Come sono lontani i tempi di Franco Marini nel Pd e della prima stagione politica, culturale e programmatica di quel partito. Una stagione in cui la cultura, la tradizione e il pensiero dei cattolici popolari e sociali non erano una banale parentesi o un semplice inciampo nella vita del Pd ma, al contrario, rappresentavano un asset costitutivo e qualificante della identità e del progetto complessivo del partito. Oggi, purtroppo e con molta tristezza, assistiamo alla “richiesta” della corrente popolare nel Pd guidata dal duo Delrio/Castagnetti di avere almeno “un posto in segreteria”, visto che a tutt’oggi quella corrente non è presente negli organismi che contano.

Ora, è del tutto evidente che è persin inutile qualsiasi commento al riguardo. Da componente costitutiva e decisiva per la nascita di un partito e il decollo di un progetto politico a comparsa che rivendica almeno la presenza di un esponente di quella piccola corrente per potere partecipare alla distribuzione di qualche candidatura qua e là. Ma, al di là di questo triste ed oggettivo epilogo, è altrettanto ovvio che il tema della presenza politica dei cattolici - o, meglio ancora, dei cattolici popolari e sociali - non si può ridurre a mendicare qualche briciola all’interno dei singoli partiti. Qualunque sia il partito in cui si sceglie di militare o di portare la propria testimonianza. Certo, sono lontani, se non addirittura remoti, i tempi della esperienza cinquantennale della Democrazia Cristiana o dei partiti che sono gemmati da quella ricca e feconda storia politica. Mi riferisco, nello specifico, al Ppi di Franco Marini e di Gerardo Bianco e al Ccd di Casini, Mastella e Sandro Fontana. Ma se nella cosiddetta seconda repubblica, tutto sommato, l’esperienza dei cattolici popolari e sociali era ancora visibile - anche se cominciava inesorabilmente il declino politico e culturale - è altrettanto evidente che c’è un modo concreto per svilire definitivamente ed irreversibilmente questo filone di pensiero e questa cultura che conservano, tuttavia, una bruciante attualità e modernità. Ed è quello di ridurlo a comparsa.

E, appunto, seppur dando per scontato l’ormai acquisito e consolidato pluralismo politico dei cattolici, non possiamo non avanzare una semplice riflessione. E cioè, la presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana non può ridursi all’arredo o all’ornamento. E questo perché questo storico filone culturale non è riconducibile nè alla riproposizione della esperienza dei “cattolici indipendenti di sinistra nel Pci” degli anni ‘70 da un lato e nè, sul versante opposto, ad una presenza puramente testimoniale e quindi politicamente sterile. E, purtroppo e come da copione, oggi assistiamo a questo mesto spettacolo. Al punto che gli stessi osservatori, anche se storici detrattori della Dc, del Ppi, del Ccd e della intera esperienza del cattolicesimo politico italiano, insistono a richiederne la presenza attiva nella cittadella politica italiana per la loro specificità culturale e, soprattutto, per i valori che sono in grado di dispiegare concretamente.

Per questi semplici motivi siamo arrivati ad un punto di svolta, anche per il destino e la prospettiva della storia secolare e della presenza pubblica dei cattolici nella vita politica italiana. Non può, cioè, ridursi a mendicare qualche strapuntino negli organismi dirigenti di partiti - come capita concretamente nel Pd - come compensazione per la fedeltà ad un partito che, detto fra di noi, ormai coltiva una identità culturale e persegue una prospettiva politica del tutto diversa se non addirittura alternativa rispetto alle ragioni e alla storia del cattolicesimo popolare e sociale. Come, specularmente, non può essere una presenza personale, seppur autorevole, a caratterizzare la politica dell’intera coalizione di centro destra.

Semmai, e al contrario, occorre prendere atto che il ruolo, la presenza, la cultura, i valori e la tradizione del cattolicesimo popolare, sociale e democratico non possono più essere un banale arredo all’interno dei singoli partiti. Si può avere e giocare un ruolo significativo solo all’interno di formazioni politiche - in attesa che si affacci all’orizzonte un rinnovato e laico partito popolare e di ispirazione cristiana - che non sono politicamente o ideologicamente distinte, distanti o alternative rispetto all’esperienza storica dei cattolici impegnati in politica.

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Come sono lontani i tempi di Franco Marini nel Pd e della prima stagione politica, culturale e programmatica di quel partito. Una stagione in cui la cultura, la tradizione e il pensiero dei cattolici popolari e sociali non erano una banale parentesi o un semplice inciampo nella vita del Pd ma, al contrario, rappresentavano un asset costitutivo e qualificante della identità e del progetto complessivo del partito. Oggi, purtroppo e con molta tristezza, assistiamo alla “richiesta” della corrente popolare nel Pd guidata dal duo Delrio/Castagnetti di avere almeno “un posto in segreteria”, visto che a tutt’oggi quella corrente non è presente negli organismi che contano.

