Non conosco personalmente Chiara Ferragni se non nella misura di un profilo sociale di altissima risonanza, ma oggi non si può parlare di lei senza menzionare gli eventi che sembra la stiano travolgendo. Dell’intera vicenda, da psicoanalista e studiosa dei fenomeni sociali, ciò che mi colpisce è l’attivazione di un fenomeno sociale peculiare e regressivo: quello dell’idealizzazione sfrenata di una figura cui fa da contraltare la sua immediata e drastica distruzione.

Ma cosa succede realmente?

Facciamo qualche passo indietro, l’uomo è spinto da due impulsi fondamentali: quello della sopravvivenza e quello del proprio miglioramento o progresso.

Oggi che la sopravvivenza è, nel nostro mondo occidentale, una minaccia ridotta ai minimi termini, prende il sopravvento l’impulso al progresso o al progredire (per meglio dire) sia che esso significhi miglioramento dello stile di vita o semplicemente aumento della propria ricchezza.

Chiara Ferragni e come lei tanti fenomeni social impersonano proprio questo bisogno basilare di conquistare uno stile di vita ideale e idealizzato.

Siamo esseri imitativi, abbiamo poche competenze innate, la maggior parte le acquisiamo per imitazione, per imitazione di modelli designati come tali e che per lo stesso motivo vengono innalzati ed estremizzati. Gli ‘oggetti’ (così sono definiti in psicoanalisi le figure di riferimento relazionali di un individuo) in questione perdono il loro status di soggetti con loro caratteristiche individuali, con loro pro e contro e con i loro pregi e difetti, e diventano semplicemente il simulacro di una identificazione proiettiva di coloro che li seguono.

Per ‘identificazione proiettiva’ si intende quel particolare meccanismo (di difesa) che prevede la proiezione di parti di sé nell’altro allo scopo di affidare all’altro la risoluzione dell’irrisolvibile.

Questa dinamica è però tipica - e qui subentra il caso da osservare - di una fase dello sviluppo del bambino che possiamo individuare tra il primo e secondo anno di vita, quando il bambino rompe la simbiosi materna. Per poter accettare l’angoscia da separazione egli scinde la madre (l’oggetto) in oggetto buono e in oggetto cattivo: il cosiddetto funzionamento borderline.

Secondo Luigi Cancrini: “La manifestazione più semplice e più comune di questo funzionamento (…) è una mente che tende a dare giudizi estremi (‘o bianco o nero’) su noi stessi e sulla realtà che ci circonda. La mente che funziona ad un livello borderline utilizza la scissione e giudica tutto cattivo o tutto buono, senza sfumature, e ha forte difficoltà a cogliere la gradazione di positività e negatività in una stessa persona.”

Vi risuonano queste parole riguardo quanto sta accadendo nel “caso” Ferragni?

Una visione della stessa ideale e perfetta che dinanzi ad un suo errore e alla delusione che questo comporta in coloro che in essa si identificano scatena la reazione distruttiva della stessa.

E’ assai interessante osservare come entrambe le reazioni, quella idealizzante e quella distruttiva, individuino nell’imitazione la risoluzione: la tuta indossata dall’influencer durante il video di scuse andata sold out ne è manifesto.

Questa vicenda esprime in maniera lucidamente chiara come una collettività, apparentemente governata da regole sociali mature, possa velocemente regredire ad uno stadio di funzionamento arcaico (come quello borderline) e quanto gli strumenti virtuali possano amplificare questi fenomeni.

La regressione è sintomo di una tensione, caratteristica di fasi critiche di evoluzione, come effettivamente sta accadendo al nostro mondo e alla nostra società, in così rapido cambiamento.

“Nella persona normale, la capacità di integrare le rappresentazioni buone e cattive dell’oggetto aumenta gradualmente con l’età e raggiunge (dovrebbe raggiungere) i massimi livelli nell’età adulta. Capaci di rispettare le stesse e gli altri, le persone mature basano il loro equilibrio sulla consapevolezza profonda della propria e dell’altrui imperfezione, e guardano con sospetto (…) allo sviluppo di emozioni unilaterali" (Cancrini)

C’è da augurarsi che sia davvero cosi, e che il “caso Ferragni” sia una tappa di questa evoluzione.

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Non conosco personalmente Chiara Ferragni se non nella misura di un profilo sociale di altissima risonanza, ma oggi non si può parlare di lei senza menzionare gli eventi che sembra la stiano travolgendo. Dell’intera vicenda, da psicoanalista e studiosa dei fenomeni sociali, ciò che mi colpisce è l’attivazione di un fenomeno sociale peculiare e regressivo: quello dell’idealizzazione sfrenata di una figura cui fa da contraltare la sua immediata e drastica distruzione.

Ma cosa succede realmente?

Facciamo qualche passo indietro, l’uomo è spinto da due impulsi fondamentali: quello della sopravvivenza e quello del proprio miglioramento o progresso.

Oggi che la sopravvivenza è, nel nostro mondo occidentale, una minaccia ridotta ai minimi termini, prende il sopravvento l’impulso al progresso o al progredire (per meglio dire) sia che esso significhi miglioramento dello stile di vita o semplicemente aumento della propria ricchezza.

Chiara Ferragni e come lei tanti fenomeni social impersonano proprio questo bisogno basilare di conquistare uno stile di vita ideale e idealizzato.

