranta viaggi in Corea del Nord, nonchè autori di ricerche approfondite sulla rincorsa nucleare del Paese. Pur riconoscendo la natura speculativa delle loro affermazioni, i due esperti sostengono che Kim è stato così umiliato e ferito dal suo tentativo infruttuoso di normalizzare le relazioni con gli Stati Uniti durante il vertice del 2019 ad Hanoi, che ora sta prendendo in considerazione un’azione militare.

Secondo loro, Kim entrerebbe in guerra solo dopo “aver concluso che tutte le altre opzioni sono state esaurite”. I due non dicono cosa il leader nordcoreano pensa di poter ottenere entrando in guerra, ma avvertono che se i politici negli Stati Uniti e nei Paesi alleati pensano che la Corea del Nord non oserebbe mai iniziare un conflitto perché teme la distruzione del regime, sbagliano: e non di poco.

Non tutti la pensano così, però: sulla stessa testata, a rispondere a questa valutazione inquietante, una confutazione arriva da un due volte ambasciatore tedesco a Pyongyang. Pur riconoscendo il crescente pericolo di uno scontro militare nella penisola coreana, l'ambasciatore Thomas Schäfer contesta l'idea che la motivazione della guerra di Kim risieda nel fallimento degli sforzi diplomatici con gli Stati Uniti. Altri esperti sotengono invece che anche la vicina Cina potrebbe considerare la guerra nella penisola un rischio inaccettabile per se stessa e impedire a Kim ogni mossa.

Questa potrebbe altrimenti essere un’altra discussione di politica internazionale, un dibattito pubblico tra analisti e diplomatici su uno scenario ipotetico. Ma la discussione in assume urgenza alla luce dei recenti eventi. L’articolo sostiene che credere che Kim non rischierebbe la guerra a causa dell’inevitabile distruzione del suo regime è un “grave fallimento di immaginazione”: parole che ricordano le accuse rivolte ai politici e agli uomini dei servizi segreti israeliani per non aver immaginato che Hamas potesse lanciare un attacco tanto ampio come quello del 7 ottobre pur sapendo che Israele si sarebbe vendicato con una potenza di fuoco schiacciante.

L’immaginazione dunque è un ingrediente tanto necessario per gestire le crisi: e forse anche per prevenire disastri causati dall’uomo.

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Non sottovalutare Kim Jong Un e i suoi propositi di guerra

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25.01.2024

“La situazione nella penisola coreana è più pericolosa di quanto lo sia mai stata dall’inizio di giugno 1950. Questa valutazione può sembrare eccessivamente drammatica, ma crediamo che, come suo nonno nel 1950, Kim Jong Un abbia preso la decisione di entrare in guerra con la Corea del Sud". Così recita l'articolo di apertura di 38 North, rivista autorevole che è una lettura essenziale per diplomatici, studiosi e analisti interessati a decifrare gli eventi che si verificano intorno al 38simo parallelo appunto, quello che divide il Nord dal Sud della penisola coreana. Gli autori sono gli americani Seigfried Hecker e Robert Carlin, insieme quasi quaranta viaggi in Corea del Nord, nonchè autori di ricerche approfondite sulla rincorsa nucleare del Paese. Pur riconoscendo la natura speculativa delle loro affermazioni, i due esperti sostengono che Kim è stato così umiliato e ferito dal suo tentativo infruttuoso di normalizzare le relazioni con gli Stati Uniti durante il vertice del 2019 ad Hanoi, che ora sta prendendo in considerazione un’azione militare.

Secondo loro, Kim entrerebbe in guerra solo dopo “aver concluso che tutte le altre opzioni sono state esaurite”. I due non dicono cosa il leader nordcoreano pensa di poter ottenere entrando in guerra, ma avvertono che se i politici negli Stati Uniti e nei Paesi alleati pensano che la Corea del Nord non oserebbe mai iniziare un conflitto perché teme la distruzione del regime, sbagliano: e non di poco.

Non tutti la pensano........

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