Esiste una guerra misurata?

No, ovviamente.

La guerra è certamente l’evento meno controllato e/o controllabile, il luogo dove l’umanità fallisce, laddove l’umanità nella sua dimensione più elevata si scopre proprio nel suo senso della misura.

Questo abbiamo imparato dalla cultura che più di ogni altra ci ha insegnato le cose del mondo e dell’uomo: la cultura greca. Una cultura che della guerra ne ha fatto un Dio. Una cultura che quel Dio (Ares) ha celebrato e onorato e che in una delle tante versioni della tradizione ha reso padre anche di Eros, cioè dell’Amore. E se concepiamo il parterre del’Olimpo greco, ovvero le divinità, come principi organizzativi del naturale comportamento dell’uomo, non possiamo concepire la guerra se non come parte della natura dell’uomo.

Eppure pensiamo sia incredibile nel terzo millennio dover ancora parlare di guerra, oggi che ci sentiamo esseri tanto evoluti, oggi che l’istintualità, l’impulsività dell’individuo, dovrebbe esser stata soggiogata dalla ben più elevata competenza che abbiamo raffinato: la ragione. Vantiamo di essere esseri intelligenti, guidati dalla conoscenza, dalla Cultura, dalla ragione, elementi che, nella loro logica, ovviamente non contemplano un evento tanto autolesionista. Eppure i nostri notiziari ogni giorno aprono con una prima notizia: la guerra.

Oggi che ogni guerra profila una minaccia ben più grande dell’eventuale conquista, o giustificazione che la muove, cioè la distruzione totale dell’umanità, perché ogni guerra oggi può diventare una guerra nucleare, una guerra totale, una guerra senza misura.

La violenza è insita nell’uomo, la ragione è forte quando la controlla, ma perché la ragione sia forte necessita di equilibrio. “La pace infatti”, dice Vito Mancuso in ‘Etica dei giorni difficili’, “non è mera assenza di guerra, è piuttosto un atteggiamento interiore, (…) una diversa volontà di potenza e la definisco “coraggio” nel senso etimologico di ‘azione del cuore’. Ma, continuo citando Simone Weil, “la forza che uccide è una forma sommaria, grossolana di forza. (…) e ben più sorprendente nei suoi effetti è l’altra forza, quella che non uccide; o meglio, quella che non ha ancora ucciso. Quella che certamente, o molto probabilmente, lo farà.”

La guerra è la manifestazione della scompensazione di un sistema evoluto.

Facendo un parallelo con le patologie psichiche, le più gravi si determinano proprio nell’impossibilità, a seguito di uno scompenso, di una frattura, di riportare in equilibrio il sistema psichico di un individuo. Questa scompensazione conduce ad una regressione del funzionamento di quell’individuo che presuppone un prevalere di comportamenti più antichi e pulsionali, più semplicemente infantili in maniera estrema.

Ecco che quindi possiamo comprendere l’attuarsi della guerra come regressione del comportamento dell’umanità ad un livello antico, originario, impulsivo.

Solitamente questo accade a seguito di eventi scatenanti, ovviamente, ma gli eventi scatenanti provocano tali effetti solo su un sistema già gravemente compromesso. Quello che viene da rilevare rispetto alla nostra contemporaneità, figlia della tecnologia, del nucleare, di una pandemia, è una grave compromissione del sistema. Quale diagnosi possiamo fare, allora, a un individuo o ad un sistema che mette in atto atteggiamenti tanto lesivi per la sua stessa sopravvivenza (la guerra totale)? L’autolesionismo.

In psicoanalisi l’autolesionismo dice una cosa ben chiara ossia l’incapacità di un soggetto di mentalizzare, cioè di digerire attraverso il sistema ragionevole, un problema. Ed evidentemente, se continuiamo a mettere in atto comportamenti tanto lesivi per la nostra umanità, siamo ancora carenti di questa capacità.

