Si è concluso il Consiglio europeo che si è concentrato sulla revisione intermedia del bilancio europeo 2021-2027, sugli aiuti all’Ucraina e infine sui movimenti migratori e sulla dimensione esterna dell’Europa. In relazione a questi due ultimi punti era lecito aspettarsi un rinvio al tema Africa che viene richiamata solo per un inciso del Fondo fiduciario di emergenza della Ue. Veramente troppo poco.

Malgrado i limiti che indicheremo, l’iniziativa del governo Meloni di organizzare un summit ItaliAfrica a Roma ha ricordato, in vista del G7, un problema enorme che riguarda soprattutto l’Europa. Il Piano Mattei portato al summit è velleitario, ma il problema posto non lo è. La presenza a Roma di rappresentanti apicali di quaranta Stati e di organismi intergovernativi africani, dei vertici dell'Unione europea, di agenzie Onu come la Fao e di altri enti internazionali come il Fondo Monetario Internazionale, è stato importante e ha riproposto l’urgenza per l'Ue. È ovvio che investimenti per 5,5 miliardi di euro per un “piano strategico” finalizzato a un partenariato tra Italia e Stati africani è una goccia nell’oceano. Ancor piu se si considerano i 5 settori di intervento: istruzione, salute, energia, acqua, agricoltura. Ma se questo messaggio del governo Italiano vuole incidere nel contesto europeo e in vista del G7 bisogna capire e spiegare subito il “come” e non sopravvalutare il summit.

Il summit ItaliAfrica. E l'Ue?

Alcuni aspetti di partecipazione “protocollare” (ma non sostanziale) al summit vanno indicati.

Il primo è la presenza dei rappresentanti apicali della Ue, di Commissione (Ursula von der Leyen), Parlamento (Roberta Metsola), Consiglio (Charles Michel). La stessa è apparsa più di cortesia e poco di sostanza, dando anche l’impressione che fosse molto influenzata dal possibile ruolo dell’Italia nel dopo elezioni europee con connesse nomine. Impressiona (e non positivamente) che per la Bei (Banca europea degli investimenti) non fosse presente la presidente (Nadia Calvino, spagnola) e che per la Bers (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) non ci fosse la presidente (Odile Renaud-Basso, francese), in entrambi i casi sostituite dai vice. Quindi due banche di sviluppo europee che già operano in Africa erano (pressoché) assenti. Una garbata lamentela del governo italiano sarebbe utile.

Il secondo è l’intervento di Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell'Unione Africana, che ha lamentato la non previa consultazione sul Piano Mattei. È una lamentela comprensibile, ma non necessariamente condivisibile, se si fosse chiarito meglio, da parte del governo italiano, che lo scopo del summit era proprio quello della consultazione che non si poteva fare ex ante. Ma dal suo intervento sgomenta l’elenco degli enormi problemi dell’Africa e del mancato coordinamento del Global North di fronte a una sfida epocale come quella di un continente la cui popolazione, è bene ricordarlo, sarà di 1,7 miliardi nel 2030.

Se l’Africa non si sviluppa anche l’Europa entrerà in crisi.

Italia, Europa, Africa

Se il governo intende portare il problema Africa nel G7 dovrà però aggregare il club dei quattro stati europei, tenendo conto delle iniziative già partite e che sia al Tesoro che alla Farnesina sono ben note. Ne cito esemplificativamente una avviata nel 2021 con la quale alcune delle più importanti istituzioni finanziarie europee, del G7 e internazionali investono in cinque anni 80 miliardi di dollari nel settore privato per sostenere lo sviluppo dell’Africa. Non è molto (certo più dei 5,5 miliardi del Piano Mattei), ma la qualità e l’esperienza dei soggetti coinvolti è una garanzia. Gli enti finanziari che partecipano a questa iniziativa sono la Development Finance Institutions (DFI) dei Paesi del G7, la International Finance Corporation (IFC), l'African Development Bank, la Bers e la Bei.

