Guardando Jannik Sinner nella finale degli Australian Open mi sono tornate in mente le parole incredibili di Simone Weil da “Il libro del potere”: ‘La scienza mostra che un incremento energetico può derivare solo da una fonte esterna di energia; che una trasformazione di energia inferiore in energia superiore può avere luogo solo in risposta a una trasformazione almeno equivalente di energia superiore in energia inferiore. Il movimento discendente è sempre la condizione per qualsiasi movimento ascendente. (…) può renderci migliori solo l’influenza che riceviamo da ciò che è migliore di noi.’

Sì perché di potere oggi abbiamo avuto assaggio, assuefazione, sapore e istruzione, in questo match che ha tenuto sospesi i pasti domenicali di un’intera nazione: la nostra Italia. Strade silenziose, case silenziose, perché il tennis è così: composto; il gioco si costruisce nel silenzio ritmato di una pallina che rimbalza e nella disciplina alternata di un punto vinto e uno perso, nella postura e nella compostezza. Si trattiene lo spirito e il fiato per poi liberarlo quando un campione compie maestrie che sorprendono ma anche quando commette errori che quasi non si perdonano… quasi.

Perché il campione, quello vero, i suoi errori li perdona e da quelli riparte mesto ma potente. Jannik oggi ci ha dato una lezione portentosa, l’ha data agli sportivi in erba, quelli piccoli o più grandi che ne fanno un idolo da imitare per imparare, ma l’ha insegnata a tutti gli altri, a tutti noi per il quotidiano saper vivere. Nell’epoca della prestazione, dove l’identità è garantita dalla perfetta performance, Jannik ci ha mostrato che la perfezione esiste, ma non è perfetta, è un’ arte, nel senso di ars come intendevano i latini: un lavoro continuo di costruzione, distruzione e di ricostruzione. Scoprendo, osservando Jannik, che per distruggere bisogna accettare, perdonare, e poi superare… e tutto nell’immediato presente.

Ecco Jannik oggi non ha vinto solo uno Slam, ha conquistato una dimensione che solo pochissimi privilegiati nella storia dell’uomo hanno avuto, ha conquistato il tempo, il suo tempo.

“La perfezione che immaginiamo è a nostra misura”, dice la Weil, e Jannik lo sa, come sa che, continua la Weil, “possiamo trovarla (solo) nel presente ma confusa con ciò che è mediocre (…)”; e lo abbiamo visto oggi nell’umanità di un campione che è entrato in uno degli Olimpi del tennis teso, per la prima volta senza un suo solito sorriso; è entrato e quella pallina era disobbediente, quelle gambe nervose pesanti, la racchetta confusa. Ed è lì che il campione ha iniziato il lento lavoro di ricamo di un’impresa, dove la sconfitta ha smesso di aleggiare per diventare sostanza del gioco, perché il movimento ascendente esige un movimento discendente, e tutto nell’immediato, nel presente che Jannik non teme, non ha mai temuto. Il tempo per lui non è un Dio giudicante, l’errore precedente si assolve nel colpo perfetto successivo, non demotiva… anzi, fino a che l’energia perduta torna a rieducare la pallina e a farla andare dove deve, a sostenere le gambe e a condurre la racchetta in maniera esemplare come Sinner ci ha abituati a vedere. Ecco che il fiato sospeso raggiunge un’acume ed esplode quando comincia a riconoscere il suo campione, a ritrovarlo nello sguardo. Ed ecco che esplode intorno alle tavole imbandite degli italiani. La catarsi è avvenuta, oggi i peccati non li abbiamo espiati in chiesa ma davanti la finale degli Australian Open.

Un meraviglioso grazie a Jannik Sinner per averci fatto sentire migliori, ma forse anche in parte per averci resi migliori.

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Guardando Jannik Sinner nella finale degli Australian Open mi sono tornate in mente le parole incredibili di Simone Weil da “Il libro del potere”: ‘La scienza mostra che un incremento energetico può derivare solo da una fonte esterna di energia; che una trasformazione di energia inferiore in energia superiore può avere luogo solo in risposta a una trasformazione almeno equivalente di energia superiore in energia inferiore. Il movimento discendente è sempre la condizione per qualsiasi movimento ascendente. (…) può renderci migliori solo l’influenza che riceviamo da ciò che è migliore di noi.’

Sì perché di potere oggi abbiamo avuto assaggio, assuefazione, sapore e istruzione, in questo match che ha tenuto sospesi i pasti domenicali di un’intera nazione: la nostra Italia. Strade silenziose, case silenziose, perché il tennis è così: composto; il gioco si costruisce nel silenzio ritmato di una pallina che rimbalza e nella disciplina alternata di un punto vinto e uno perso, nella postura e nella compostezza. Si trattiene lo spirito e il fiato per poi liberarlo quando un campione compie maestrie che sorprendono ma anche quando commette errori che quasi non si perdonano… quasi.

