Nell’immaginario meloniano c’è l’Albania che ci presta un po’ della sua terra per riporci gli sventurati immigrati diretti sulle nostre coste. Quasi un pit-stop che il primo ministro albanese ci concede perché glielo abbiamo chiesto. Non si sa bene a cosa possa servire nella pratica, ma al primo ministro albanese Edi Rama pareva brutto rigettare questa richiesta ricevuta da Giorgia Meloni durante l’ultimo ferragosto. Un accordo con l’altissimo primo ministro albanese del quale quasi nessuno conosce i particolari, gli allegati, i numeri, le cifre e le lettere.

Così come, sempre nel mondo meloniano, c’è un altro mito della coscienza nazional-popolare autarchica: il piano Mattei, del quale, anche in questo caso, poco si conosce. Dovrebbe essere costituito da una serie di accordi, supportati da cifre importanti a suon di milioni di euro, a beneficio di una sparuta sequela di stati africani, da elargire al fine di mitigare il flusso di migranti sulle nostre coste meridionali. Anche in questo caso, in totale solitudine, senza condividere la visione con altri stati, con l’Europa, l’Italia melonaina, come se si trovasse alla metà del secolo scorso, fa politica a sé. E Giorgia Meloni va in giro per il mondo a stringere mani di leader, che poi si tramutano in misteriosi e quasi esoterici accordi, dalla Tunisia, sino all’Albania. E chissà quali altri reconditi accordi sono stati già suggellati e che presto saliranno agli onori della cronaca. E cosa ancora più stupefacente e particolare è che il melonismo si attua non solo di nascosto alla conventicola internazionale degli altri stati europei, ma pure al riparo dallo sguardo dei propri ministri e alleati di governo. Il melonismo è pura autarchia nelle aspirazioni, nelle intenzioni e, quindi, nell’azione.

Il melonismo ha pure un vago sapore di quel “me ne frego!” di ardita memoria, perché propone una risoluzione dei problemi all’impronta, preferendo l’azione alla riflessione. Anche se poi, questa azione è inazione, di fronte all’improbabile fattibilità dei progetti architettati e propugnati alla stampa e ai media. Sembra che l’adagio più in voga in questo stralcio di metà ventennio sia “purché se ne parli”. E a ben pensare, pare quasi che l’azione di governo sia stata improntata nell’avere una risposta, seppur minima e impraticabile, a tutti i quesiti che potenzialmente possono essere posti al governo. E infatti, si favoleggia che vi sia, sin dagli albori del Partito, un pensatoio che ha impegnato le migliori menti meloniane a scrivere due-tre righe per ogni possibile tematica di governo. Quasi avessero programmato una sorta di Alexa nazionalista.

E allora, pare proprio che il melonismo stia propinando al popolo la solita minestra della propaganda populista. Si affrontano i problemi proponendo una improbabile soluzione, con tanto di effetti speciali in grafica computer. Tutto sullo sfondo di un green screen sul quale proiettare magnifici accordi internazionali che, alla fin fine, non esistono. Oppure esistono, ma sono privi di sostanza e difficilmente applicabili. Così come il più portentoso degli effetti speciali al quale il popolo sta assistendo: la riforma costituzionale che, all’epoca del melonismo, assume i contorni dell’ipertrofia della figura del premier (figura istituzionale che già di per sé non esiste nella nostra Costituzione), con relativo detrimento del ruolo del Parlamento e del presidente della repubblica (questi esistono eccome, e già per questo vengono mortificati con la riduzione del loro potere). E anche qui si assiste, al pari del piano Mattei, dell’accordo con la Tunisia e del protocollo albanese, ad una iperbole tutta da spiegare e da condividere non solo con gli esponenti dell’opposizione, ma pure delle forze della propria coalizione.

Il melonismo, alla fine dei conti, è pura immaginazione al potere. È il cuore oltre l’ostacolo. È un premier solo davanti al precipizio, con l’intenzione di lanciarsi nel vuoto, immaginando di avere le ali.

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Nell’immaginario meloniano c’è l’Albania che ci presta un po’ della sua terra per riporci gli sventurati immigrati diretti sulle nostre coste. Quasi un pit-stop che il primo ministro albanese ci concede perché glielo abbiamo chiesto. Non si sa bene a cosa possa servire nella pratica, ma al primo ministro albanese Edi Rama pareva brutto rigettare questa richiesta ricevuta da Giorgia Meloni durante l’ultimo ferragosto. Un accordo con l’altissimo primo ministro albanese del quale quasi nessuno conosce i particolari, gli allegati, i numeri, le cifre e le lettere.