Al proposito di questa iniziativa richiamo due dichiarazioni di protagonisti europei e italiani. La prima riguarda l’Europa ed è dell'allora presidente della Bei, Werner Hoyer, il quale, apprezzando l’intendimento del G7 di promuovere investimenti in Africa, segnalava che l’impegno della Bei nel continente africano dura da oltre mezzo secolo ed è pronta "a proseguire la cooperazione con istituzioni africane e multilaterali per contrastare la pandemia e accelerare la transizione ecologica in Africa". La seconda riguarda l’Italia ed è dell'amministratore delegato della Cassa Depositi e Prestiti Dario Scannapieco, il quale ha detto che “una più stretta collaborazione tra le Development Finance Institutions e le istituzioni finanziarie multilaterali è un fattore essenziale per promuovere la ripresa e la crescita economica sostenibili dell’Africa. CDP intende contribuire a questa partnership strategica, supportando il continente africano nello sviluppo del proprio settore privato, sia imprenditoriale sia finanziario, con l’obiettivo di sbloccare il suo straordinario potenziale”. Scannapieco, per anni ai vertici della Bei, parla a proposito sia perché la Cdp è già impegnata in Africa sia perché molte grandi imprese italiane che già vi operano sono partecipate da Cdp.

Una conclusione: dalla Bei alla Bers, alla Besa

La situazione dell’Africa nel 2024 è probabilmente peggiore di quella del 2021 quando partì l’iniziativa sopra citata e le risorse necessarie per contrastare il non-sviluppo dell’Africa sono multipli degli 80 miliardi indicati. Ma il metodo può fare molto e gli enti europei e sovranazionali sanno come intervenire. La frammentazioni degli interventi di stati europei non risolve nulla. Ci vuole un "progetto europeo" per l’Africa analogo a quanto si fece nel 1991 creando la Bers per sostenere gli Stati emersi dall’Urss. Adesso la Bers ha modificato lo Statuto per operare in Africa. Sarebbe meglio che questo due banche di Sviluppo controllate dagli Stati dell'Ue varassero una nuova Banca europea per lo Sviluppo dell'Africa (Besa). Perchè l’Italia, invece di lanciare un velleitario piano Mattei, non si fa promotrice di questa innovazione?

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Si è concluso il Consiglio europeo che si è concentrato sulla revisione intermedia del bilancio europeo 2021-2027, sugli aiuti all’Ucraina e infine sui movimenti migratori e sulla dimensione esterna dell’Europa. In relazione a questi due ultimi punti era lecito aspettarsi un rinvio al tema Africa che viene richiamata solo per un inciso del Fondo fiduciario di emergenza della Ue. Veramente troppo poco.

Malgrado i limiti che indicheremo, l’iniziativa del governo Meloni di organizzare un summit ItaliAfrica a Roma ha ricordato, in vista del G7, un problema enorme che riguarda soprattutto l’Europa. Il Piano Mattei portato al summit è velleitario, ma il problema posto non lo è. La presenza a Roma di rappresentanti apicali di quaranta Stati e di organismi intergovernativi africani, dei vertici dell'Unione europea, di agenzie Onu come la Fao e di altri enti internazionali come il Fondo Monetario Internazionale, è stato importante e ha riproposto l’urgenza per l'Ue. È ovvio che investimenti per 5,5 miliardi di euro per un “piano strategico” finalizzato a un partenariato tra Italia e Stati africani è una goccia nell’oceano. Ancor piu se si considerano i 5 settori di intervento: istruzione, salute, energia, acqua, agricoltura. Ma se questo messaggio del governo Italiano vuole incidere nel contesto europeo e in vista del G7 bisogna capire e spiegare subito il “come” e non sopravvalutare il summit.

Il summit ItaliAfrica. E l'Ue?

Alcuni aspetti di partecipazione “protocollare” (ma non sostanziale) al summit vanno indicati.

