Otto italiani su dieci hanno paura per il clima impazzito e in generale pensano che siamo un Paese in declino, sette su dieci temono una crisi economica e sociale per i prossimi anni, sei su dieci temono una guerra mondiale e in generale hanno paura del futuro. Malesseri e timori ancora più elevati tra i giovani.

Sono i dati del rapporto Censis 2023 che definisce gli italiani un popolo in preda all’ipertrofia emotiva, spaventato dalle tante paure ed emergenze ma incapace di vedere i rischi più concreti che si hanno di fronte e agire di conseguenza, preda di una sfiducia sulle prospettive e la capacità del Paese di affrontare i problemi.

Poiché il Rapporto mette in luce anche molti dati positivi, per esempio sui trend economici, una buona domanda è perché tutto questo pessimismo.

In psicologia è noto che noi, per ragioni evolutive, tendiamo a prestare maggiore attenzione ai fatti negativi. La paura era una buona consigliera quando l’essere umano doveva affrontare, per esperienza diretta, un ambiente spesso potenzialmente ostile, dove sottovalutare un pericolo poteva essere fatale.

Ma oggi la maggior parte delle paure sono legate a pericoli che ci vengono raccontati e rappresentati da altri - media, social, web – e questo ci rende suggestionabili e si perde il rapporto tra rischio oggettivo e percezione soggettiva. Capita così sempre più spesso che ci sia uno scollamento tra i dati e il vissuto che abbiamo.

In questo influisce per esempio il peso crescente di una informazione superficiale, dove titoli allarmistici riproposti all’infinito hanno perso il posto di una più attenta analisi dei problemi, non sempre per colpa dei media ma del cambiamento delle fonti e dei canali di informazione.

Ma quella che emerge è soprattutto una crisi di fiducia, un sentimento disilluso sulla volontà e la capacità della politica e delle istituzioni di affrontare i problemi e non solo di cercare il consenso e, più in generale, verso il modello di sviluppo che ha coinciso tradizionalmente con una idea di progresso che si è rivelata fallace.

Un modello di sviluppo che si rivela troppo riduttivo, basti pensare che da anni le statistiche ci mostrano la crescente distanza tra benessere materiale e psicologico.

Non a caso soprattutto i giovani, ci dice il Censis, non sono disposti a sacrificare il proprio benessere psicologico per il lavoro, che non è più “a prescindere”, al primo posto, perché non è più una promessa di stabilità e non esaurisce il senso della vita.

Il che fare non è riconducibile ad una formula ma deve partire dalla consapevolezza che bisogna ricostruire la fiducia che è il collante di ogni relazione e di ogni comunità. Non servono imbonitori, politici che vedono tutto nero o tutto bianco a seconda dello schieramento, personaggi narcisi che declamano ricette, ma persone in grado di fare discorsi di saggezza, veri, perché, nonostante i tanti rumori, la verità si fa sempre riconoscere.

Serve un’operazione di promozione di quelle risorse psicologiche, soggettive e collettive, che consentono di sviluppare un atteggiamento costruttivo nelle situazioni della vita, senza negare i problemi ma affrontandoli per quelli che sono, senza fuggire dalla realtà ma neanche dalla speranza e dalla responsabilità. Parliamo di consapevolezza, autoefficacia, senso di scopo, della capacità di capire che la forza si costruisce non negando debolezze e i limiti ma partendo da questi, che la ricerca della sicurezza assoluta ci precipita nell’assoluta insicurezza.

Questi non sono gli ingredienti di un super eroe, di un essere o di una società ideale, ma quelli di un essere umano che accoglie sé stesso, di una società che non si pensa solo come in termini tecnici e burocratici ma come “societas”, cioè insieme di soci, alleati, individui che interagiscono al fine di perseguire obiettivi comuni.

Il Censis parla di “sonnambuli”, persone che camminano dormendo, quello che serve è quindi superare questo stato di scissione, accendere e aprire la mente per aprire gli occhi.

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Otto italiani su dieci hanno paura per il clima impazzito e in generale pensano che siamo un Paese in declino, sette su dieci temono una crisi economica e sociale per i prossimi anni, sei su dieci temono una guerra mondiale e in generale hanno paura del futuro. Malesseri e timori ancora più elevati tra i giovani.

Sono i dati del rapporto Censis 2023 che definisce gli italiani un popolo in preda all’ipertrofia emotiva, spaventato dalle tante paure ed emergenze ma incapace di vedere i rischi più concreti che si hanno di fronte e agire di conseguenza, preda di una sfiducia sulle prospettive e la capacità del Paese di affrontare i problemi.

Poiché il Rapporto mette in luce anche molti dati positivi, per esempio sui trend economici, una buona domanda è perché tutto questo pessimismo.

In psicologia è noto che noi, per ragioni evolutive, tendiamo a prestare maggiore attenzione ai fatti negativi. La paura era una buona consigliera quando l’essere umano doveva affrontare, per esperienza diretta, un ambiente spesso potenzialmente ostile, dove sottovalutare un pericolo poteva essere fatale.

