Di fronte agli ennesimi episodi di malcostume politico che coinvolgono il principale partito della sinistra italiana, cioè il partito democratico, la ricetta che si offre è sempre la stessa. Ovvero, d’ora in poi “cambieremo le regole”, ritoccheremo “lo Statuto” e fa capitolino il solito e collaudatissimo “codice etico”. Come se una classe dirigente credibile, autorevole, trasparente e anche preparata possa essere il frutto e la conseguenza meccanica dei codici e dei cavilli burocratici. E questo per la semplice ragione che tutti coloro - a Bari come in Puglia, a Torino come in Piemonte - che sono entrati negli organismi dirigenti del partito e nelle liste dei vari livelli istituzionali hanno sicuramente rispettato regole, regolamenti, statuti e codici etici già in vigore da circa 20 anni, cioè da quando è nato il Partito democratico. Ma lo spettacolo che emerge, purtroppo, è quello a cui assistiamo in questi giorni.

Una proposta, questa, che è il frutto della solita operazione gattopardesca che ha caratterizzato concretamente la vita del partito democratico in questi lunghi anni. Come, del resto, anche in altri partiti. Ma con la differenza, non secondaria, che la sinistra italiana continua ad avere il vezzo, e il vizio, di rivendicare una “superiorità morale” rispetto a tutti gli altri partiti. Una “diversità morale” che resta tutt’oggi misteriosa ma che affonda le sue radici in tempi lontani. Basti pensare all’aggressione verbale esercitata per quasi 50 anni dal partito comunista italiano contro l’intera esperienza della Democrazia Cristiana. Una polemica che poi è proseguita con i partiti che sono succeduti al Pci e nei confronti degli avversari politici di turno. Da Berlusconi a Salvini, da Renzi alla Meloni.

Certo, va detto con forza che Elly Schlein è radicalmente estranea e alternativa a tutto ciò che è riconducibile a una gestione clientelare della politica. Cioè a quello scenario che, come emerge da quasi tutti gli organi di informazione, sta devastando quel partito a Bari e in Puglia, a Torino e in Piemonte. Per il momento. E la Schlein, proprio per il suo percorso politico, culturale e personale può realmente - sempreché abbia coraggio, coerenza e determinazione - cercare di invertire una rotta che sino a oggi non è mai stata messa realmente in discussione.

Ma per centrare l’obiettivo che pubblicamente si è posta, si deve rendere conto che una classe dirigente autorevole e qualificata non è mai frutto solo delle regole che vengono di volta in volta studiate e scritte nei libri sacri del partito. Perché le regole sono, di norma, votate da tutti e da tutti rispettate. Almeno a parole e nei consessi ufficiali. Quello che, semmai, va messo radicalmente in discussione è il modello di partito che si è progressivamente imposto nel paese e che nessun segretario nazionale è riuscito sino a ora a scalfire. E cioè, non può funzionare un partito formato da una stratificazione di correnti, gruppi e bande organizzate che non rispondono a nessun criterio politico, culturale, sociale e programmatico se non a quello di occupare lo stesso partito all’insegna degli storici pacchetti di tessere. È inutile che ogni segretario nazionale lanci strali contro questa organizzazione all’inizio del suo mandato e poi si rassegni, puntualmente, a prendere atto che quella è l’organizzazione concreta e che con quella occorre fare i conti. Sino al prossimo scandalo dove riparte la litania delle regole, degli statuti e dei codici etici.