Il primo è la presenza dei rappresentanti apicali della Ue, di Commissione (Ursula von der Leyen), Parlamento (Roberta Metsola), Consiglio (Charles Michel). La stessa è apparsa più di cortesia e poco di sostanza, dando anche l’impressione che fosse molto influenzata dal possibile ruolo dell’Italia nel dopo elezioni europee con connesse nomine. Impressiona (e non positivamente) che per la Bei (Banca europea degli investimenti) non fosse presente la presidente (Nadia Calvino, spagnola) e che per la Bers (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) non ci fosse la presidente (Odile Renaud-Basso, francese), in entrambi i casi sostituite dai vice. Quindi due banche di sviluppo europee che già operano in Africa erano (pressoché) assenti. Una garbata lamentela del governo italiano sarebbe utile.

Il secondo è l’intervento di Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell'Unione Africana, che ha lamentato la non previa consultazione sul Piano Mattei. È una lamentela comprensibile, ma non necessariamente condivisibile, se si fosse chiarito meglio, da parte del governo italiano, che lo scopo del summit era proprio quello della consultazione che non si poteva fare ex ante. Ma dal suo intervento sgomenta l’elenco degli enormi problemi dell’Africa e del mancato coordinamento del Global North di fronte a una sfida epocale come quella di un continente la cui popolazione, è bene ricordarlo, sarà di 1,7 miliardi nel 2030.

Se l’Africa non si sviluppa anche l’Europa entrerà in crisi.

Italia, Europa, Africa

Se il governo intende portare il problema Africa nel G7 dovrà però aggregare il club dei quattro stati europei, tenendo conto delle iniziative già partite e che sia al Tesoro che alla Farnesina sono ben note. Ne cito esemplificativamente una avviata nel 2021 con la quale alcune delle più importanti istituzioni finanziarie europee, del G7 e internazionali investono in cinque anni 80 miliardi di dollari nel settore privato per sostenere lo sviluppo dell’Africa. Non è molto (certo più dei 5,5 miliardi del Piano Mattei), ma la qualità e l’esperienza dei soggetti coinvolti è una garanzia. Gli enti finanziari che partecipano a questa iniziativa sono la Development Finance Institutions (DFI) dei Paesi del G7, la International Finance Corporation (IFC), l'African Development Bank, la Bers e la Bei.

Al proposito di questa iniziativa richiamo due dichiarazioni di protagonisti europei e italiani. La prima riguarda l’Europa ed è dell'allora presidente della Bei, Werner Hoyer, il quale, apprezzando l’intendimento del G7 di promuovere investimenti in Africa, segnalava che l’impegno della Bei nel continente africano dura da oltre mezzo secolo ed è pronta "a proseguire la cooperazione con istituzioni africane e multilaterali per contrastare la pandemia e accelerare la transizione ecologica in Africa". La seconda riguarda l’Italia ed è dell'amministratore delegato della Cassa Depositi e Prestiti Dario Scannapieco, il quale ha detto che “una più stretta collaborazione tra le Development Finance Institutions e le istituzioni finanziarie multilaterali è un fattore essenziale per promuovere la ripresa e la crescita economica sostenibili dell’Africa. CDP intende contribuire a questa partnership strategica, supportando il continente africano nello sviluppo del proprio settore privato, sia imprenditoriale sia finanziario, con l’obiettivo di sbloccare il suo straordinario potenziale”. Scannapieco, per anni ai vertici della Bei, parla a proposito sia perché la Cdp è già impegnata in Africa sia perché molte grandi imprese italiane che già vi operano sono partecipate da Cdp.

