(a cura di Claudio Correzzola, Segretario generale della FLEPAR/INAIL)

La prevenzione degli infortuni si può riassumere in quattro parole: rallenta, osserva, pensa, agisci. Chiunque ha lavorato in cantiere lo sa. Ma allora perché continuiamo ad avere settecentomila infortuni e oltre mille morti l’anno? Perché sul lavoro alle persone non viene data la tranquillità per rallentare, osservare e pensare prima di agire. Perché sul lavoro alle persone non vengono date le informazioni e la formazione necessarie per saper fare quello che fanno. Perché in un sistema di produzione sempre più parcellizzato, fatto di appalti, subappalti, outsourcing, le persone nemmeno si conoscono più e nessuno sa bene cosa fa l’altro, alla faccia dei piani di sicurezza e coordinamento e dei documenti unici di valutazione dei rischi da interferenze.

Quando si prenderà atto che la prevenzione degli infortuni e la sicurezza sul lavoro devono essere operative e non operazioni sulla carta? Come FLEPAR lo diciamo da anni, inascoltati. La nostra proposta per una prevenzione veramente operativa: professionisti tecnici, meno burocrazia e più lavoro direttamente sul campo, passando dallo slogan “più controlli e sanzioni”, che ha mostrato e mostra la sua inefficacia, a quello di “più prevenzione operativa”. Passando dai concetti di “ispezione” a quelli di “audit” di sistema, dal “controllo” alla “consulenza”. Utilizzando le competenze dei professionisti della PA, avvocati e tecnici, per costruire modelli organizzativi utili ai fini della prevenzione operativa, mutuando modelli virtuosi già esistenti all’estero (da SUVA in Svizzera e AUVA in Austria).

Cosa cambiare? Innanzitutto l’approccio ideologico: la PA deve divenire “portatore di conoscenza” e non limitarsi ad erogare soldi alle imprese. Per avere più sicurezza sul lavoro occorre avere anche sicurezza del lavoro con cicli di produzione innovativi e intrinsecamente più salubri. La PA deve mettere le proprie competenze al fianco delle imprese per investimenti concreti in sicurezza che si traducano in risultati misurabili.

Occorre tornare a un sistema in cui sia la PA a fornire conoscenze, indicazioni, a decidere ed assumersi le responsabilità.

In Italia la prima normativa specifica “moderna” sulla sicurezza nei luoghi di lavoro risale ai DPR 547/1955 e al DPR 303/1956 che avevano il carattere di “norme imperative”, ovvero davano delle indicazioni tecniche precise e “per legge” su come dovevano essere ed essere utilizzati i luoghi di lavoro e le macchine.

Con le direttive europee degli anni ’90, Direttiva 89/391 e leggi di recepimento successive si è scelto invece di adottare un approccio “penalty default rule” di tipo anglosassone, nella convinzione che si dovesse dare alle imprese il solo obbligo di valutazione dei rischi; questo perché si riteneva che la conoscenza dei cicli di lavoro fosse patrimonio delle imprese stesse e quindi anche la scelta dei mezzi di prevenzione degli infortuni dovesse essere appannaggio delle aziende e, quindi, del “mercato”. Un sistema a misura di grande impresa, non di piccola o piccolissima impresa.

È necessario dare certezza alle imprese non nuovi obblighi, occorre eliminare per le imprese i costi di non decisione della PA. Il compito di una impresa non è quello di “fare sicurezza”, ma di “produrre” e fare utili “in sicurezza”; è inutile caricarla della responsabilità di una valutazione dei rischi, senza fornire la conoscenza che è depositata nella PA.

La PA ha una forza importante di tecnici, professionisti e ricercatori che deve poter mettere a disposizione del sistema paese e delle imprese. Occorre saper tradurre i risultati della ricerca in soluzioni concrete disponibili sul mercato attraverso start up finanziate con “prestiti d’onore”.

A ogni tragedia si chiedono maggiori controlli, ben sapendo che il “controllo” da parte della PA è mal tollerato dalle imprese. FLEPAR da anni chiede una prevenzione che sia veramente efficace e operativa, per non dover piangere altri morti.

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La prevenzione degli infortuni si può riassumere in quattro parole: rallenta, osserva, pensa, agisci. Chiunque ha lavorato in cantiere lo sa. Ma allora perché continuiamo ad avere settecentomila infortuni e oltre mille morti l’anno? Perché sul lavoro alle persone non viene data la tranquillità per rallentare, osservare e pensare prima di agire. Perché sul lavoro alle persone non vengono date le informazioni e la formazione necessarie per saper fare quello che fanno. Perché in un sistema di produzione sempre più parcellizzato, fatto di appalti, subappalti, outsourcing, le persone nemmeno si conoscono più e nessuno sa bene cosa fa l’altro, alla faccia dei piani di sicurezza e coordinamento e dei documenti unici di valutazione dei rischi da interferenze.

