Venti di guerra soffiano nel cuore dell’Europa, nel mentre ci accingiamo a votare tra qualche settimana i membri del nuovo Parlamento dell’Unione Europea. Oggi siamo innanzi a decisioni e destini assai contrapposti, dove le prime condizioneranno i secondi come non mai, almeno in quest’inizio di terzo millennio.
Vorrei iniziare questa mia breve riflessione ricordando un episodio spesso dimenticato. Ritorniamo al 7 dicembre del 1970, quando il cancelliere tedesco occidentale Willy Brandt, in visita a Varsavia, si inginocchia di fronte al Memoriale dedicato ai resistenti del ghetto di Varsavia. Un gesto, come ci ha ricordato lo stesso Brandt, per nulla premeditato: “I miei più stretti collaboratori non erano meno sorpresi dei giornalisti e dei fotografi che erano in piedi accanto a me”. Un atto e un giorno, destinati a restare negli annali, a fare la storia. Un uomo che, pur non essendo religioso, scelse una simbologia cristiana per parlare, con tutta la forza di quei secondi trascorsi in silenzio, al mondo e che confessa una colpa immane della sua Germania, di cui non è responsabile e di cui chiede perdono. Quel gesto di Brandt, tanto semplice quanto potente, ben riassume la parabola di una intera vita dedicata all’opposizione a ogni forma di violenza e di odio, promuovendo a livello nazionale e internazionale la riconciliazione, l’uguaglianza e la pace. Da uomo, da giornalista e da politico Willy Brandt fu sempre dalla parte della libertà e della democrazia.
Anche per la storia dell’Europa quel suo inginocchiarsi segnò certamente un prima e un dopo. Rafforzò i valori che erano alla base dell’idea di un’Europa unita, libera e solidale. Partendo dalla visione e dalle parole contenute nel Manifesto di Ventotene, con cui Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni nel 1941, in piena Seconda Guerra Mondiale, ci donano un’idea europeista generata da una rivoluzione pacifica, al fine di creare una Federazione europea ispirata ai principi di pace e libertà, fondata su una base democratica, dotata di un Parlamento e di un Governo, ai quali affidare ampi poteri, in campo economico e sociale, fino alla politica estera.
L’8 maggio 1945 finisce il secondo conflitto mondiale, il 5 maggio 1949 dieci Stati dell’Europa occidentale istituiscono il Consiglio d’Europa, il 3 settembre 1953 entra in vigore la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: date fondamentali.
Il Manifesto di Ventotene porta grandi politici quali Alcide Degasperi, Robert Schuman e Konrad Adenauer, tre cattolici, tre uomini di frontiera, tre perseguitati dalle dittature nazifasciste, a porre le basi della futura Unione europea, con la sottoscrizione il 9 maggio 1950 a Parigi di un accordo che il 18 aprile 1951 portò alla creazione della CECA, ovvero la Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio. Da lì poi il Trattato di Roma del 25 marzo 1957 con cui fu fondata la CEE, la Comunità Economica Europea, inizialmente a sei Nazioni (Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo). Oggi, sulla base di ulteriori Trattati, sono ben 27 gli Stati membri dell’Unione Europea, la UE.
Questa seppur sintetica ricostruzione storica per farci capire quanto è stato costruito e quanto è cambiato in poco meno di 80 anni sul terreno europeo e tra i popoli europei. Quantomeno in un ambito di Europa centro – occidentale, per molti secoli divisa se non contrapposta in tragiche guerre, per l’appunto, fino a pochi decenni fa. 80 anni di pace, benché non sempre assoluta, ma pace e benessere diffuso abbastanza equamente per circa 450 milioni di persone. Un’Unione Europea che ha visto a partire dal 1949 ad oggi i suoi Stati membri aderire consapevolmente alla NATO, una UE che ha conosciuto una lunga Guerra Fredda e che oggi vive con ansia e paura un tragico conflitto a pochi chilometri di distanza dai propri confini orientali.
Accanto alla pietra miliare rappresentata dal gesto di Willy Brandt, vorrei citare altre grandi figure che hanno creduto fortemente nell’Unione Europea quale soggetto politico – istituzionale di sviluppo, di benessere e di pace: da Jacques Delors a Simone Veil, da Francois Mitterand a Helmut Kohl, da Johan Willem Beyen ad Anna Lindh, da Jean Monnet a Nicole Fontaine, da Melina Mercouri a Nilde Jotti e ad Alexander Langer, potrei continuare con molte altre citazioni.
Invito tutte e tutti, in particolare i giovani, ad andare a votare i prossimi 8 e 9 giugno per i futuri membri del Parlamento Europeo con convinzione e conoscenza. Più l’Unione Europea sarà forte e ben rappresentata e maggiori saranno le probabilità di vedere in futuro inginocchiarsi i successori di Vladimir Putin presso un cimitero ucraino, di Volodymyr Zelensky davanti ad un monumento dedicato ai morti russi, di Benjamin Netanyahu in un villaggio palestinese lungo la striscia di Gaza, di Ismail Haniya al cospetto del Muro del Pianto di Gerusalemme.
Può sembrare un’illusione, un augurio, un sogno. Ma la storia ci ha insegnato che tutto è possibile su questa Terra. Certo, c’è bisogno di conoscenza, di rispetto, di senso di responsabilità, di verità.
E qui, l’Europa con il suo ampio e diversificato patrimonio culturale può fare molto. Ne sono assolutamente convinto. Per questo auspico che l’8 e il 9 giugno prossimi saremo capaci di dimostrarci veri cittadini europei.

Paolo Farinati

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Quale Unione Europea abbiamo davanti?

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12.04.2024

Venti di guerra soffiano nel cuore dell’Europa, nel mentre ci accingiamo a votare tra qualche settimana i membri del nuovo Parlamento dell’Unione Europea. Oggi siamo innanzi a decisioni e destini assai contrapposti, dove le prime condizioneranno i secondi come non mai, almeno in quest’inizio di terzo millennio.
Vorrei iniziare questa mia breve riflessione ricordando un episodio spesso dimenticato. Ritorniamo al 7 dicembre del 1970, quando il cancelliere tedesco occidentale Willy Brandt, in visita a Varsavia, si inginocchia di fronte al Memoriale dedicato ai resistenti del ghetto di Varsavia. Un gesto, come ci ha ricordato lo stesso Brandt, per nulla premeditato: “I miei più stretti collaboratori non erano meno sorpresi dei giornalisti e dei fotografi che erano in piedi accanto a me”. Un atto e un giorno, destinati a restare negli annali, a fare la storia. Un uomo che, pur non essendo religioso, scelse una simbologia cristiana per parlare, con tutta la forza di quei secondi trascorsi in silenzio, al mondo e che confessa una colpa immane della sua Germania, di cui non è responsabile e di cui chiede perdono. Quel gesto di Brandt, tanto semplice quanto potente, ben riassume la parabola di una intera vita dedicata all’opposizione a ogni forma di violenza e di odio, promuovendo a livello nazionale e internazionale la........

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