Nel primo episodio della terza stagione di Black Mirror viene rappresentato un mondo dove le persone vengono giudicate in base alla loro popolarità su un’applicazione molto simile a Instagram, dove 0 è il punteggio più basso e 5 il più alto. La protagonista Lacie Pound vuole raggiugere un grado di popolarità pari a 4,5 punti che le consentirebbe di ottenere uno sconto sull’acquisto della sua nuova casa, per farlo intraprende una serie di azioni che, al contrario, creano una concatenazione di eventi negativi che le fanno diminuire il suo punteggio e più questo è basso più le persone la ignorano e più la ignorano più il suo rating scende, creando una spirale verso il basso che sembra non avere fine.

Ecco, quando ho letto la storia che ha coinvolto Giovanna Pedretti, la ristoratrice del lodigiano trovata morta lo scorso 14 gennaio, protagonista di una storia tutta social fatta di recensioni, pubblicità estrema, debunking e gogna mediatica, ho pensato subito a Lacie.

Facciamo un passo indietro: giovedì 11 gennaio sul profilo facebook della pizzerie “Le Vignole” compare un post in cui, ad una recensione omofoba e abilista, la proprietaria del ristorante, Giovanna Pedretti, risponde per le rime comunicando alla cliente di non essere più la benvenuta nel proprio locale. Questo post fa il giro dei social e dei media tradizionali: articoli di giornale, interviste, servizi ai Tg, la Pedretti diventa in pochissimo tempo l’eroina del giorno. Il 12 gennaio lo chef Lorenzo Biagiarelli, supportato dal potere social della sua fidanzata Selvaggia Lucarelli, solleva il dubbio sulla veridicità dello screenshot pubblicato dal locale. Da quel momento in poi le cose sembrano precipitare: gli stessi giornali e profili social che avevano osannato le parole della ristoratrice, diventano violenti accusatori della stessa dando il via a una gogna mediatica. La mattina di domenica 14 gennaio Giovanna Pedretti esce da casa intorno alle 4 del mattino e sceglie di togliersi la vita nelle acque del fiume Lambro.

Al netto delle indagini in corso e delle motivazioni profonde e sconosciute che hanno spinto la donna a decidere che non valesse più la pena vivere, questa storia ci dice molto del mondo in cui viviamo. E non è solo una questione di haters o di linguaggio d’odio, di accanimento e di gogna mediatica, è una questione di valore e di importanza, di onestà intellettuale e di controllo delle informazioni.

Le responsabilità in questa storia sono diffuse: riguardano chi ha scritto la recensione (vera o falsa che sia), riguardano la buona fede o meno del ristorante che ha scelto di sfruttare un episodio come questo per un’operazione di marketing casareccio, riguarda chi ha fatto di un unico post social un contenuto dell’agenda politica e giornalistica del Paese, riguarda chi, sicuramente senza poter immaginare le conseguenze, ha scelto di smascherare quella che credeva essere una bugia, riguarda chi a seguito di questo smascheramento ha deciso di ergersi a giudice e censore della vita altrui e, paradossalmente, riguarda anche chi oggi, dopo il presunto suicidio, si erge e a giudice e censore di chi ha giudicato in precedenza.

È quello che sta accadendo con Chiara Ferragni che ha sicuramente sbagliato e che ne sta pagando e ne pagherà le conseguenze nelle sedi opportune, ma il limite tra dare la notizia e diventare ossessionati dal crollo del suo impero rischia di essere ormai ampiamente superato oltre che terribilmente esagerato, dimenticandosi che la Ferragni è pur sempre una persona, una mamma, un imprenditrice, e che così facendo viene traghettata verso quel dirupo senza possibilità di ritorno.

Così come quello tra la voglia di giustizia e la sete di vendetta che ha portato Fedez a diffondere in rete l’identità di un suo presunto haters sbattendo in video la foto sbagliata e mettendo alla berlina una persona totalmente estranea. Ma questa è un’altra storia che serve solo a dimostrare che nessuno è immune dal pericolo dell’uso distorto dei media e che passare da vittima a carnefice e da carnefice a vittima è un attimo.

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Nel primo episodio della terza stagione di Black Mirror viene rappresentato un mondo dove le persone vengono giudicate in base alla loro popolarità su un’applicazione molto simile a Instagram, dove 0 è il punteggio più basso e 5 il più alto. La protagonista Lacie Pound vuole raggiugere un grado di popolarità pari a 4,5 punti che le consentirebbe di ottenere uno sconto sull’acquisto della sua nuova casa, per farlo intraprende una serie di azioni che, al contrario, creano una concatenazione di eventi negativi che le fanno diminuire il suo punteggio e più questo è basso più le persone la ignorano e più la ignorano più il suo rating scende, creando una spirale verso il basso che sembra non avere fine.

Ecco, quando ho letto la storia che ha coinvolto Giovanna Pedretti, la ristoratrice del lodigiano trovata morta lo scorso 14 gennaio, protagonista di una storia tutta social fatta di recensioni, pubblicità estrema, debunking e gogna mediatica, ho pensato subito a Lacie.