Quando si prenderà atto che la prevenzione degli infortuni e la sicurezza sul lavoro devono essere operative e non operazioni sulla carta? Come FLEPAR lo diciamo da anni, inascoltati. La nostra proposta per una prevenzione veramente operativa: professionisti tecnici, meno burocrazia e più lavoro direttamente sul campo, passando dallo slogan “più controlli e sanzioni”, che ha mostrato e mostra la sua inefficacia, a quello di “più prevenzione operativa”. Passando dai concetti di “ispezione” a quelli di “audit” di sistema, dal “controllo” alla “consulenza”. Utilizzando le competenze dei professionisti della PA, avvocati e tecnici, per costruire modelli organizzativi utili ai fini della prevenzione operativa, mutuando modelli virtuosi già esistenti all’estero (da SUVA in Svizzera e AUVA in Austria).

Cosa cambiare? Innanzitutto l’approccio ideologico: la PA deve divenire “portatore di conoscenza” e non limitarsi ad erogare soldi alle imprese. Per avere più sicurezza sul lavoro occorre avere anche sicurezza del lavoro con cicli di produzione innovativi e intrinsecamente più salubri. La PA deve mettere le proprie competenze al fianco delle imprese per investimenti concreti in sicurezza che si traducano in risultati misurabili.

Occorre tornare a un sistema in cui sia la PA a fornire conoscenze, indicazioni, a decidere ed assumersi le responsabilità.

In Italia la prima normativa specifica “moderna” sulla sicurezza nei luoghi di lavoro risale ai DPR 547/1955 e al DPR 303/1956 che avevano il carattere di “norme imperative”, ovvero davano delle indicazioni tecniche precise e “per legge” su come dovevano essere ed essere utilizzati i luoghi di lavoro e le macchine.

Con le direttive europee degli anni ’90, Direttiva 89/391 e leggi di recepimento successive si è scelto invece di adottare un approccio “penalty default rule” di tipo anglosassone, nella convinzione che si dovesse dare alle imprese il solo obbligo di valutazione dei rischi; questo perché si riteneva che la conoscenza dei cicli di lavoro fosse patrimonio delle imprese stesse e quindi anche la scelta dei mezzi di prevenzione degli infortuni dovesse essere appannaggio delle aziende e, quindi, del “mercato”. Un sistema a misura di grande impresa, non di piccola o piccolissima impresa.

È necessario dare certezza alle imprese non nuovi obblighi, occorre eliminare per le imprese i costi di non decisione della PA. Il compito di una impresa non è quello di “fare sicurezza”, ma di “produrre” e fare utili “in sicurezza”; è inutile caricarla della responsabilità di una valutazione dei rischi, senza fornire la conoscenza che è depositata nella PA.

La PA ha una forza importante di tecnici, professionisti e ricercatori che deve poter mettere a disposizione del sistema paese e delle imprese. Occorre saper tradurre i risultati della ricerca in soluzioni concrete disponibili sul mercato attraverso start up finanziate con “prestiti d’onore”.

A ogni tragedia si chiedono maggiori controlli, ben sapendo che il “controllo” da parte della PA è mal tollerato dalle imprese. FLEPAR da anni chiede una prevenzione che sia veramente efficace e operativa, per non dover piangere altri morti.

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La (in)sicurezza sul lavoro e il “fallimento del mercato”

7 0
12.04.2024

(a cura di Claudio Correzzola, Segretario generale della FLEPAR/INAIL)

La prevenzione degli infortuni si può riassumere in quattro parole: rallenta, osserva, pensa, agisci. Chiunque ha lavorato in cantiere lo sa. Ma allora perché continuiamo ad avere settecentomila infortuni e oltre mille morti l’anno? Perché sul lavoro alle persone non viene data la tranquillità per rallentare, osservare e pensare prima di agire. Perché sul lavoro alle persone non vengono date le informazioni e la formazione necessarie per saper fare quello che fanno. Perché in un sistema di produzione sempre più parcellizzato, fatto di appalti, subappalti, outsourcing, le persone nemmeno si conoscono più e nessuno sa bene cosa fa l’altro, alla faccia dei piani di sicurezza e coordinamento e dei documenti unici di valutazione dei rischi da interferenze.

Quando si prenderà atto che la prevenzione degli infortuni e la sicurezza sul lavoro devono essere operative e non operazioni sulla carta? Come FLEPAR lo diciamo da anni, inascoltati. La nostra proposta per una prevenzione veramente operativa: professionisti tecnici, meno burocrazia e più lavoro direttamente sul campo, passando dallo slogan “più controlli e sanzioni”, che ha mostrato e mostra la sua inefficacia, a quello di “più prevenzione operativa”. Passando dai concetti di “ispezione” a quelli di “audit” di sistema, dal “controllo” alla “consulenza”. Utilizzando le competenze dei professionisti della PA, avvocati e tecnici, per costruire modelli organizzativi utili ai fini della prevenzione operativa, mutuando modelli virtuosi già esistenti all’estero (da SUVA in Svizzera e AUVA in Austria).

Cosa cambiare? Innanzitutto l’approccio ideologico: la PA deve divenire “portatore di conoscenza” e non limitarsi ad erogare soldi alle imprese. Per avere più sicurezza sul lavoro occorre avere anche sicurezza del lavoro con cicli di produzione innovativi e intrinsecamente più salubri. La PA deve mettere le proprie competenze al fianco delle imprese per investimenti concreti in sicurezza che si traducano in risultati misurabili.

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