Forse è questo il grande problema della nostra epoca: un bacino di ragionevolezza sottosviluppato rispetto agli strumenti e al potere in nostro possesso (come un bambino di due anni con un coltello in mano, sarà molto facile che si faccia male) che, utilizzando solo meccanismi impulsivi/aggressivi, dimostra la propria incapacità ad affrontare i problemi in maniera logico-razionale.

E se le tradizioni antiche, filosofiche e religiose concepiscono e accettano la guerra solo se difensiva, oggi questo confine si è confuso a tal punto da diventare difficile riuscire a comprendere chi è veramente l’aggressore o chi si stia realmente difendendo.

Segui i temi Commenta con i lettori I commenti dei lettori

HuffPost crede nel valore del confronto tra diverse opinioni. Partecipa al dibattito con gli altri membri della community.

Suggerisci una correzione

Esiste una guerra misurata?

No, ovviamente.

La guerra è certamente l’evento meno controllato e/o controllabile, il luogo dove l’umanità fallisce, laddove l’umanità nella sua dimensione più elevata si scopre proprio nel suo senso della misura.

Questo abbiamo imparato dalla cultura che più di ogni altra ci ha insegnato le cose del mondo e dell’uomo: la cultura greca. Una cultura che della guerra ne ha fatto un Dio. Una cultura che quel Dio (Ares) ha celebrato e onorato e che in una delle tante versioni della tradizione ha reso padre anche di Eros, cioè dell’Amore. E se concepiamo il parterre del’Olimpo greco, ovvero le divinità, come principi organizzativi del naturale comportamento dell’uomo, non possiamo concepire la guerra se non come parte della natura dell’uomo.

Eppure pensiamo sia incredibile nel terzo millennio dover ancora parlare di guerra, oggi che ci sentiamo esseri tanto evoluti, oggi che l’istintualità, l’impulsività dell’individuo, dovrebbe esser stata soggiogata dalla ben più elevata competenza che abbiamo raffinato: la ragione. Vantiamo di essere esseri intelligenti, guidati dalla conoscenza, dalla Cultura, dalla ragione, elementi che, nella loro logica, ovviamente non contemplano un evento tanto autolesionista. Eppure i nostri notiziari ogni giorno aprono con una prima notizia: la guerra.

Oggi che ogni guerra profila una minaccia ben più grande dell’eventuale conquista, o giustificazione che la muove, cioè la distruzione totale dell’umanità, perché ogni guerra oggi può diventare una guerra nucleare, una guerra totale, una guerra senza misura.

La violenza è insita nell’uomo, la ragione è forte quando la controlla, ma perché la ragione sia forte necessita di equilibrio. “La pace infatti”, dice Vito Mancuso in ‘Etica dei giorni difficili’, “non è mera assenza di guerra, è piuttosto un atteggiamento interiore, (…) una diversa volontà di potenza e la definisco “coraggio” nel senso etimologico di ‘azione del cuore’. Ma, continuo citando Simone Weil, “la forza che uccide è una forma sommaria, grossolana di forza. (…) e ben più sorprendente nei suoi effetti è l’altra forza, quella che non uccide; o meglio, quella che non ha ancora ucciso. Quella che certamente, o molto probabilmente, lo farà.”

La guerra è la manifestazione della scompensazione di un sistema evoluto.

Facendo un parallelo con le patologie psichiche, le più gravi si determinano proprio nell’impossibilità, a seguito di uno scompenso, di una frattura, di riportare in equilibrio il sistema psichico di un individuo. Questa scompensazione conduce ad una regressione del funzionamento di quell’individuo che presuppone un prevalere di comportamenti più antichi e pulsionali, più semplicemente infantili in maniera estrema.

Ecco che quindi possiamo comprendere l’attuarsi della guerra come regressione del comportamento dell’umanità ad un livello antico, originario, impulsivo.