Ora, è del tutto evidente che è persin inutile qualsiasi commento al riguardo. Da componente costitutiva e decisiva per la nascita di un partito e il decollo di un progetto politico a comparsa che rivendica almeno la presenza di un esponente di quella piccola corrente per potere partecipare alla distribuzione di qualche candidatura qua e là. Ma, al di là di questo triste ed oggettivo epilogo, è altrettanto ovvio che il tema della presenza politica dei cattolici - o, meglio ancora, dei cattolici popolari e sociali - non si può ridurre a mendicare qualche briciola all’interno dei singoli partiti. Qualunque sia il partito in cui si sceglie di militare o di portare la propria testimonianza. Certo, sono lontani, se non addirittura remoti, i tempi della esperienza cinquantennale della Democrazia Cristiana o dei partiti che sono gemmati da quella ricca e feconda storia politica. Mi riferisco, nello specifico, al Ppi di Franco Marini e di Gerardo Bianco e al Ccd di Casini, Mastella e Sandro Fontana. Ma se nella cosiddetta seconda repubblica, tutto sommato, l’esperienza dei cattolici popolari e sociali era ancora visibile - anche se cominciava inesorabilmente il declino politico e culturale - è altrettanto evidente che c’è un modo concreto per svilire definitivamente ed irreversibilmente questo filone di pensiero e questa cultura che conservano, tuttavia, una bruciante attualità e modernità. Ed è quello di ridurlo a comparsa.

E, appunto, seppur dando per scontato l’ormai acquisito e consolidato pluralismo politico dei cattolici, non possiamo non avanzare una semplice riflessione. E cioè, la presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana non può ridursi all’arredo o all’ornamento. E questo perché questo storico filone culturale non è riconducibile nè alla riproposizione della esperienza dei “cattolici indipendenti di sinistra nel Pci” degli anni ‘70 da un lato e nè, sul versante opposto, ad una presenza puramente testimoniale e quindi politicamente sterile. E, purtroppo e come da copione, oggi assistiamo a questo mesto spettacolo. Al punto che gli stessi osservatori, anche se storici detrattori della Dc, del Ppi, del Ccd e della intera esperienza del cattolicesimo politico italiano, insistono a richiederne la presenza attiva nella cittadella politica italiana per la loro specificità culturale e, soprattutto, per i valori che sono in grado di dispiegare concretamente.

Per questi semplici motivi siamo arrivati ad un punto di svolta, anche per il destino e la prospettiva della storia secolare e della presenza pubblica dei cattolici nella vita politica italiana. Non può, cioè, ridursi a mendicare qualche strapuntino negli organismi dirigenti di partiti - come capita concretamente nel Pd - come compensazione per la fedeltà ad un partito che, detto fra di noi, ormai coltiva una identità culturale e persegue una prospettiva politica del tutto diversa se non addirittura alternativa rispetto alle ragioni e alla storia del cattolicesimo popolare e sociale. Come, specularmente, non può essere una presenza personale, seppur autorevole, a caratterizzare la politica dell’intera coalizione di centro destra.

Semmai, e al contrario, occorre prendere atto che il ruolo, la presenza, la cultura, i valori e la tradizione del cattolicesimo popolare, sociale e democratico non possono più essere un banale arredo all’interno dei singoli partiti. Si può avere e giocare un ruolo significativo solo all’interno di formazioni politiche - in attesa che si affacci all’orizzonte un rinnovato e laico partito popolare e di ispirazione cristiana - che non sono politicamente o ideologicamente distinte, distanti o alternative rispetto all’esperienza storica dei cattolici impegnati in politica.

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Ma i cattolici non sono l’arredo

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12.12.2023

Come sono lontani i tempi di Franco Marini nel Pd e della prima stagione politica, culturale e programmatica di quel partito. Una stagione in cui la cultura, la tradizione e il pensiero dei cattolici popolari e sociali non erano una banale parentesi o un semplice inciampo nella vita del Pd ma, al contrario, rappresentavano un asset costitutivo e qualificante della identità e del progetto complessivo del partito. Oggi, purtroppo e con molta tristezza, assistiamo alla “richiesta” della corrente popolare nel Pd guidata dal duo Delrio/Castagnetti di avere almeno “un posto in segreteria”, visto che a tutt’oggi quella corrente non è presente negli organismi che contano.

Ora, è del tutto evidente che è persin inutile qualsiasi commento al riguardo. Da componente costitutiva e decisiva per la nascita di un partito e il decollo di un progetto politico a comparsa che rivendica almeno la presenza di un esponente di quella piccola corrente per potere partecipare alla distribuzione di qualche candidatura qua e là. Ma, al di là di questo triste ed oggettivo epilogo, è altrettanto ovvio che il tema della presenza politica dei cattolici - o, meglio ancora, dei cattolici popolari e sociali - non si può ridurre a mendicare qualche briciola all’interno dei singoli partiti. Qualunque sia il partito in cui si sceglie di militare o di portare la propria testimonianza. Certo, sono lontani, se non addirittura remoti, i tempi della esperienza cinquantennale della Democrazia Cristiana o dei partiti che sono gemmati da quella ricca e feconda storia politica. Mi riferisco, nello specifico, al Ppi di Franco Marini e di Gerardo Bianco e al Ccd di Casini, Mastella e Sandro Fontana. Ma se nella cosiddetta seconda repubblica, tutto sommato, l’esperienza dei cattolici popolari e sociali era ancora visibile - anche se cominciava inesorabilmente il declino politico e culturale - è altrettanto evidente che c’è un modo concreto per svilire definitivamente ed irreversibilmente questo filone di pensiero e questa cultura che conservano, tuttavia, una bruciante attualità e modernità. Ed è quello di ridurlo a comparsa.

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