Così come, sempre nel mondo meloniano, c’è un altro mito della coscienza nazional-popolare autarchica: il piano Mattei, del quale, anche in questo caso, poco si conosce. Dovrebbe essere costituito da una serie di accordi, supportati da cifre importanti a suon di milioni di euro, a beneficio di una sparuta sequela di stati africani, da elargire al fine di mitigare il flusso di migranti sulle nostre coste meridionali. Anche in questo caso, in totale solitudine, senza condividere la visione con altri stati, con l’Europa, l’Italia melonaina, come se si trovasse alla metà del secolo scorso, fa politica a sé. E Giorgia Meloni va in giro per il mondo a stringere mani di leader, che poi si tramutano in misteriosi e quasi esoterici accordi, dalla Tunisia, sino all’Albania. E chissà quali altri reconditi accordi sono stati già suggellati e che presto saliranno agli onori della cronaca. E cosa ancora più stupefacente e particolare è che il melonismo si attua non solo di nascosto alla conventicola internazionale degli altri stati europei, ma pure al riparo dallo sguardo dei propri ministri e alleati di governo. Il melonismo è pura autarchia nelle aspirazioni, nelle intenzioni e, quindi, nell’azione.

Il melonismo ha pure un vago sapore di quel “me ne frego!” di ardita memoria, perché propone una risoluzione dei problemi all’impronta, preferendo l’azione alla riflessione. Anche se poi, questa azione è inazione, di fronte all’improbabile fattibilità dei progetti architettati e propugnati alla stampa e ai media. Sembra che l’adagio più in voga in questo stralcio di metà ventennio sia “purché se ne parli”. E a ben pensare, pare quasi che l’azione di governo sia stata improntata nell’avere una risposta, seppur minima e impraticabile, a tutti i quesiti che potenzialmente possono essere posti al governo. E infatti, si favoleggia che vi sia, sin dagli albori del Partito, un pensatoio che ha impegnato le migliori menti meloniane a scrivere due-tre righe per ogni possibile tematica di governo. Quasi avessero programmato una sorta di Alexa nazionalista.

E allora, pare proprio che il melonismo stia propinando al popolo la solita minestra della propaganda populista. Si affrontano i problemi proponendo una improbabile soluzione, con tanto di effetti speciali in grafica computer. Tutto sullo sfondo di un green screen sul quale proiettare magnifici accordi internazionali che, alla fin fine, non esistono. Oppure esistono, ma sono privi di sostanza e difficilmente applicabili. Così come il più portentoso degli effetti speciali al quale il popolo sta assistendo: la riforma costituzionale che, all’epoca del melonismo, assume i contorni dell’ipertrofia della figura del premier (figura istituzionale che già di per sé non esiste nella nostra Costituzione), con relativo detrimento del ruolo del Parlamento e del presidente della repubblica (questi esistono eccome, e già per questo vengono mortificati con la riduzione del loro potere). E anche qui si assiste, al pari del piano Mattei, dell’accordo con la Tunisia e del protocollo albanese, ad una iperbole tutta da spiegare e da condividere non solo con gli esponenti dell’opposizione, ma pure delle forze della propria coalizione.

Il melonismo, alla fine dei conti, è pura immaginazione al potere. È il cuore oltre l’ostacolo. È un premier solo davanti al precipizio, con l’intenzione di lanciarsi nel vuoto, immaginando di avere le ali.

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09.11.2023

Nell’immaginario meloniano c’è l’Albania che ci presta un po’ della sua terra per riporci gli sventurati immigrati diretti sulle nostre coste. Quasi un pit-stop che il primo ministro albanese ci concede perché glielo abbiamo chiesto. Non si sa bene a cosa possa servire nella pratica, ma al primo ministro albanese Edi Rama pareva brutto rigettare questa richiesta ricevuta da Giorgia Meloni durante l’ultimo ferragosto. Un accordo con l’altissimo primo ministro albanese del quale quasi nessuno conosce i particolari, gli allegati, i numeri, le cifre e le lettere.

Così come, sempre nel mondo meloniano, c’è un altro mito della coscienza nazional-popolare autarchica: il piano Mattei, del quale, anche in questo caso, poco si conosce. Dovrebbe essere costituito da una serie di accordi, supportati da cifre importanti a suon di milioni di euro, a beneficio di una sparuta sequela di stati africani, da elargire al fine di mitigare il flusso di migranti sulle nostre coste meridionali. Anche in questo caso, in totale solitudine, senza condividere la visione con altri stati, con l’Europa, l’Italia melonaina, come se si trovasse alla metà del secolo scorso, fa politica a sé. E Giorgia Meloni va in giro per il mondo a stringere mani di leader, che poi si tramutano in misteriosi e quasi esoterici accordi, dalla Tunisia, sino all’Albania. E chissà quali altri reconditi accordi sono stati già suggellati e che presto saliranno agli onori della cronaca. E cosa ancora più stupefacente e particolare è che il melonismo si attua non solo di nascosto alla conventicola internazionale degli altri stati europei, ma pure al riparo dallo sguardo dei propri ministri e alleati di governo. Il melonismo è pura autarchia nelle aspirazioni, nelle intenzioni e, quindi, nell’azione.

Il melonismo ha pure un vago sapore di quel “me ne frego!” di ardita memoria, perché propone una risoluzione dei problemi all’impronta, preferendo l’azione alla riflessione. Anche se poi, questa azione è inazione, di fronte all’improbabile fattibilità dei........

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