Una conclusione: dalla Bei alla Bers, alla Besa

La situazione dell’Africa nel 2024 è probabilmente peggiore di quella del 2021 quando partì l’iniziativa sopra citata e le risorse necessarie per contrastare il non-sviluppo dell’Africa sono multipli degli 80 miliardi indicati. Ma il metodo può fare molto e gli enti europei e sovranazionali sanno come intervenire. La frammentazioni degli interventi di stati europei non risolve nulla. Ci vuole un "progetto europeo" per l’Africa analogo a quanto si fece nel 1991 creando la Bers per sostenere gli Stati emersi dall’Urss. Adesso la Bers ha modificato lo Statuto per operare in Africa. Sarebbe meglio che questo due banche di Sviluppo controllate dagli Stati dell'Ue varassero una nuova Banca europea per lo Sviluppo dell'Africa (Besa). Perchè l’Italia, invece di lanciare un velleitario piano Mattei, non si fa promotrice di questa innovazione?

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Per l'Africa non basta il summit di Roma. Perché l'Europa latita?

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02.02.2024

Si è concluso il Consiglio europeo che si è concentrato sulla revisione intermedia del bilancio europeo 2021-2027, sugli aiuti all’Ucraina e infine sui movimenti migratori e sulla dimensione esterna dell’Europa. In relazione a questi due ultimi punti era lecito aspettarsi un rinvio al tema Africa che viene richiamata solo per un inciso del Fondo fiduciario di emergenza della Ue. Veramente troppo poco.

Malgrado i limiti che indicheremo, l’iniziativa del governo Meloni di organizzare un summit ItaliAfrica a Roma ha ricordato, in vista del G7, un problema enorme che riguarda soprattutto l’Europa. Il Piano Mattei portato al summit è velleitario, ma il problema posto non lo è. La presenza a Roma di rappresentanti apicali di quaranta Stati e di organismi intergovernativi africani, dei vertici dell'Unione europea, di agenzie Onu come la Fao e di altri enti internazionali come il Fondo Monetario Internazionale, è stato importante e ha riproposto l’urgenza per l'Ue. È ovvio che investimenti per 5,5 miliardi di euro per un “piano strategico” finalizzato a un partenariato tra Italia e Stati africani è una goccia nell’oceano. Ancor piu se si considerano i 5 settori di intervento: istruzione, salute, energia, acqua, agricoltura. Ma se questo messaggio del governo Italiano vuole incidere nel contesto europeo e in vista del G7 bisogna capire e spiegare subito il “come” e non sopravvalutare il summit.

Il summit ItaliAfrica. E l'Ue?

Alcuni aspetti di partecipazione “protocollare” (ma non sostanziale) al summit vanno indicati.

Il primo è la presenza dei rappresentanti apicali della Ue, di Commissione (Ursula von der Leyen), Parlamento (Roberta Metsola), Consiglio (Charles Michel). La stessa è apparsa più di cortesia e poco di sostanza, dando anche l’impressione che fosse molto influenzata dal possibile ruolo dell’Italia nel dopo elezioni europee con connesse nomine. Impressiona (e non positivamente) che per la Bei (Banca europea degli investimenti) non fosse presente la presidente (Nadia Calvino, spagnola) e che per la Bers (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) non ci fosse la presidente (Odile Renaud-Basso, francese), in entrambi i casi sostituite dai vice. Quindi due banche di sviluppo europee che già operano in Africa erano (pressoché) assenti. Una garbata lamentela del governo italiano sarebbe utile.

Il secondo è l’intervento di Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell'Unione Africana, che ha lamentato la non previa consultazione sul Piano Mattei. È una lamentela comprensibile, ma non necessariamente condivisibile, se si fosse chiarito meglio, da parte del governo italiano, che lo scopo del summit era proprio quello della consultazione che non si poteva fare ex ante. Ma dal suo intervento sgomenta l’elenco degli enormi problemi dell’Africa e del mancato coordinamento del Global North di fronte a una sfida epocale come quella di un continente la cui popolazione, è bene ricordarlo, sarà di 1,7 miliardi nel 2030.

Se l’Africa non si sviluppa anche l’Europa entrerà in crisi.

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