Il dibattito, ricco e argomentato, attorno a una rinnovata presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana non può e non deve essere banalmente archiviato. Certo, quando si parla di cattolici in politica il vecchio monito di Carlo Donat-Cattin è sempre attuale e moderno. Ovvero, non si può mai “disgiungere il testo dal contesto”. Detto con altre parole, chi oggi vuol rifare un partito identitario, seppur laico, di cattolici rischia di sbattere contro gli scogli ancor prima di partire. Per la semplice ragione che sono tramontate, o non ancora mature, le condizioni per sperimentare la presenza di un partito come lo abbiamo conosciuto per molto tempo. Eppure, al netto di questa affermazione sufficientemente oggettiva da non poter essere messa in discussione, credo che mantenga anche un suo fascino una pungente riflessione di Mino Martinazzoli pronunciata a metà degli anni duemila quando diceva che “l’unità politica dei cattolici non è mai stata un dogma. Ma, al contempo, non lo è neanche la diaspora dei cattolici”. Una riflessione semplice ma corretta sia sotto il profilo politico e sia sul versante culturale.

Ora, è di tutta evidenza che siamo arrivati al paradosso che, pur senza cadere nella regressione nostalgica, è indubbio che tutti i partiti rivendicano il ruolo dei cattolici - seppur nel pieno riconoscimento del pluralismo delle varie opzioni politiche - e poi, altrettanto puntualmente, all’interno stesso di quei partiti proprio la cultura storica del cattolicesimo politico è del tutto irrilevante. Per non dire puramente ornamentale.

Una riflessione, questa, che purtroppo è sotto gli occhi di tutti e che non può essere qualunquisticamente aggirata. Per la semplice ragione che la storia del cattolicesimo democratico, popolare e sociale nel nostro paese ha svolto un ruolo decisivo per svariati decenni non solo perchè era rappresentata da una classe dirigente politica di straordinaria levatura ma anche, e soprattutto, perchè nel partito di riferimento o nei vari partiti la cultura espressa dai cattolici non era nè irrilevante e nè, tantomeno, ininfluente. E proprio in virtù di questo storico ruolo politico oggi anche i peggiori detrattori di questa esperienza, presenti soprattutto sul versante della sinistra politica ex e post comunista, auspicano un ritorno a pieno titolo dei cattolici nella dialettica politica contemporanea. Ed è proprio su questo crinale che si pone il problema decisivo su quale può essere, oggi e nell’attuale contesto pubblico italiano, il ruolo politico che può e deve giocare questa cultura, questo universo valoriale e anche, e soprattutto, questa progettualità politica.

Perché è pur vero che né l’unità e né la diaspora sono vincolanti per il concreto comportamento dei cattolici nella vita pubblica italiana, ma è altrettanto vero che adesso siamo arrivati ad un bivio: ovvero, o i cattolici seppur nella loro diversa sensibilità culturale e politica riescono a ritrovare un ruolo protagonistico nei partiti e nei rispettivi schieramenti oppure, e al contrario, il tutto si ridurrà a svolgere una funzione del tutto ancillare e puramente ornamentale. Insomma, per riprendere una vecchia esperienza del Pci e, guarda caso, dell’attuale situazione interna al Pd della Schlein, si tratta dei “cattolici indipendenti di sinistra”. Detta in altri termini, di personalità che venivano candidate dal Pci per confermare la natura plurale di quel partito ma che, altrettanto puntualmente, erano del tutto irrilevanti ai fini della costruzione complessiva del progetto politico dello stesso partito.

E il nodo di fondo che prima o poi andrà sciolto è proprio questo. Ovvero, o la presenza cattolico popolare e cattolico sociale riuscirà a condizionare il progetto politico dei rispettivi partiti di riferimento oppure, e al contrario, dovremo fare i conti con un ruolo del tutto testimoniale nella politica contemporanea. E cioè, politicamente irrilevante e culturalmente ininfluente. Che sarebbe l’esatto contrario della storia secolare del cattolicesimo politico italiano.

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Il dibattito, ricco e argomentato, attorno a una rinnovata presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana non può e non deve essere banalmente archiviato. Certo, quando si parla di cattolici in politica il vecchio monito di Carlo Donat-Cattin è sempre attuale e moderno. Ovvero, non si può mai “disgiungere il testo dal contesto”. Detto con altre parole, chi oggi vuol rifare un partito identitario, seppur laico, di cattolici rischia di sbattere contro gli scogli ancor prima di partire. Per la semplice ragione che sono tramontate, o non ancora mature, le condizioni per sperimentare la presenza di un partito come lo abbiamo conosciuto per molto tempo. Eppure, al netto di questa affermazione sufficientemente oggettiva da non poter essere messa in discussione, credo che mantenga anche un suo fascino una pungente riflessione di Mino Martinazzoli pronunciata a metà degli anni duemila quando diceva che “l’unità politica dei cattolici non è mai stata un dogma. Ma, al contempo, non lo è neanche la diaspora dei cattolici”. Una riflessione semplice ma corretta sia sotto il profilo politico e sia sul versante culturale.

