È un bene che la questione del declino demografico oggi sia sotto i riflettori in tutta la sua attualità e drammaticità. E che, finalmente, si sia tornati a discutere di temi come paternità e maternità, conciliazione tra lavoro e impegni di cura, sostegni e welfare per la famiglia. Perché il netto calo delle nascite nel nostro Paese è certamente preoccupante sul piano economico e sociale. Ma lo è ancor di più per ciò che indirettamente dice della nostra capacità di avere fiducia, progettare il futuro, sperare. In definitiva della nostra umanità. O c’è forse qualcosa di più umano, di più intrinsecamente legato alla nostra natura e insieme alla nostra razionalità, del generare un figlio? Del chiamarlo alla vita, prendersene cura, educarlo?

Ma un figlio – anche questo è un dato ontologico – è sempre il frutto dell’unione tra un uomo e una donna. Unione fisica tra una femmina e un maschio, certo, ma più ancora oggi l’esito di un progetto di vita comune tra due persone. E invece, da ultimo, affiora sempre più e si fa strada un’idea diversa di generazione: singolare, privata, un autoriprodursi che sembra somigliare più a una partenogenesi che alla filiazione, più alla soddisfazione di un singolo desiderio personale che alla realizzazione appunto di un progetto di coppia. Un cambiamento che oggi si arriva a proporre perfino come rimedio alla crisi demografica.

Così, sul “Corriere della sera” di oggi, Walter Veltroni conclude il suo editoriale auspicando oltre che per «le coppie di qualsiasi forma» anche «per le donne singole che decidono di mettere al mondo una creatura (…) un welfare della natalità, capace di allargare giuridicamente le maglie delle possibilità di procreazione, di assistere economicamente e socialmente chi si vuole sottrarre al destino della crescita zero (…)». Il fraseggio è un po’ contorto, ma si intuisce chiaramente come l’obiettivo sia l’accesso libero delle singole donne alla fecondazione assistita, in Italia riservata invece alle coppie di sesso diverso (sposate o solo conviventi, di età potenzialmente fertile).

Una privatizzazione della maternità, l’aiuto artificiale alla realizzazione del desiderio della singola persona, non necessariamente e non più inserito - come finora, come da sempre - in un progetto di vita di coppia. Con la definitiva cancellazione della famiglia come unità generativa di soggetti diversi, come nucleo “ideale” di crescita delle persone. Dietro l’auspicio di maggiori possibilità per tutti, di utilizzo di ogni tecnica riproduttiva disponibile, i rischi di un profondo cambiamento antropologico. Lo stesso Veltroni conclude il suo editoriale riprendendo la metafora coniata dal Censis di una società italiana “sonnambula” che rischia di muoversi «freneticamente senza vedere dove sta andando». Appunto, attenzione a che la direzione verso la quale ci si orienta non sia quella del post-umano.

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Il tema La privatizzazione della procreazione e il rischio della società post-umana

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11.01.2024

È un bene che la questione del declino demografico oggi sia sotto i riflettori in tutta la sua attualità e drammaticità. E che, finalmente, si sia tornati a discutere di temi come paternità e maternità, conciliazione tra lavoro e impegni di cura, sostegni e welfare per la famiglia. Perché il netto calo delle nascite nel nostro Paese è certamente preoccupante sul piano economico e sociale. Ma lo è ancor di più per ciò che indirettamente dice della nostra capacità di avere fiducia, progettare il futuro, sperare. In definitiva della nostra umanità. O c’è forse qualcosa di più umano, di più intrinsecamente legato alla nostra natura e insieme alla nostra razionalità, del generare un figlio? Del chiamarlo alla vita, prendersene cura,........

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