Ma oggi la maggior parte delle paure sono legate a pericoli che ci vengono raccontati e rappresentati da altri - media, social, web – e questo ci rende suggestionabili e si perde il rapporto tra rischio oggettivo e percezione soggettiva. Capita così sempre più spesso che ci sia uno scollamento tra i dati e il vissuto che abbiamo.

In questo influisce per esempio il peso crescente di una informazione superficiale, dove titoli allarmistici riproposti all’infinito hanno perso il posto di una più attenta analisi dei problemi, non sempre per colpa dei media ma del cambiamento delle fonti e dei canali di informazione.

Ma quella che emerge è soprattutto una crisi di fiducia, un sentimento disilluso sulla volontà e la capacità della politica e delle istituzioni di affrontare i problemi e non solo di cercare il consenso e, più in generale, verso il modello di sviluppo che ha coinciso tradizionalmente con una idea di progresso che si è rivelata fallace.

Un modello di sviluppo che si rivela troppo riduttivo, basti pensare che da anni le statistiche ci mostrano la crescente distanza tra benessere materiale e psicologico.

Non a caso soprattutto i giovani, ci dice il Censis, non sono disposti a sacrificare il proprio benessere psicologico per il lavoro, che non è più “a prescindere”, al primo posto, perché non è più una promessa di stabilità e non esaurisce il senso della vita.

Il che fare non è riconducibile ad una formula ma deve partire dalla consapevolezza che bisogna ricostruire la fiducia che è il collante di ogni relazione e di ogni comunità. Non servono imbonitori, politici che vedono tutto nero o tutto bianco a seconda dello schieramento, personaggi narcisi che declamano ricette, ma persone in grado di fare discorsi di saggezza, veri, perché, nonostante i tanti rumori, la verità si fa sempre riconoscere.

Serve un’operazione di promozione di quelle risorse psicologiche, soggettive e collettive, che consentono di sviluppare un atteggiamento costruttivo nelle situazioni della vita, senza negare i problemi ma affrontandoli per quelli che sono, senza fuggire dalla realtà ma neanche dalla speranza e dalla responsabilità. Parliamo di consapevolezza, autoefficacia, senso di scopo, della capacità di capire che la forza si costruisce non negando debolezze e i limiti ma partendo da questi, che la ricerca della sicurezza assoluta ci precipita nell’assoluta insicurezza.

Questi non sono gli ingredienti di un super eroe, di un essere o di una società ideale, ma quelli di un essere umano che accoglie sé stesso, di una società che non si pensa solo come in termini tecnici e burocratici ma come “societas”, cioè insieme di soci, alleati, individui che interagiscono al fine di perseguire obiettivi comuni.

Il Censis parla di “sonnambuli”, persone che camminano dormendo, quello che serve è quindi superare questo stato di scissione, accendere e aprire la mente per aprire gli occhi.

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Perché tutto questo pessimismo

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05.12.2023

Otto italiani su dieci hanno paura per il clima impazzito e in generale pensano che siamo un Paese in declino, sette su dieci temono una crisi economica e sociale per i prossimi anni, sei su dieci temono una guerra mondiale e in generale hanno paura del futuro. Malesseri e timori ancora più elevati tra i giovani.

Sono i dati del rapporto Censis 2023 che definisce gli italiani un popolo in preda all’ipertrofia emotiva, spaventato dalle tante paure ed emergenze ma incapace di vedere i rischi più concreti che si hanno di fronte e agire di conseguenza, preda di una sfiducia sulle prospettive e la capacità del Paese di affrontare i problemi.

Poiché il Rapporto mette in luce anche molti dati positivi, per esempio sui trend economici, una buona domanda è perché tutto questo pessimismo.

In psicologia è noto che noi, per ragioni evolutive, tendiamo a prestare maggiore attenzione ai fatti negativi. La paura era una buona consigliera quando l’essere umano doveva affrontare, per esperienza diretta, un ambiente spesso potenzialmente ostile, dove sottovalutare un pericolo poteva essere fatale.

Ma oggi la maggior parte delle paure sono legate a pericoli che ci vengono raccontati e rappresentati da altri - media, social, web – e questo ci rende suggestionabili e si perde il rapporto tra rischio oggettivo e percezione soggettiva. Capita così sempre più spesso che ci sia uno scollamento tra i dati e il vissuto che abbiamo.

In questo influisce per esempio il peso crescente di una informazione superficiale, dove titoli allarmistici riproposti all’infinito hanno perso il posto di una più attenta analisi dei problemi, non sempre per colpa dei media ma del cambiamento delle fonti e dei canali di informazione.

Ma quella che emerge è soprattutto una crisi di fiducia, un sentimento disilluso sulla volontà e la capacità della politica e delle istituzioni di affrontare i problemi e non solo di cercare il consenso e, più in generale, verso il modello di sviluppo che ha coinciso tradizionalmente con una idea di progresso che si........

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