Facciamo un passo indietro: giovedì 11 gennaio sul profilo facebook della pizzerie “Le Vignole” compare un post in cui, ad una recensione omofoba e abilista, la proprietaria del ristorante, Giovanna Pedretti, risponde per le rime comunicando alla cliente di non essere più la benvenuta nel proprio locale. Questo post fa il giro dei social e dei media tradizionali: articoli di giornale, interviste, servizi ai Tg, la Pedretti diventa in pochissimo tempo l’eroina del giorno. Il 12 gennaio lo chef Lorenzo Biagiarelli, supportato dal potere social della sua fidanzata Selvaggia Lucarelli, solleva il dubbio sulla veridicità dello screenshot pubblicato dal locale. Da quel momento in poi le cose sembrano precipitare: gli stessi giornali e profili social che avevano osannato le parole della ristoratrice, diventano violenti accusatori della stessa dando il via a una gogna mediatica. La mattina di domenica 14 gennaio Giovanna Pedretti esce da casa intorno alle 4 del mattino e sceglie di togliersi la vita nelle acque del fiume Lambro.

Al netto delle indagini in corso e delle motivazioni profonde e sconosciute che hanno spinto la donna a decidere che non valesse più la pena vivere, questa storia ci dice molto del mondo in cui viviamo. E non è solo una questione di haters o di linguaggio d’odio, di accanimento e di gogna mediatica, è una questione di valore e di importanza, di onestà intellettuale e di controllo delle informazioni.

Le responsabilità in questa storia sono diffuse: riguardano chi ha scritto la recensione (vera o falsa che sia), riguardano la buona fede o meno del ristorante che ha scelto di sfruttare un episodio come questo per un’operazione di marketing casareccio, riguarda chi ha fatto di un unico post social un contenuto dell’agenda politica e giornalistica del Paese, riguarda chi, sicuramente senza poter immaginare le conseguenze, ha scelto di smascherare quella che credeva essere una bugia, riguarda chi a seguito di questo smascheramento ha deciso di ergersi a giudice e censore della vita altrui e, paradossalmente, riguarda anche chi oggi, dopo il presunto suicidio, si erge e a giudice e censore di chi ha giudicato in precedenza.

È quello che sta accadendo con Chiara Ferragni che ha sicuramente sbagliato e che ne sta pagando e ne pagherà le conseguenze nelle sedi opportune, ma il limite tra dare la notizia e diventare ossessionati dal crollo del suo impero rischia di essere ormai ampiamente superato oltre che terribilmente esagerato, dimenticandosi che la Ferragni è pur sempre una persona, una mamma, un imprenditrice, e che così facendo viene traghettata verso quel dirupo senza possibilità di ritorno.

Così come quello tra la voglia di giustizia e la sete di vendetta che ha portato Fedez a diffondere in rete l’identità di un suo presunto haters sbattendo in video la foto sbagliata e mettendo alla berlina una persona totalmente estranea. Ma questa è un’altra storia che serve solo a dimostrare che nessuno è immune dal pericolo dell’uso distorto dei media e che passare da vittima a carnefice e da carnefice a vittima è un attimo.

QOSHE - Passare dalla parte del torto è un attimo - Helene Pacitto
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Passare dalla parte del torto è un attimo

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16.01.2024

Nel primo episodio della terza stagione di Black Mirror viene rappresentato un mondo dove le persone vengono giudicate in base alla loro popolarità su un’applicazione molto simile a Instagram, dove 0 è il punteggio più basso e 5 il più alto. La protagonista Lacie Pound vuole raggiugere un grado di popolarità pari a 4,5 punti che le consentirebbe di ottenere uno sconto sull’acquisto della sua nuova casa, per farlo intraprende una serie di azioni che, al contrario, creano una concatenazione di eventi negativi che le fanno diminuire il suo punteggio e più questo è basso più le persone la ignorano e più la ignorano più il suo rating scende, creando una spirale verso il basso che sembra non avere fine.

Ecco, quando ho letto la storia che ha coinvolto Giovanna Pedretti, la ristoratrice del lodigiano trovata morta lo scorso 14 gennaio, protagonista di una storia tutta social fatta di recensioni, pubblicità estrema, debunking e gogna mediatica, ho pensato subito a Lacie.

Facciamo un passo indietro: giovedì 11 gennaio sul profilo facebook della pizzerie “Le Vignole” compare un post in cui, ad una recensione omofoba e abilista, la proprietaria del ristorante, Giovanna Pedretti, risponde per le rime comunicando alla cliente di non essere più la benvenuta nel proprio locale. Questo post fa il giro dei social e dei media tradizionali: articoli di giornale, interviste, servizi ai Tg, la Pedretti diventa in pochissimo tempo l’eroina del giorno. Il 12 gennaio lo chef Lorenzo Biagiarelli, supportato dal potere social della sua fidanzata Selvaggia Lucarelli, solleva il dubbio sulla veridicità dello screenshot pubblicato dal locale. Da quel momento in poi le cose sembrano precipitare: gli stessi giornali e profili social che avevano osannato le parole della ristoratrice, diventano violenti accusatori della stessa dando il via a una gogna mediatica. La mattina di domenica 14 gennaio Giovanna Pedretti esce da casa intorno alle 4 del mattino e sceglie di togliersi la vita nelle acque del fiume Lambro.

Al netto delle indagini........

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