Perché il campione, quello vero, i suoi errori li perdona e da quelli riparte mesto ma potente. Jannik oggi ci ha dato una lezione portentosa, l’ha data agli sportivi in erba, quelli piccoli o più grandi che ne fanno un idolo da imitare per imparare, ma l’ha insegnata a tutti gli altri, a tutti noi per il quotidiano saper vivere. Nell’epoca della prestazione, dove l’identità è garantita dalla perfetta performance, Jannik ci ha mostrato che la perfezione esiste, ma non è perfetta, è un’ arte, nel senso di ars come intendevano i latini: un lavoro continuo di costruzione, distruzione e di ricostruzione. Scoprendo, osservando Jannik, che per distruggere bisogna accettare, perdonare, e poi superare… e tutto nell’immediato presente.

Ecco Jannik oggi non ha vinto solo uno Slam, ha conquistato una dimensione che solo pochissimi privilegiati nella storia dell’uomo hanno avuto, ha conquistato il tempo, il suo tempo.

“La perfezione che immaginiamo è a nostra misura”, dice la Weil, e Jannik lo sa, come sa che, continua la Weil, “possiamo trovarla (solo) nel presente ma confusa con ciò che è mediocre (…)”; e lo abbiamo visto oggi nell’umanità di un campione che è entrato in uno degli Olimpi del tennis teso, per la prima volta senza un suo solito sorriso; è entrato e quella pallina era disobbediente, quelle gambe nervose pesanti, la racchetta confusa. Ed è lì che il campione ha iniziato il lento lavoro di ricamo di un’impresa, dove la sconfitta ha smesso di aleggiare per diventare sostanza del gioco, perché il movimento ascendente esige un movimento discendente, e tutto nell’immediato, nel presente che Jannik non teme, non ha mai temuto. Il tempo per lui non è un Dio giudicante, l’errore precedente si assolve nel colpo perfetto successivo, non demotiva… anzi, fino a che l’energia perduta torna a rieducare la pallina e a farla andare dove deve, a sostenere le gambe e a condurre la racchetta in maniera esemplare come Sinner ci ha abituati a vedere. Ecco che il fiato sospeso raggiunge un’acume ed esplode quando comincia a riconoscere il suo campione, a ritrovarlo nello sguardo. Ed ecco che esplode intorno alle tavole imbandite degli italiani. La catarsi è avvenuta, oggi i peccati non li abbiamo espiati in chiesa ma davanti la finale degli Australian Open.

Un meraviglioso grazie a Jannik Sinner per averci fatto sentire migliori, ma forse anche in parte per averci resi migliori.

QOSHE - La lezione portentosa di Jannik: la perfezione esiste, ma non è perfetta, è l’ arte di perdonare i propri errori e ripartire da quelli - Agnese Scappini
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La lezione portentosa di Jannik: la perfezione esiste, ma non è perfetta, è l’ arte di perdonare i propri errori e ripartire da quelli

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28.01.2024

Guardando Jannik Sinner nella finale degli Australian Open mi sono tornate in mente le parole incredibili di Simone Weil da “Il libro del potere”: ‘La scienza mostra che un incremento energetico può derivare solo da una fonte esterna di energia; che una trasformazione di energia inferiore in energia superiore può avere luogo solo in risposta a una trasformazione almeno equivalente di energia superiore in energia inferiore. Il movimento discendente è sempre la condizione per qualsiasi movimento ascendente. (…) può renderci migliori solo l’influenza che riceviamo da ciò che è migliore di noi.’

Sì perché di potere oggi abbiamo avuto assaggio, assuefazione, sapore e istruzione, in questo match che ha tenuto sospesi i pasti domenicali di un’intera nazione: la nostra Italia. Strade silenziose, case silenziose, perché il tennis è così: composto; il gioco si costruisce nel silenzio ritmato di una pallina che rimbalza e nella disciplina alternata di un punto vinto e uno perso, nella postura e nella compostezza. Si trattiene lo spirito e il fiato per poi liberarlo quando un campione compie maestrie che sorprendono ma anche quando commette errori che quasi non si perdonano… quasi.

Perché il campione, quello vero, i suoi errori li perdona e da quelli riparte mesto ma potente. Jannik oggi ci ha dato una lezione portentosa, l’ha data agli sportivi in erba, quelli piccoli o più grandi che ne fanno un idolo da imitare per imparare, ma l’ha insegnata a tutti gli altri, a tutti noi per il quotidiano saper vivere. Nell’epoca della prestazione, dove l’identità è garantita dalla perfetta performance, Jannik ci ha mostrato che la perfezione esiste, ma non è perfetta, è un’ arte, nel senso di ars come intendevano i latini: un lavoro continuo di costruzione, distruzione e di ricostruzione. Scoprendo, osservando Jannik, che per........

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