Ed è proprio su questo versante, cioè sulla concreta organizzazione del partito che la cosiddetta “mano dura” del segretario/a nazionale deve farsi sentire. E l’obiettivo finale, se è permesso un accenno storico, è proprio quello di trasformare un partito fatto di correnti finte e di puro potere che non hanno alcun radicamento politico, culturale e territoriale in un partito autenticamente plurale articolato sicuramente in componenti e in aree che abbiano, però, una valenza squisitamente politica. Ovvero che rappresentano realmente pezzi di società e che si riconoscono in un progetto politico complessivo e in una visione di società. Un esempio concreto? Il modello della Dc - che non va ovviamente beatificato - era organizzativamente complesso e articolato. Contemplava al suo interno correnti che rappresentavano però, e realmente, pezzi di società e precisi interessi sociali e culturali. Ma quello era un modello che non nasceva dalle regole, dagli statuti e dai codici etici ma, molto più semplicemente, dalla politica. Cioè dai contenuti, dalla concreta e visibile battaglia nella società e dalla cultura politica. A volte il passato può contribuire a risolvere problemi anche del presente. Basta volerlo.

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Di fronte agli ennesimi episodi di malcostume politico che coinvolgono il principale partito della sinistra italiana, cioè il partito democratico, la ricetta che si offre è sempre la stessa. Ovvero, d’ora in poi “cambieremo le regole”, ritoccheremo “lo Statuto” e fa capitolino il solito e collaudatissimo “codice etico”. Come se una classe dirigente credibile, autorevole, trasparente e anche preparata possa essere il frutto e la conseguenza meccanica dei codici e dei cavilli burocratici. E questo per la semplice ragione che tutti coloro - a Bari come in Puglia, a Torino come in Piemonte - che sono entrati negli organismi dirigenti del partito e nelle liste dei vari livelli istituzionali hanno sicuramente rispettato regole, regolamenti, statuti e codici etici già in vigore da circa 20 anni, cioè da quando è nato il Partito democratico. Ma lo spettacolo che emerge, purtroppo, è quello a cui assistiamo in questi giorni.

Una proposta, questa, che è il frutto della solita operazione gattopardesca che ha caratterizzato concretamente la vita del partito democratico in questi lunghi anni. Come, del resto, anche in altri partiti. Ma con la differenza, non secondaria, che la sinistra italiana continua ad avere il vezzo, e il vizio, di rivendicare una “superiorità morale” rispetto a tutti gli altri partiti. Una “diversità morale” che resta tutt’oggi misteriosa ma che affonda le sue radici in tempi lontani. Basti pensare all’aggressione verbale esercitata per quasi 50 anni dal partito comunista italiano contro l’intera esperienza della Democrazia Cristiana. Una polemica che poi è proseguita con i partiti che sono succeduti al Pci e nei confronti degli avversari politici di turno. Da Berlusconi a Salvini, da Renzi alla Meloni.

Certo, va detto con forza che Elly Schlein è radicalmente estranea e alternativa a tutto ciò che è riconducibile a una gestione clientelare della politica. Cioè a quello scenario che, come emerge da quasi tutti gli organi di informazione, sta devastando quel partito a Bari e in Puglia, a Torino e in Piemonte. Per il momento. E la Schlein, proprio per il suo percorso politico, culturale e personale può realmente - sempreché abbia coraggio, coerenza e determinazione - cercare di invertire una rotta che sino a oggi non è mai stata messa realmente in discussione.

Ma per centrare l’obiettivo che pubblicamente si è posta, si deve rendere conto che una classe dirigente autorevole e qualificata non è mai frutto solo delle regole che vengono di volta in volta studiate e scritte nei libri sacri del partito. Perché le regole sono, di norma, votate da tutti e da tutti rispettate. Almeno a parole e nei consessi ufficiali. Quello che, semmai, va messo radicalmente in discussione è il modello di partito che si è progressivamente imposto nel paese e che nessun segretario nazionale è riuscito sino a ora a scalfire. E cioè, non può funzionare un partito formato da una stratificazione di correnti, gruppi e bande organizzate che non rispondono a nessun criterio politico, culturale, sociale e programmatico se non a quello di occupare lo stesso partito all’insegna degli storici pacchetti di tessere. È inutile che ogni segretario nazionale lanci strali contro questa organizzazione all’inizio del suo mandato e poi si rassegni, puntualmente, a prendere atto che quella è l’organizzazione concreta e che con quella occorre fare i conti. Sino al prossimo scandalo dove riparte la litania delle regole, degli statuti e dei codici etici.