Siamo esseri imitativi, abbiamo poche competenze innate, la maggior parte le acquisiamo per imitazione, per imitazione di modelli designati come tali e che per lo stesso motivo vengono innalzati ed estremizzati. Gli ‘oggetti’ (così sono definiti in psicoanalisi le figure di riferimento relazionali di un individuo) in questione perdono il loro status di soggetti con loro caratteristiche individuali, con loro pro e contro e con i loro pregi e difetti, e diventano semplicemente il simulacro di una identificazione proiettiva di coloro che li seguono.

Per ‘identificazione proiettiva’ si intende quel particolare meccanismo (di difesa) che prevede la proiezione di parti di sé nell’altro allo scopo di affidare all’altro la risoluzione dell’irrisolvibile.

Questa dinamica è però tipica - e qui subentra il caso da osservare - di una fase dello sviluppo del bambino che possiamo individuare tra il primo e secondo anno di vita, quando il bambino rompe la simbiosi materna. Per poter accettare l’angoscia da separazione egli scinde la madre (l’oggetto) in oggetto buono e in oggetto cattivo: il cosiddetto funzionamento borderline.

Secondo Luigi Cancrini: “La manifestazione più semplice e più comune di questo funzionamento (…) è una mente che tende a dare giudizi estremi (‘o bianco o nero’) su noi stessi e sulla realtà che ci circonda. La mente che funziona ad un livello borderline utilizza la scissione e giudica tutto cattivo o tutto buono, senza sfumature, e ha forte difficoltà a cogliere la gradazione di positività e negatività in una stessa persona.”

Vi risuonano queste parole riguardo quanto sta accadendo nel “caso” Ferragni?

Una visione della stessa ideale e perfetta che dinanzi ad un suo errore e alla delusione che questo comporta in coloro che in essa si identificano scatena la reazione distruttiva della stessa.

E’ assai interessante osservare come entrambe le reazioni, quella idealizzante e quella distruttiva, individuino nell’imitazione la risoluzione: la tuta indossata dall’influencer durante il video di scuse andata sold out ne è manifesto.

Questa vicenda esprime in maniera lucidamente chiara come una collettività, apparentemente governata da regole sociali mature, possa velocemente regredire ad uno stadio di funzionamento arcaico (come quello borderline) e quanto gli strumenti virtuali possano amplificare questi fenomeni.

La regressione è sintomo di una tensione, caratteristica di fasi critiche di evoluzione, come effettivamente sta accadendo al nostro mondo e alla nostra società, in così rapido cambiamento.

“Nella persona normale, la capacità di integrare le rappresentazioni buone e cattive dell’oggetto aumenta gradualmente con l’età e raggiunge (dovrebbe raggiungere) i massimi livelli nell’età adulta. Capaci di rispettare le stesse e gli altri, le persone mature basano il loro equilibrio sulla consapevolezza profonda della propria e dell’altrui imperfezione, e guardano con sospetto (…) allo sviluppo di emozioni unilaterali" (Cancrini)

C’è da augurarsi che sia davvero cosi, e che il “caso Ferragni” sia una tappa di questa evoluzione.

QOSHE - Il Chiara gate e i fenomeni imitativi - Agnese Scappini
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Il Chiara gate e i fenomeni imitativi

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26.12.2023

Non conosco personalmente Chiara Ferragni se non nella misura di un profilo sociale di altissima risonanza, ma oggi non si può parlare di lei senza menzionare gli eventi che sembra la stiano travolgendo. Dell’intera vicenda, da psicoanalista e studiosa dei fenomeni sociali, ciò che mi colpisce è l’attivazione di un fenomeno sociale peculiare e regressivo: quello dell’idealizzazione sfrenata di una figura cui fa da contraltare la sua immediata e drastica distruzione.

Ma cosa succede realmente?

Facciamo qualche passo indietro, l’uomo è spinto da due impulsi fondamentali: quello della sopravvivenza e quello del proprio miglioramento o progresso.

Oggi che la sopravvivenza è, nel nostro mondo occidentale, una minaccia ridotta ai minimi termini, prende il sopravvento l’impulso al progresso o al progredire (per meglio dire) sia che esso significhi miglioramento dello stile di vita o semplicemente aumento della propria ricchezza.

Chiara Ferragni e come lei tanti fenomeni social impersonano proprio questo bisogno basilare di conquistare uno stile di vita ideale e idealizzato.

Siamo esseri imitativi, abbiamo poche competenze innate, la maggior parte le acquisiamo per imitazione, per imitazione di modelli designati come tali e che per lo stesso motivo vengono innalzati ed estremizzati. Gli ‘oggetti’ (così sono definiti in psicoanalisi le figure di riferimento relazionali di un individuo) in questione perdono il loro status di soggetti con loro caratteristiche individuali, con loro pro e contro e con i loro pregi e difetti, e diventano semplicemente il simulacro di una identificazione proiettiva di coloro che li seguono.

Per ‘identificazione proiettiva’ si intende quel particolare meccanismo (di difesa) che prevede la proiezione di parti di sé nell’altro allo scopo di affidare all’altro la risoluzione dell’irrisolvibile.

Questa dinamica è però tipica - e qui subentra il caso da osservare - di una fase dello sviluppo del bambino che possiamo individuare tra il primo e secondo anno di vita, quando il bambino rompe la simbiosi materna. Per poter accettare l’angoscia da separazione egli scinde la........

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