Solitamente questo accade a seguito di eventi scatenanti, ovviamente, ma gli eventi scatenanti provocano tali effetti solo su un sistema già gravemente compromesso. Quello che viene da rilevare rispetto alla nostra contemporaneità, figlia della tecnologia, del nucleare, di una pandemia, è una grave compromissione del sistema. Quale diagnosi possiamo fare, allora, a un individuo o ad un sistema che mette in atto atteggiamenti tanto lesivi per la sua stessa sopravvivenza (la guerra totale)? L’autolesionismo.

In psicoanalisi l’autolesionismo dice una cosa ben chiara ossia l’incapacità di un soggetto di mentalizzare, cioè di digerire attraverso il sistema ragionevole, un problema. Ed evidentemente, se continuiamo a mettere in atto comportamenti tanto lesivi per la nostra umanità, siamo ancora carenti di questa capacità.

Forse è questo il grande problema della nostra epoca: un bacino di ragionevolezza sottosviluppato rispetto agli strumenti e al potere in nostro possesso (come un bambino di due anni con un coltello in mano, sarà molto facile che si faccia male) che, utilizzando solo meccanismi impulsivi/aggressivi, dimostra la propria incapacità ad affrontare i problemi in maniera logico-razionale.

E se le tradizioni antiche, filosofiche e religiose concepiscono e accettano la guerra solo se difensiva, oggi questo confine si è confuso a tal punto da diventare difficile riuscire a comprendere chi è veramente l’aggressore o chi si stia realmente difendendo.

HuffPost crede nel valore del confronto tra diverse opinioni. Partecipa al dibattito con gli altri membri della community.

QOSHE - Psicodiagnosi di una guerra smisurata - Agnese Scappini
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Psicodiagnosi di una guerra smisurata

17 0
22.04.2024

Esiste una guerra misurata?

No, ovviamente.

La guerra è certamente l’evento meno controllato e/o controllabile, il luogo dove l’umanità fallisce, laddove l’umanità nella sua dimensione più elevata si scopre proprio nel suo senso della misura.

Questo abbiamo imparato dalla cultura che più di ogni altra ci ha insegnato le cose del mondo e dell’uomo: la cultura greca. Una cultura che della guerra ne ha fatto un Dio. Una cultura che quel Dio (Ares) ha celebrato e onorato e che in una delle tante versioni della tradizione ha reso padre anche di Eros, cioè dell’Amore. E se concepiamo il parterre del’Olimpo greco, ovvero le divinità, come principi organizzativi del naturale comportamento dell’uomo, non possiamo concepire la guerra se non come parte della natura dell’uomo.

Eppure pensiamo sia incredibile nel terzo millennio dover ancora parlare di guerra, oggi che ci sentiamo esseri tanto evoluti, oggi che l’istintualità, l’impulsività dell’individuo, dovrebbe esser stata soggiogata dalla ben più elevata competenza che abbiamo raffinato: la ragione. Vantiamo di essere esseri intelligenti, guidati dalla conoscenza, dalla Cultura, dalla ragione, elementi che, nella loro logica, ovviamente non contemplano un evento tanto autolesionista. Eppure i nostri notiziari ogni giorno aprono con una prima notizia: la guerra.

Oggi che ogni guerra profila una minaccia ben più grande dell’eventuale conquista, o giustificazione che la muove, cioè la distruzione totale dell’umanità, perché ogni guerra oggi può diventare una guerra nucleare, una guerra totale, una guerra senza misura.

La violenza è insita nell’uomo, la ragione è forte quando la controlla, ma perché la ragione sia forte necessita di equilibrio. “La pace infatti”, dice Vito Mancuso in ‘Etica dei giorni difficili’, “non è mera assenza di guerra, è piuttosto un atteggiamento interiore, (…) una diversa volontà di potenza e la definisco “coraggio” nel senso etimologico di ‘azione del cuore’. Ma, continuo citando Simone Weil, “la forza che uccide è una forma sommaria, grossolana di forza. (…) e ben più sorprendente nei suoi effetti è l’altra forza, quella che non uccide; o meglio, quella che non ha ancora ucciso. Quella che certamente, o molto probabilmente, lo farà.”

La guerra è la........

© HuffPost


Get it on Google Play