Ora, è di tutta evidenza che siamo arrivati al paradosso che, pur senza cadere nella regressione nostalgica, è indubbio che tutti i partiti rivendicano il ruolo dei cattolici - seppur nel pieno riconoscimento del pluralismo delle varie opzioni politiche - e poi, altrettanto puntualmente, all’interno stesso di quei partiti proprio la cultura storica del cattolicesimo politico è del tutto irrilevante. Per non dire puramente ornamentale.

Una riflessione, questa, che purtroppo è sotto gli occhi di tutti e che non può essere qualunquisticamente aggirata. Per la semplice ragione che la storia del cattolicesimo democratico, popolare e sociale nel nostro paese ha svolto un ruolo decisivo per svariati decenni non solo perchè era rappresentata da una classe dirigente politica di straordinaria levatura ma anche, e soprattutto, perchè nel partito di riferimento o nei vari partiti la cultura espressa dai cattolici non era nè irrilevante e nè, tantomeno, ininfluente. E proprio in virtù di questo storico ruolo politico oggi anche i peggiori detrattori di questa esperienza, presenti soprattutto sul versante della sinistra politica ex e post comunista, auspicano un ritorno a pieno titolo dei cattolici nella dialettica politica contemporanea. Ed è proprio su questo crinale che si pone il problema decisivo su quale può essere, oggi e nell’attuale contesto pubblico italiano, il ruolo politico che può e deve giocare questa cultura, questo universo valoriale e anche, e soprattutto, questa progettualità politica.

Perché è pur vero che né l’unità e né la diaspora sono vincolanti per il concreto comportamento dei cattolici nella vita pubblica italiana, ma è altrettanto vero che adesso siamo arrivati ad un bivio: ovvero, o i cattolici seppur nella loro diversa sensibilità culturale e politica riescono a ritrovare un ruolo protagonistico nei partiti e nei rispettivi schieramenti oppure, e al contrario, il tutto si ridurrà a svolgere una funzione del tutto ancillare e puramente ornamentale. Insomma, per riprendere una vecchia esperienza del Pci e, guarda caso, dell’attuale situazione interna al Pd della Schlein, si tratta dei “cattolici indipendenti di sinistra”. Detta in altri termini, di personalità che venivano candidate dal Pci per confermare la natura plurale di quel partito ma che, altrettanto puntualmente, erano del tutto irrilevanti ai fini della costruzione complessiva del progetto politico dello stesso partito.

E il nodo di fondo che prima o poi andrà sciolto è proprio questo. Ovvero, o la presenza cattolico popolare e cattolico sociale riuscirà a condizionare il progetto politico dei rispettivi partiti di riferimento oppure, e al contrario, dovremo fare i conti con un ruolo del tutto testimoniale nella politica contemporanea. E cioè, politicamente irrilevante e culturalmente ininfluente. Che sarebbe l’esatto contrario della storia secolare del cattolicesimo politico italiano.

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I cattolici tra presenza, mediazione e irrilevanza

8 1
12.02.2024

Il dibattito, ricco e argomentato, attorno a una rinnovata presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana non può e non deve essere banalmente archiviato. Certo, quando si parla di cattolici in politica il vecchio monito di Carlo Donat-Cattin è sempre attuale e moderno. Ovvero, non si può mai “disgiungere il testo dal contesto”. Detto con altre parole, chi oggi vuol rifare un partito identitario, seppur laico, di cattolici rischia di sbattere contro gli scogli ancor prima di partire. Per la semplice ragione che sono tramontate, o non ancora mature, le condizioni per sperimentare la presenza di un partito come lo abbiamo conosciuto per molto tempo. Eppure, al netto di questa affermazione sufficientemente oggettiva da non poter essere messa in discussione, credo che mantenga anche un suo fascino una pungente riflessione di Mino Martinazzoli pronunciata a metà degli anni duemila quando diceva che “l’unità politica dei cattolici non è mai stata un dogma. Ma, al contempo, non lo è neanche la diaspora dei cattolici”. Una riflessione semplice ma corretta sia sotto il profilo politico e sia sul versante culturale.

Ora, è di tutta evidenza che siamo arrivati al paradosso che, pur senza cadere nella regressione nostalgica, è indubbio che tutti i partiti rivendicano il ruolo dei cattolici - seppur nel pieno riconoscimento del pluralismo delle varie opzioni politiche - e poi, altrettanto puntualmente, all’interno stesso di quei partiti proprio la cultura storica del cattolicesimo politico è del tutto irrilevante. Per non dire puramente ornamentale.

Una riflessione, questa, che purtroppo è sotto gli occhi di tutti e che non può essere qualunquisticamente aggirata. Per la semplice ragione che la storia del cattolicesimo democratico, popolare e sociale nel nostro paese ha svolto un ruolo decisivo per svariati decenni non solo perchè era rappresentata da una classe dirigente politica di straordinaria levatura ma anche, e soprattutto, perchè nel partito di riferimento o nei vari partiti la cultura espressa dai cattolici non........

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