Era una mattina del febbraio 1980. Da quasi 18 ore un uomo armato s’era barricato in un ufficio nel cuore di Milano, in via Santa Sofia, e aveva già ucciso un dipendente. Tratteneva sei ostaggi. Un pazzo, un terrorista? Al magistrato che trattava con lui per telefono parlava delle Br, o del Papa. Aveva già sparato, e ucciso un dipendente. Ora c’erano quelle sei vite in bilico, a due passi dal Duomo. Attorno, venti Volanti lampeggianti e una larghissima folla di milanesi, muta, in attesa. C’ero anch’io, aspirante cronista di un quotidiano del pomeriggio. Era la mia prima volta sulla cronaca nera. Mi è indimenticabile, quella folla. Io non mi ci sarei messa dentro, ma in quel mattino, ragazzina al debutto professionale, sentivo il dovere di essere in mezzo, di capire. E quindi stavo in quella moltitudine, fitta tanto che mi muoveva quando la massa si spostava. E la massa si spostava a ogni figura che si affacciava al portone del palazzo, speranzosa: che finalmente fosse lui, l’assassino, che lo avessero preso.

Una rabbia che non avevo mai visto andava covando in quella folla, e come cementandola: non sembrava più una somma di individui, ma quasi un’unica creatura. Molti tacevano, straniti, trascinati, ma le maledizioni crepitavano: «Porco! Assassino!». Ora sussurrate, ora urlate: «Ammazzatelo». La spinta della folla ci spingeva in avanti e svaniva delusa: no, neanche stavolta quello sul portone era l’assassino. Ho pensato: se gli cade in mano lo linciano. Ho avuto un po’ di paura. Guardavo stupefatta le facce accanto a me: padri di famiglia, pensionati in loden, operai, brava gente. In quanti, dimentichi di sé, fissavano quel portone pieni di rabbia. Quasi avessero individuato finalmente un oscuro nemico, cui farla pagare – di qualcosa che nemmeno esattamente sapevano. (Il folle rilasciò poi gli ostaggi, tranne una donna. Ma la sera, all’irruzione, la polizia trovò morti lui e l’ultima impiegata, che si era offerta volontariamente di restare).

Mi è tornata in mente via Santa Sofia in questi giorni, vedendo sui social l’ondeggiare massivo dei followers: prima quelli di Chiara Ferragni, poi della pizzaiola lodigiana accusata di un falso messaggio e due giorni dopo suicida, infine dei presunti colpevoli del linciaggio mediatico della stessa disgraziata signora. Quell’ondeggiare: il pauroso e rapido oscillare di massa dall’amore verso un inferocito rancore, come nato dal nulla. Somiglia alla corrente carsica che con la sua forza mi spostava senza che io lo volessi, quel mattino a Milano. Adesso è un odio immateriale, “virtua-le”, ma fa altrettanto paura, forse di più. Mi paiono parenti, questi rigurgiti di viscere, che siano di piazza, o di web. Entrambi sono moti in cui il singolo scompare. Senza nome quei milanesi in loden, senza nome gli haters del 2023. Solo che gli haters sono molti di più, forse milioni, e sono persone come le altre. Anche questo ragazzo tranquillo che sul tram digita sullo smartphone potrebbe avere coperto di insulti la signora lodigiana. Insieme a centinaia di migliaia di altri. Ondeggiano: cominciano in pochi, e dietro gli altri, a valanga. Nell’amore o nell’odio, ma nell’odio con una singolare violenza. Rapidamente, senza raziocinio.

Quasi particelle di materia in una reazione chimica, che si attaccano tutte insieme a un catalizzatore. Una radice comune fra le piazze dei linciaggi e il web degli haters, mi pare. Solo che l’odio sul web è invasivo, inarrestabile, globale. La tecnologia non ha creato nulla, ha solo potenziato qualcosa che c’è da sempre in noi. («Crucifige! », gridava quella folla due millenni fa, a Gerusalemme). Quest’odio che spunta fuori come dal nulla è roba nostra, l’abbiamo dentro. L’importante è averne coscienza, e non credersene immuni. È un bug nel cuore, è un male, il male originale. È proiettare sull’altro le nostre miserie, e farne un capro espiatorio. Che sollievo, credere che il male sia fuori di noi, e inneggiare al linciaggio, materiale o sul web. È un meccanismo umano antichissimo e conosciuto.

Eppure riaccade sempre, e oggi esplode all’ennesima potenza sui social. Educare, insegnare, spiegare, certamente, tutto va fatto: una nuova educazione comune – spero più considerata dai ragazzi, dell’educazione civica dei miei tempi. Quella radice però, mi pare così profonda. In altri evi la nostra gente almeno la domenica, a Messa, domandava di essere liberata dal male. Non usa più molto. È solo una domanda, certo, solo una preghiera, eppure: è già coscienza di sé, è già almeno desiderio di bene.

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Social Quel giorno, cronista tra la folla inferocita, ho visto lo stesso odio di oggi

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19.01.2024

Era una mattina del febbraio 1980. Da quasi 18 ore un uomo armato s’era barricato in un ufficio nel cuore di Milano, in via Santa Sofia, e aveva già ucciso un dipendente. Tratteneva sei ostaggi. Un pazzo, un terrorista? Al magistrato che trattava con lui per telefono parlava delle Br, o del Papa. Aveva già sparato, e ucciso un dipendente. Ora c’erano quelle sei vite in bilico, a due passi dal Duomo. Attorno, venti Volanti lampeggianti e una larghissima folla di milanesi, muta, in attesa. C’ero anch’io, aspirante cronista di un quotidiano del pomeriggio. Era la mia prima volta sulla cronaca nera. Mi è indimenticabile, quella folla. Io non mi ci sarei messa dentro, ma in quel mattino, ragazzina al debutto professionale, sentivo il dovere di essere in mezzo, di capire. E quindi stavo in quella moltitudine, fitta tanto che mi muoveva quando la massa si spostava. E la massa si spostava a ogni figura che si affacciava al portone del palazzo, speranzosa: che finalmente fosse lui, l’assassino, che lo avessero preso.

Una rabbia che non avevo mai visto andava covando in quella folla, e come cementandola: non sembrava più una somma di individui, ma quasi........

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