Ed è proprio su questo versante, cioè sulla concreta organizzazione del partito che la cosiddetta “mano dura” del segretario/a nazionale deve farsi sentire. E l’obiettivo finale, se è permesso un accenno storico, è proprio quello di trasformare un partito fatto di correnti finte e di puro potere che non hanno alcun radicamento politico, culturale e territoriale in un partito autenticamente plurale articolato sicuramente in componenti e in aree che abbiano, però, una valenza squisitamente politica. Ovvero che rappresentano realmente pezzi di società e che si riconoscono in un progetto politico complessivo e in una visione di società. Un esempio concreto? Il modello della Dc - che non va ovviamente beatificato - era organizzativamente complesso e articolato. Contemplava al suo interno correnti che rappresentavano però, e realmente, pezzi di società e precisi interessi sociali e culturali. Ma quello era un modello che non nasceva dalle regole, dagli statuti e dai codici etici ma, molto più semplicemente, dalla politica. Cioè dai contenuti, dalla concreta e visibile battaglia nella società e dalla cultura politica. A volte il passato può contribuire a risolvere problemi anche del presente. Basta volerlo.

QOSHE - La classe dirigente non si fa con gli statuti - Giorgio Merlo
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La classe dirigente non si fa con gli statuti

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10.04.2024

Di fronte agli ennesimi episodi di malcostume politico che coinvolgono il principale partito della sinistra italiana, cioè il partito democratico, la ricetta che si offre è sempre la stessa. Ovvero, d’ora in poi “cambieremo le regole”, ritoccheremo “lo Statuto” e fa capitolino il solito e collaudatissimo “codice etico”. Come se una classe dirigente credibile, autorevole, trasparente e anche preparata possa essere il frutto e la conseguenza meccanica dei codici e dei cavilli burocratici. E questo per la semplice ragione che tutti coloro - a Bari come in Puglia, a Torino come in Piemonte - che sono entrati negli organismi dirigenti del partito e nelle liste dei vari livelli istituzionali hanno sicuramente rispettato regole, regolamenti, statuti e codici etici già in vigore da circa 20 anni, cioè da quando è nato il Partito democratico. Ma lo spettacolo che emerge, purtroppo, è quello a cui assistiamo in questi giorni.

Una proposta, questa, che è il frutto della solita operazione gattopardesca che ha caratterizzato concretamente la vita del partito democratico in questi lunghi anni. Come, del resto, anche in altri partiti. Ma con la differenza, non secondaria, che la sinistra italiana continua ad avere il vezzo, e il vizio, di rivendicare una “superiorità morale” rispetto a tutti gli altri partiti. Una “diversità morale” che resta tutt’oggi misteriosa ma che affonda le sue radici in tempi lontani. Basti pensare all’aggressione verbale esercitata per quasi 50 anni dal partito comunista italiano contro l’intera esperienza della Democrazia Cristiana. Una polemica che poi è proseguita con i partiti che sono succeduti al Pci e nei confronti degli avversari politici di turno. Da Berlusconi a Salvini, da Renzi alla Meloni.

Certo, va detto con forza che Elly Schlein è radicalmente estranea e alternativa a tutto ciò che è riconducibile a una gestione clientelare della politica. Cioè a quello scenario che, come emerge da quasi tutti gli organi di informazione, sta devastando quel partito a Bari e in Puglia, a Torino e in Piemonte. Per il momento. E la Schlein, proprio per il suo percorso politico, culturale e personale può realmente - sempreché abbia coraggio, coerenza e determinazione - cercare di invertire una rotta che sino a oggi non è mai stata messa realmente in discussione.

Ma per centrare l’obiettivo che pubblicamente si è posta, si........

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